Capitolo 34-Ryan

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Uhm dunque. Capitolo nero, quale novità, E SPARATE OPINIONI, CASPIUS, DI QUALUNQUE GENERE!

Non preoccuparsi era diventato impossibile. Ryan viveva al ritmo della sua crescente ansia e non trovava più un modo per calmarsi. Nemmeno Jed ci riusciva.
Layla aveva iniziato a tenergli compagnia, spendendo le ore a parlare della sua scoperta che aveva proposto ad ospedali e case di cura. Sosteneva di aver rivoluzionato il campo medico proponendo l’utilizzo delle ombre. L’unico problema era il dove recuperarle e anche se non lo diceva apertamente, Ryan era piuttosto sicuro che lei volesse convincerlo a tornare in loro balia per potergliele donare alcune. Non si espresse a tal proposito.
Un giorno arrivò in camera sua con un’aria decisamente turbata. Iniziò a gesticolare con la bocca semiaperta, prima di sbuffare e decidersi a parlare.
«Ragazzo, cerca di capirmi: nessuno merita di morire, come ha ripetuto allo sfinimento tua sorella per convincermi a lavorare su Diane.» fece una pausa «Ora, vedi, se ti spiegassi nei dettagli le ragioni per cui al momento sono qui a chiederti di scendere non lo faresti più. Perciò seguimi e non dare di matto.»
La situazione non prometteva bene, tuttavia Ryan si lasciò convincere e la seguì al piano terra. Lì, ad accoglierlo sull’entrata nell’atto di stringere la mano a suo padre, trovò un uomo che vagamente gli ricordava molto. Troppo. Si accorse del ragazzo fermo sulle scale. Lo salutò. E la parlata nasale lo tradì.
«No! Vattene!» gridò Ryan con l’intenzione di chiudersi in camera sua per il resto dell’eternità. Layla gli strinse la presa intorno al braccio. «Devi perdonarlo.» ordinò. Forse non si rendeva conto di quanto fosse assurdo quel che stava dicendo.
«Perdonarlo? Ben? Io?» chiese sarcastico il moro «Cinque minuti e scendo!»
«Esatto, lo farai tu come ha fatto lui nei confronti di Callum.» disse Layla annuendo come volendo darsi ragione da sola.
«Lui ha perdonato Ercole?» ripeté Ryan. Layla annuì. «Ed Ercole si è scusato?» domandò il ragazzo. Lei si posò una mano sul cuore «Garantito.»
«Beh io non lo faccio.» stabilì il moro scomparendo in camera sua. Layla iniziò a bussare alla porta contro la quale lui si era appoggiato.
«Andiamo, tu non puoi capire!» disse. E no che lui non poteva capire, non ci arrivava assolutamente, perché volevano che perdonasse Ben, l’uomo colpevole del suo trauma d’infanzia e di una serie di altri traumi?! La sua vita era un unico trauma.
«Ryan, tu non sai e non hai mai saputo nulla su di lui. Adesso che i tuoi sono vivi è come se nulla fosse mai successo. Perdonalo.» tentò Layla.
«Io lo perdono per aver sparato a mia madre e a mio padre, aver tentato di fare lo stesso a me e Tessie e per avermi poi fatto credere che lei fosse morta, per avermi reso orfano ed avermi condannato a quello stupido test?! Ma col cacchio!» sbottò il ragazzo. Scivolò a terra contro la porta «Mi rifiuto da principio!»
Layla smise di bussare e sospirò un paio di volte. «Dovremo parlarci per bene io e te, ma non intendo farlo adesso e attraverso una porta.» gli disse «Tanto qualunque cosa ti dicessi non mi ascolteresti. Non sei determinato, sei ostinato
Pose l’accento sull’ultima parola e dopo una lunghissima pausa in cui Ryan non si azzardò a parlare aggiunse «È soltanto un uomo. Dimentica quello che ha fatto. Tutti noi abbiamo dimenticato ciò che hai fatto tu
Quattro cicatrici sul dorso della mano. Altrettante ne avrebbe avute Ben.
