20. La donna giusta

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L y d i a

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Tredici giorni. Senza guardare negli occhi Justin, senza rivolgergli la parola. Tredici giorni trascorsi a pensare: a cosa fare, le scelte giuste da intraprendere. Dodici notti insonni, passate a dormire di fianco a mia madre, senza che lei se ne accorgesse, per poi sgattaiolare fuori dal letto appena le prime luci dell'alba facevano capolinea sulla cittadina canadese. Tredici mattine rimasta a fissare il solito caffè latte a stomaco vuoto, incapace di mandare giù anche solo un bicchiere d'acqua. Avevo la nausea, di continuo. Ero stanca: ma più cercavo di convincermi di riposare, più la mente vagava altrove, tornava indietro nel tempo. E mi costringeva a rivere i momenti trascorsi insieme a Justin, immaginando un futuro diverso: continuavo a chiedermi come sarebbe andata se Justin non avesse deciso di salire in macchina, la sera dell'incidente.

Strofinai le tempie con le dita, la testa mi doleva. Avevo preso un'aspirina, ma aveva fatto effetto poco e niente. D'un tratto, un volantino cadde su tavolo di fianco alla mia tazza di caffè latte. Mi voltai, era Noah. Avevo dormito da lui la notte precedente. Mi aveva invitata a cena da lui e, tra un bicchiere di vino a l'altro, mi ero addormentata. Il mattino seguente mi ritrovai nel suo letto, lui raggomitolato sul divano, con una misera coperta spalmata addosso.

Aveva fatto una doccia, io mi ero concessa la prima colazione, senza però riuscire a bere più di un sorso del contenuto della tazza. Noah si sedette vicino a me, io raccolsi in una mano il volantino.

"Centro benessere?" domandai, chiedendo conferma. Lui annuì.

"Che ne dici?" chiese, riempendo la sua tazza vuota con il caffè.

Fissai il volantino: fisicamente ero un disastro. Due occhiaie ben visibili, carnagione pallida, capelli sempre legati in una coda. In tredici giorni, l'unico motivo che mi aveva spinta ad uscire di casa era recarmi da Noah.

"Non lo so, ultimamente non sto bene" ammisi, poggiando il pezzo di carta sul tavolo. Tornai a fissare il liquido all'interno della tazza davanti a me.

"Appunto!" esclamò masticando un biscotto alle mele. "Questa è la tua occasione per tornare a stare bene" afferrò nuovamente il foglio e me lo sventolò davanti al volto. 

Io sbuffai, pensandoci sopra. Forse non aveva tutti i torti: del sano relax mi avrebbe aiutata.

"D'accordo" acconsentii facendolo esultare. Io sorrisi.

Noah si alzò dalla sedia bevendo tutto d'un sorso il suo caffè.

"Preparati, tra poco partiamo" disse, fissando il suo orologio da polso.

"Adesso?" sgranai gli occhi. Non ero pronta, né fisicamente né psicologicamente.

"Oggi c'è lo sconto sulle coppie" ammise seriamente.

Rimasi in silenzio, fissai la sua espressione per niente scomposta. Poco dopo, scoppiò a ridere. Sospirai e rilassai i muscoli.

"Stavo scherzando" mi scompigliò i capelli con una mano. Io cercai di stare al gioco, nonostante l'immagine di me e Noah insieme mi avesse non poco lasciata pensierosa.

Se ne andò via, senza aggiungere altro. Io fissai i suoi movimenti e nascosi la testa tra le braccia, piegate sul tavolo. Sarei volentieri tornata a letto.

Tornò poco dopo, quando avevo già sparecchiato. Indossava una camicia aperta sul petto e un paio di jeans. Gli occhiali da vista sulla testa e il cellulare in mano.

"Pronta?" domandò poggiandosi allo stupite della porta.

"In realtà non proprio" puntai il mio sguardo sul mio abbigliamento inadatto. Indossavo un paio di leggings neri e una felpa monocolore. Afferrai una ciocca di capelli, la quale fuoriusciva dalla coda e sbuffai. I vestiti della sera precedente erano in lavatrice, ricoperti di vino. Sì, avevamo davvero esagerato. Quelli che indossavo erano, ancora una volta, gli abiti della moglie di Noah.

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