14. Memoria

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L y d i a ❀ 

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Ti amo, gli avevo detto. Di getto, senza riflettere: una dichiarazione sincera, sentita. Avevo dato voce ai miei sentimenti dopo l'ennesimo gioco erotico. Quando tutto intorno a noi perse di significato, il mondo parve cessare la sua corsa e rimasero semplicemente Lydia e Justin. Due sfortunati amanti. 

Ti amo, gli avevo gridato con lo sguardo. Glielo avevo riferito a voce flebile, rotta dal piacere ma soprattutto dalla voglia di ricominciare. Nel momento esatto in cui i nostri cuori battettero all'unisco, l'uno di fianco all'altro.

Ti amo, glielo avevo quasi raccontato. Come la storia preferita di un bambino che ha voglia di dormire sogni tranquilli, quella che si racconta prima di andare a dormire: quella però era la nostra trama, scritta a quattro mani.  

Ti amo, dissi. 

Ma lui rimase in silenzio. Non vi fu risposta né sorriso: abbraccio, carezza, nulla di tutto ciò. Semplicemente rimase impassibile, alzò lo sguardo e incastonò le sue iridi caramellate nelle mie. Cercai una risposta, il perché di tanta freddezza. 

Forse avevo sbagliato, probabilmente avevo corso troppo. Eppure quelle due parole, quelle cinque lettere mi parvero l'unica cosa giusta da dire in quel momento. Io lo amavo e non avevo smesso di farlo neanche per un istante, anche quando mi convincevo del fatto che il nostro amore, agli occhi degli altri nocivo, aveva urgente bisogno di trovare fine.

Si alzò dal divano, lasciò la mia figura nuda e sentii freddo. Mi accarezzò una guancia e mi sorrise appena, incapace di proferire parola. Io socchiusi le labbra e abbassai lo sguardo, sorreggendomi sui gomiti. 

Gli avevo aperto il mio cuore ancora una volta, avevo trovato il coraggio di dichiarargli il mio amore ma lui non era stato abbastanza forte in quel momento. Come biasimarlo? In fin dei conti per lui, gran parte delle cose che lo circondavano, avevano perso di significato. A partire da me. Lo stesso i suoi genitori. Come si fa a vivere nella consapevolezza di non ricordare la propria madre o il proprio padre? Justin aveva il diritto di sentirsi appresso, spaventato da quel mio ti amo. Ero stata un'incosciente.

Lo lasciai andare, rimasi da sola sul divano di casa per un tempo che parve infinito. Rannicchiata con addosso una coperta di pile che mi aveva adagiato sulle spalle: perché nel momento esatto in cui si allontanò da me, cominciai ad avere freddo. E non perché ero completamente nuda, bensì perché il calore del suo corpo, impresso sul mio, mi abbandonò talmente bruscamente da formare un vuoto. Fisico e mentale. 

Poi udii la sua voce, stava sicuramente parlando al telefono. Rizzai le orecchie per sentire meglio ma fu tutto inutile quindi mi decisi a raggiungere la cucina. Camminai in punta di piedi, scalza, nella speranza che non mi sentisse arrivare: quando mi fermai sull'uscio, l'uomo era girato di spalle. Aveva addosso i boxer, solo quel lembo di tessuto. La sua schiena scolpita, robusta mi si piantò davanti. Era teso. Mi fermai ad ammirare i tre tatuaggi: l'indiano, la scritta e il paio di ali. Non mi sarei mai stancata dei suoi tatuaggi.

"Come stai piccola mia?" domandò. La voce debole, di qualcuno che ha tanta voglia di scoppiare a piangere. Socchiusi le labbra. "Tutto bene con il lavoro?" proseguì con le domande. Io di canto mio cercai di capire chi ci fosse dall'altro capo del telefono.

Justin tirò su con il naso, poggiò un palmo sull'isola e guardò in basso. Lo sentii sospirare: avrei voluto avvolgere le mie braccia attorno al suo addome ma fui costretta a reprimere il desiderio. Lo sentivo assente, a tratti disperato. 

"Hai deciso se tornare per il compleanno della mamma?" domandò un attimo dopo. A quel punto capii: era Adele. 

Mi lasciai sfuggire un sospiro, Justin percepì la mia presenza e si voltò di scatto. Mi scrutò da capo a piedi, non mi presi neanche la briga di coprire del tutto il mio seno. 

The Feeling 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora