Capitolo 31 - Inaspettato

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La mattina successiva, vado a lavoro. Il pomeriggio, ho le prove con la band.
Il giorno dopo la stessa cosa.
E anche la terza giornata è così.

Quando però la sera rientro, aprendo la porta guardo casa mia. E ricordo quello che Håbe aveva detto entrata in casa mia per la prima volta.

"«Ma sono tutte bianche le pareti, in questa casa? È triste, dovreste pitturare. Una casa colorata è molto più bella.»"

Scuoto la testa, e mi sbrigo a lavarmi. Abbiamo fatto molto tardi questa sera, e sono stanco. Una volta arrivato nel letto, penso di non avere neanche la forza di sognare.
Eppure, a quanto pare, non è così.

Una figura scura svetta sopra il muretto, al cinquantesimo piano del mio palazzo. All'inizio, penso di essere io. Poi mi rendo conto di no. È un uomo, alto non più di me, robusto. Ora si muove: cammina lungo il muretto, con le braccia spalancate, sembra un pipistrello, ed è strano che tutto intorno ci sia luce, tranne sulla sua figura.
Poi arriva Håbe. E capisco effettivamente che no, non sono io. Appena lei esce fuori dalla porticina, buttando a terra le scarpe col tacco, lui si volta, e la vede. Non si dicono nulla, lei semplicemente corre da lui; gli tende le braccia, lui la tira su e la stringe forte.

Per poi lasciarsi cadere giù, con lei ancora stretta intorno al collo.

Il sogno cambia.

Sono io, in un grande prato verde, e sento profumo di miele. L'aria è pura, penso di essere in montagna o un posto del genere. A un certo punto, sento due mani sulle spalle, e una voce sussurra: "Non voltarti".

Io non è che la ascolto... le obbedisco. Il mio corpo s'immobilizza e lei rimane dietro di me. Sussurra ancora: "Come ti chiami?"

La sua voce non viene da dietro di me.
Ma da dentro di me.
"E io? Come mi chiamo, io?"

Io so come si chiama.
Ma non ho intenzione di dirglielo. Cerco di resistere con tutte le mie forze, e sento una fitta tale allo stomaco da svegliarmi di soprassalto.

Tutto si dissolve nel buio della mia camera. Stropiccio gli occhi, e cerco di riprendere fiato. Mi appoggio allo schienale del letto.

Sta peggiorando di nuovo.
Sul serio.
Devo vedere Håbe.

Ma cose le dirò? Se mi vedrà... pretenderà che le dia una risposta. Vero?
E cosa le risponderò? Che nascondo un mostro dentro che diventa me stesso quando lei non c'è? La farò scappare via, e non tornerà mai più.

Una parte di me lo vorrebbe. Dirle tutto lo schifo che sono. Raccontarle il casino che ho dentro, e irrimediabilmente anche fuori. Raccontarle di me.

Ma di quale me le devo raccontare?
Di quello che sono con lei? O di quello che sono senza di lei?

In ogni caso, la bestia non è più la stessa. È molto più subdola, crudele, ha capito quando prendermi. È diventata una presenza agghiacciante, e se Håbe non c'è sono certo che non riuscirò a impedirle di rimettere a tacere la voce del vero me stesso.
Mi passo una mano fra i capelli e mi rendo conto di essere sudato.

Domani andrò da lei. Anche solo per guardarla negli occhi un secondo. Anche se mi sentirò un codardo, e un reietto, ma lo farò.

E non voglio ammetterlo, ma anche perché ho un brutto presentimento. Come se da un momento all'altro tutto possa crollarmi in faccia.

***

Sono le undici del mattino quando esco di casa. Ho chiesto a Doreen di sostituirmi al bar: non lo faccio quasi mai ma stavolta le ho detto che è importante. Sotto la doccia, ho sentito di nuovo la voce dell'acqua e anche lei mi ha confermato che c'è qualcosa che non quadra.

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