Capitolo 39 - "Tempesta"

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«La storia che voglio raccontarti parla di una donna. Il suo nome era Mary Elisabeth. Era molto bella, con i capelli talmente neri che avevano dei riflessi bluastri, gli occhi grandi e color cioccolata. Era mingherlina. Amava ballare. Nonostante la sua leggerezza, aveva una gran forza. Soprattutto di spirito. Non si arrendeva mai a nulla e quando si metteva in testa una cosa era difficile riuscire a farle cambiare idea. Era sposata con un uomo. Lui si chiamava Jake. Jake Austin.»

Fa una pausa.

«Mary si era così innamorata di lui e dei suoi occhi blu. La loro vita era bellissima. Avevano una casa ed avevano l'amore. Ma la storia comincia un giorno preciso, di un anno preciso.

«Era il ventiquattro agosto 1992. Mary era sdraiata su questo tavolo: incinta, di nove mesi esatti. Stava per partorire ed era felice come mai... ma testarda come sempre: voleva che il bambino nascesse qui. A tutti i costi.
E così successe: il bimbo nacque, con l'aiuto della sorella di Mary, Soy, di Jake e dei vicini, i signori Malone. Erano tutti qua, intorno a questo tavolo, ad aiutarla. E quando il bambino nacque, gridarono di gioia in coro. Soy, che era una dottoressa, si occupò di mettere i punti a Mary: stava bene, così come il bambino, sano e forte. Jake era scoppiato a piangere dalla gioia e Mary, nonostante fosse stremata, aveva un grande sorriso sul volto.

«Ma c'era un problema. Da settimane, il governo americano aveva dato lo stato di allerta generale. Un potente uragano stava arrivando proprio in Florida, proprio qui, a Homestead. Mary partorì la mattina: l'uragano era previsto proprio in quel momento. E arrivò non appena il bambino venne alla luce. Il padre, fin troppo emozionato, aveva scordato qualcosa di importante dentro la casa.
Era corso a prenderla, uscendo quindi dal bunker, ma l'uragano era ormai sopra di loro. Non so bene come andò, ma penso che riuscì quasi a tornare nel rifugio sano e salvo. Deve essere stata una questione di secondi.... fatto sta che venne risucchiato nell'uragano.»

Passa un dito sul tavolo e guarda la polvere sul polpastrello.

«Inutile dire quanto Mary rimase distrutta. Con un figlio, senza più Jake. Decise di trasferirsi dalla sorella Soy. Non aveva i soldi per riparare la casa. Il bambino venne chiamato come già sai.»

Mi porto una mano sulle labbra: ho la pelle d'oca e un paio di lacrime sfuggono alle palpebre, bagnando le mie guance. Sono costretta a reggermi forte al tavolo: il suo dolore sembra inglobare anche me. Guardandolo, in questo strano tagli di luce che arriva da sopra ma bagna solo parte della stanza, mi rendo conto che sembra l'unica concretezza in un posto quasi etereo. Quasi finto, costruito. Un posto sospeso in un confine, costretto ad esistere in un limbo perenne.

«Non finì qui. Si trasferirono da Soy, ma poi un'altro tragico incidente accadde, nel 1995. Il bambino aveva solo tre anni. Ma è destinato a ricordarselo lo stesso.

«Quella mattina, indovina? Annunciarono un altro uragano. Mary era in cucina a fare le frittelle. Quando il bambino le aveva chiesto di spiegarle cos'era un uragano, lei non aveva risposto.
Gli aveva detto, con un sorriso, di andare a prendere il suo orso di peluche e raggiungere Soy nel bunker, lei sarebbe arrivata subito.

«Ma proprio in quell'istante, una fuga di gas fece scoppiare la cucina. Il fornello emanò una grande ondata di fuoco che investì Mary. Lei, urlando, scappò verso il bambino. Il fuoco intanto si allargava alle tende.

«Aveva la pelle rossa, Mary. Piena zeppa di ustioni, ma trattenne le lacrime per il bambino. Lanciò un'occhiata a qualcosa dietro di lui e poi gli disse di correre da Soy.

«Lei sarebbe arrivata subito.

«Allora il bambino uscì di corsa fuori. Vide per la prima volta cos'era un uragano. Non ne ebbe paura: gli sembrò quasi fosse bello. La cosa che lo preoccupava di più era dove fosse finito il sole. Le nuvole si erano appropriate di tutto quello che il suo sguardo poteva contemplare.
Scappò da Soy, voltando le spalle a quel vortice di cielo: lei lo accolse scuotendolo: "Dov'è Mary?" chiese.

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