Capitolo 16 - Strano autunno

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Gesticola, dopodiché si passa una mano fra i capelli, accentuando e sottolineando il pathos della storia che racconta: «

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Gesticola, dopodiché si passa una mano fra i capelli, accentuando e sottolineando il pathos della storia che racconta: «...E quindi gli ho urlato di stare zitto e l'ho semplicemente trascinato in macchina con la forza! Capito? Mi hanno fatto tutti i complimenti quando sono tornato, per la mia fermezza! Håbe... Håbe, ma mi stai ascoltando?»

Inspiro rumorosamente, tornando al mondo reale. I miei occhi si sono erano nel fissarlo e il mio cervello era volato da tutt'altra parte. «Scusami, Sam. Beh, dicevi? Eravate in quel vicolo, tu senza pistola e...?»
Grugnisce, poggia il grande faccione squadrato sul grande palmo della mano destra. Ha i capelli lunghi legati in una coda, qualche ciuffo ribelle esce indomabile. La maglietta a maniche corte e i jeans kaki mettono in risalto i muscoli del mio migliore amico, che, abbarbicato come una scimmia sullo sgabello della cucina, mette il broncio. «Insomma non hai proprio sentito niente eh...»
«Dai, dai!» Allungo la mano verso il suo gomito e faccio finta di spingerlo via. «Continua!»
«Ultimamente sei così pensierosa. Quel ragazzo ti dà troppi grattacapi, sai Hubby? Mi sembra tu sia diventata vecchia e preoccupata all'improvviso. Hai la stessa faccia di mio padre quando torna dal commercialista.» Allungando un braccio afferra una mela dalla ciotola della frutta e la addenta. Lo "scrock" del morso mi arriva al cervello, e aumenta il mal di testa.

Non ho dormito ieri notte. E neanche la notte precedente ancora. Da quando io e man... Insomma, dalla festa, gli incubi hanno ripreso. Sogno di vagare senza meta per strade sconosciute e ritrovarmi in bui antri dimenticati da Dio e dagli uomini, sola, i vestiti stracciati, senza neanche sentirmi più umana, come se lui quel giorno ci fosse riuscito...

Scuoto la testa, che sento pesante e sul punto di implodere. «Lascia stare, Sam.È... complicato.»

Mastica. Secondi di silenzio che diventano minuti. Mi prende la mano, costringendomi a guardarlo.
È fin troppo curvo sul mobile della cucina: la sua altezza sfida le leggi umane. Eppure mi guarda e in un ammasso di muscoli come quello ci trovo due grandi occhi colmi di preoccupazione e... amore.

Man mi ha fatto notare con quanta facilità si possa comprendere quello che Sam prova per me, e da allora devo ammettere che mi sento abbastanza uno schifo, una codarda. Si perché, ecco, non l'ho mai rifiutato apertamente. Non me la sono mai sentita; spezzargli il cuore così sarebbe davvero inutile: è una cosa che deve capire da solo. Anzi, secondo me l'ha già capita, motivo per il quale spesso mi lascia in pace a pensare e si rende conto che non può andare oltre con la nostra relazione se io non voglio.
Mi rispetta.
E lo apprezzo così tanto. Ma c'è differenza, tanta differenza tra apprezzare e amare.

Ciò che vedo nei suoi occhi scuri ora che mi sta guardando fisso, mi da la prova definitiva: io non potrò mai guardarlo così. Mentirei a me e a lui, e io non so mentire, quindi per giunta lo farei anche male.

Levo la mia mano da sotto la sua, e schiarisco la voce, che sembra totalmente sparita. Poi gli dico che devo studiare, cosa abbastanza vera.
«Oh, va bene. Allora ci vediamo domani, Hubby.» Si alza e mi schiocca un bacino sulla fronte.
«A domani, Sam.»

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