Capitolo 29 - "Deja-vu"

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Viviette si avvicina sempre più al nostro tavolo. Io cerco invano di guardare da un'altra parte. Håbe se ne accorge, ma non fa in tempo a dire "«Man, cosa...?»" che la ragazza sui tacchi a spillo arriva al nostro tavolo.

«Ciao, man!»
Io mi volto, facendo finta di niente. «Ciao, Viv.»

Håbe sembra molto confusa, ma poi pare forse focalizzare. «Oh, sei la ragazza che ballava con Doreen alla festa di Alexa, vero?»
«Esatto! Ciao, Håbe.»
«Ciao.»

Poi l'attenzione della ragazza si concentra su di me. Dentro, sto pregando Dio forse per la prima volta, ma ovviamente deve essere abbastanza arrabbiato, dopo vent'anni di silenzio e qualche bestemmia, e quindi non mi aiuta. «Non pensavo che uscissi, stasera, man. Non esci mai oggi di solito...», fa la brasiliana. Mi schiarisco un po' la voce e la guardo, cercando di comunicarle con gli occhi che ha appena rovinato tutto, ma lei non sembra captare nulla, così rispondo: «Beh, ho deciso di prendere una boccata d'aria.»

«Oh, ne sono contenta!» Dà un'occhiata ad Håbe, densa di significato. Sembra percepire un po' di imbarazzo nell'aria, e quindi si congeda, dicendo: «Beh, io torno al mio tavolo. Buona serata ragazzi. Ci si becca, man!»

«Ciao, Viv», la saluto. Spero che da un momento all'altro si apra una fossa sotto di me, e che m'inghiotti. A pensarci, forse, se avessi pregato satana avrei ottenuto più risultati.

E invece dall'altra parte del tavolo c'è una Håbe che pretende spiegazioni.
Comincio dalla parte più semplice. «Ti ricordi, ti ho detto che venivo qui spesso quando lavoravo ad uno studio fotografico. Beh, lei è l'amica che aiutavo.»

Lei annuisce. Mi studia un secondo, poi arriva la fatidica domanda: «Cosa intendeva con "non esci mai oggi di solito"?»

Sospiro.

E niente, tutto in malora.

Sono costretto a dirle la verità.

«Oggi è il mio compleanno.»

Segue silenzio. Håbe spalanca la bocca, ed io abbasso lo sguardo, concentrandomi sulla tovaglia bianca.
«Ma... io... tu non me lo hai detto! Insomma, ti avrei regalato qualcosa e...»
La interrompo, facendo un gesto con la mano, poggiando poi i gomiti sul tavolo.
E capisco che effettivamente... «Me lo hai già fatto il regalo.»

Posso quasi vedere i suoi occhi brillare, magari di speranza, ma la fronte si cruccia. «Non è vero!»
«Sei qui. Davvero, è tutto quello che voglio», mi esce.

Non so da dove, non so come.

Ma appena lo dico capisco che è la verità. Solo e soltanto la verità. Perché con Håbe non penso più, ormai: queste parole escono senza un minimo di filtro, pure, e non avevo mai detto delle cose pure, io. Erano sempre sporche, ritorte, consunte dai pensieri che le avevano prima create, e dalla bestia che ho dentro, che le aveva poi limate.

Ma con lei è diverso.

Con lei non c'è bisogno che io mi nasconda. E non c'è bisogno della bestia, ora in un angolo di me, stordita. È vero, c'è ancora. Forse ci rimarrà a lungo.

Ma se questo è il prezzo per stare con Håbe, e per stare bene, allora è ok. Resterà lì per sempre, accucciata, malferma, ricordo di un passato in cui dentro me non comandavo io.

Spero solo non si svegli di soprassalto.

Spero solo non si svegli di soprassalto

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