«Io non ero in me quando è successo quel che è successo.» rispose, ripetendo quello di cui Diane voleva convincerlo quando si svegliava in preda agli incubi nel cuore della notte.
«E lui era ubriaco!» esclamò Layla «Più di così non potreste assomigliarvi!»
Ryan veniva paragonato all’uomo che più temeva e disprezzava sulla faccia della Terra. Decisamente magnifico, era caduto parecchio in basso.
«Non hai fatto alcuna fatica a perdonare Amber, mi risulta. Oppure Diane.» gli ricordò la ragazza dall’altro lato della porta «Sentiamo con quale scusa vuoi dirmi che loro sarebbero diverse da Ben.»
«Amy non c’entra nulla. Quello è stato un suicidio assistito.» rispose il moro. Però Diane non riusciva a scusarla davanti a Layla. L’aveva perfino ritratta, rannicchiata in un vortice di grandine, ed in seguito aveva tentato di fondere i suoi lineamenti con i propri, giusto per fissarsi nella testa il concetto che era stato lui stesso ad esprimere, ovvero “Io e lei siamo uguali, se non ci aiutiamo a vicenda non lo farà nessun altro”.
«Ryan, lo so che hai ancora paura di Ben, me lo ha detto Amber. Questo se lo ricordava, mi ha ripetuto mentre lavoravo su di lui. È stata molto dettagliata a proposito di come ti senti quando lo vedi.» riprese Layla. Dopodiché recitò a memoria le stesse parole che il ragazzo aveva confidato ad Amber e lui le mormorò a bassa voce: Paralizzato. Torno il bambino che non sapeva come girarsi e pensava soltanto “Se preme il grilletto, sono morto”.
«Ti chiedo di provarci. Se non ci riesci non ti biasimo. Però almeno tenta.» lo implorò la ragazza «Callum gli aveva sparato ma si sono parlati ed hanno risolto. Anche se si detestavano. Anche se c’era l’ostacolo della madre di Call.»
«Sua madre?» domandò Ryan sforzandosi di ricordare se aveva mai sentito Callum parlarne. La conclusione fu negativa.
«Ti prego, non è questo il momento e non sono io a dovertelo dire.» sbuffò immediatamente Layla. Il moro chiese soltanto «Lei non c’è più?» e si ammutolì. Callum non ne aveva mai detto nulla. Non andava in giro sbandierando la sua sofferenza per l’assenza di una componente tanto importante della famiglia. E nemmeno Eliz c’era più, però neanche quel pensiero aveva mai abbandonato le labbra del Colosso. Mentre Ryan oscurava gli altri con la sua tragedia personale rendendoli personaggi secondari nonostante i loro drammi. Si alzò e raccolse in silenzio i disegni che aveva fatto dei suoi amici. Prese a passarli sotto la porta a Layla.
«Né madre né padre eppure sorridenti» disse allungandole un disegno di Lucas ed Amber di cui andava piuttosto fiero. Dopodiché Jed: «Non una persona che lo prenda sul serio, deriso in continuo ma sempre solare.» e sorrideva eccome, il suo amico in quel disegno luminoso. Cercò l’unico ritratto esistente di Callum per commentare «Soltanto il padre, per quanto so io, ma è la persona più forte che conosca.»
«Non ti pare di starti distraendo?» gli chiese Layla. No, niente affatto. Doveva solo arrivare al punto.
Fra i ritratti di Jakob l’unico veramente decente era anche l’unico in cui non sorrideva come un idiota. «Lo chiamano assassino. Io lo chiamo migliore amico. Buono solo ad attaccare briga, secondo lui.»
Poi passò a Seth. Seth era protagonista di un numero esagerato di disegni, tutta colpa degli occhi e dell'espressione unici. «Lo conosci meglio di me.» sentenziò Ryan.
Marika e Diane, poi decise di aver finito. E allungò gli ultimi ritratti, presi da quell’album che nessuno doveva trovare.
