Capitolo 10 - Popolare

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La ragazza dagli occhi verdi si scosta una ciocca castana dal viso

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La ragazza dagli occhi verdi si scosta una ciocca castana dal viso. È qualche passo avanti a me. Il vento che si è alzato le scompiglia i capelli e il sole si diverte a tesserli di raggi, facendoseli scivolare fra le dita. Quando Håbe si gira a guardarmi, le si posano tutti davanti il viso, ricadendole sulle spalle e sul collo, e mi capacito di quanto siano lunghi. Le arrivano molto sotto il seno, come una cascata color foglia in autunno.

«Andiamo a piedi?», mi chiede.

Ripenso alle parole di Taito qualche giorno prima allo studio. "È proprio bella... com'è che si chiama?"
Sì, è vero: Håbe è bella. Ma è bella in modo diverso. Nel senso, se la guardi ti viene da chiederti come mai abbia tutta quella voglia di vivere e sorridere e camminare. Far passare i giorni e i secondi. Almeno io guardandola me lo chiedo.
Quel visino tanto delicato, mi dico, non potrà mai niente contro quello che ho dentro. E adesso, adesso sta venendo a fare la spesa con me. Che tipa strana.
"Pff. Lei, sarebbe strana?"

«Sì, il supermercato è a dieci minuti da qui», le rispondo, mentre la guardo fermarsi per permettermi di raggiungerla.

Stiamo camminando sul marciapiede. Intorno a noi il rumore indefinito di gente che parla e clacson, motori e sgommate. Sento profumo di hot dog mentre passiamo davanti un carretto parcheggiato lì vicino.
«Ottimo, così posso farti qualche altra domanda», ammicca.
Sbuffo. Frugo nella tasca posteriore destra. Afferro il pacchetto di sigarette ormai ridotto a metà e ne tiro fuori una.

Solo successivamente la guardo. Lei mi osserva con la coda dell'occhio.
Orgogliosa. Vuole che glielo chieda io. L'accontanto, e le faccio un cenno, avvicinandole un po' il pacchetto.
Lei sorride, ne prende una, poi tira fuori un accendino dalla tasca.

Così vicini, noto la fossetta che le si forma sul lato destro quando sorride.
Accende la sua sigaretta, poi mi passa l'accendino. Faccio un bel tiro, tanto da ridurla a tre quarti. Il fumo entra nei miei polmoni e li corrode, facendomi sentire un po' meno vuoto. E un po' più grigio.

«Da quanto fumi?», mi chiede.
Guardo dritto davanti a me. La gente si affolla a prendere i taxi e qualsiasi altro mezzo di trasporto. Il traffico procede già a singhiozzo, nonostante non sia ancora l'ora di punta. L'asfalto irradia calore. Lo senti quasi appiccicarsi alle suole delle scarpe e ci sono solo venticinque gradi. Il sole si riflette sulle enormi vetrate dei grattacieli che ci sovrastano, tesi a toccare le nuvole. Rigiro la sigaretta fra le dita, prima di metterla di nuovo in bocca e tirare di nuovo. Mentre espiro, le rispondo: «Da sempre. Neanche me lo ricordo, quando cominciai: cominciai e basta.»

«E perché cominciasti? Sai, quella classica domanda a cui non sai mai come rispondere. "Perché fumi?"»
«Io so come rispondere.» Socchiudo un po' gli occhi per via del sole di fronte a noi che li sferza e del vento che non cessa di soffiare. Intanto, imbocco una stradina a sinistra di un ristorante, mentre Håbe mi segue aspettando una risposta.

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