«Una famiglia che non sente sua, con un fratello egoista e testardo che non le concede le attenzioni che merita e che l’ha fatta scappare.» disse a proposito di Tessie. Ormai si era autoconvinto che Tess fosse scappata perché non resisteva più a lui. Avrebbe spiegato il perché non volesse tornare a casa. Aprì la porta «E che però ora cerca di migliorarsi. Ben sarà ancora giù? Lei vorrebbe che lo perdonassi…»
«Aspetta soltanto te.» rispose Layla sorridendo e tirandosi in piedi. E infatti Ben si trovava ancora sull’entrata della casa.
Bastava non pensare agli anni passati. Al passato. A tutte le cose che erano successe, iniziate e finite anni prima. Concentrarsi sulla situazione del momento e non immaginarsi l’uomo vestito con un camice logoro che stringeva nella mano tremante un’arma da fuoco. E in quel caso, pensare si trattasse dell’arma di Teddy, che serviva a fare del bene. Bastava davvero quel poco lavoro di mente per abbattere il muro di terrore ed odio e avvicinarsi a Ben. Abbracciarlo, perché sicuramente anche lui aveva una famiglia forse anche spezzata, perché somigliava a Ryan è perché Tessie avrebbe fatto così. A lei non importava minimamente il passato delle persone, la loro etnia o religione, quando avevano bisogno di aiuto lei aiutava e un abbraccio non lo negava a nessuno.
Ben non si scompose. E nella fervida immaginazione di Ryan si faceva spazio un finale palesemente troppo perfetto per poter esistere. Un finale che prevedeva il ritorno di Tessie in quell’esatto momento. Che la vedeva fiera, orgogliosa del fratello. Però il ragazzo si schiaffò mentalmente una mano in faccia. Quello era nuovamente un pensiero egoista, non desiderava che essere notato. Soltanto lui era capace di irritarsi da solo.
Layla portò via un Ben scosso a dir poco e prima ancora che Ryan potesse voltarsi, sentì una stretta sulla spalla. Inizialmente rassicurante, poi sempre più salda e dolorosa, al punto che le unghie di sua madre gli si conficcarono nella carne e l’ombra che lo teneva in vita prese a scalpitare in quel punto finendo per mostrarsi attraverso il tessuto della felpa.
«Siete incoscienti!» strillò la donna rivolgendosi, a giudicare dalle vene tese sul collo che indicavano la rotazione del capo, anche a Jason «Vi siete resi conto di chi era?!»
«Sono passati tanti di quegli anni…» sospirò suo marito «Direi che è acqua passata.»
«Acqua passata?!» fece Lauren isterica. Non aveva smesso di stringere la spalla di suo figlio. «Tu chiami un omicidio acqua passata?!»
«Non urlare così davanti a lui.» ordinò l’uomo riferendosi a Ryan, come se il ragazzo avesse tre anni. Jason era perfettamente calmo e assomigliava parecchio a Tessie in quella situazione. Mentre Lauren aveva stretto i pugni come era solito fare Ryan, anche se con una mano gli teneva la spalla e quindi lo stava graffiando piuttosto malamente. Per essere una donna era parecchio alta, in sostanza sfruttava Ryan giusto come appoggio.
«Non urlare.» ripeté calmo Jason. Poi stringendole la mano che stava a tutti gli effetti lacerando la spalla del ragazzo: «Lascialo.»
Sembrava tornato il militare che Ryan ricordava. Inflessibile e autoritario. Mentre Lauren stringeva troppo forte suo figlio, probabilmente con un accenno di protezione nei suoi confronti. C’era da chiedersi da chi voleva proteggerlo. C’era da chiedersi perché Jason fosse improvvisamente diventato così freddo. E c’era da chiedersi perché cavolo Ryan avesse la lacrima facile in quei giorni e volesse soltanto chiudersi in camera e suonare. Guidare le dita impazzite sulle corde di una chitarra e concentrarsi solo sul loro movimento, perdersi nel suono e per una volta non pensare ad altro.

ESCAPE- RememberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora