Lettera N.

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Sono già le otto di mattina. Le urla di qualcuna mi svegliano molto prima del previsto. La mia sveglia solitamente è alle nove, ma quando a chiamarti dai tuoi pensieri sono le urla, i pianti di una piccola bambina che si dimena nella culla, beh, bisogna alzarsi. Fare la mamma non era un mestiere propriamente scelto da fare sola, ma certe cose nella vita non si possono prevedere.

Mi chiamo Nicole, ho appena venticinque anni, e sono già mamma di una bambina di quattro mesi, la mia piccola Noemi. Noemi non ha un papà, o meglio. Il papà di Noemi, il mio caro ex, si chiama Stefano. Non è morto in guerra, o diventato missionario per il Terzo Mondo. Stefano ha optato la soluzione più semplice. Nonostante credessi alle sue parole, alla sua buona fede e quella sua responsabilità di genitore, ha preferito lasciarmi sola con una bambina in grembo.

:- La vita da genitore non fa per me. Disse, prima di congedarsi del tutto. Che dire, non potevo e volevo di certo abortire. Certo, Noemi mi ricorda molto lui, e averla in casa vuol dire vedere ancora girare Stefano col cellulare in mano, o con l'accappatoio. Ad ogni modo, non potevo abbandonare mia figlia. Era pur sempre mia, era un qualcosa che io ho voluto. L'avrei cresciuta, sola, ma l'avrei cresciuta. Noemi è nata, appunto, quattro mesi fa. Ha gli occhi verdi come i miei, il naso piccolo e le labbra medie. Era un mix di entrambi, è vero, ma aveva ripreso più da Stefano. In ospedale, il padre non si presentò. Certo, non è così che immaginavo di vivere l'emozione del primo bambino. Ma quando la dottoressa me la consegnò, capì che Noemi era un qualcosa che mi apparteneva. L'ho portata in grembo per nove mesi. Nove mesi difficili, visto che non ho avuto una gravidanza molto semplice. E ora, che ce l'aveva fatta, ce l'avevamo fatta, meritava di guardare con quei suoi occhioni la sua mamma, la sua casa, la vita che avrebbe vissuto. Ho seguito la gravidanza sola. I miei genitori erano rimasti a Roma, dove ho vissuto anche io la mia adolescenza. Ma poi sono tornata a casa. Napoli era la mia città, e volevo lo fosse anche per Noemi. Qui avevo un fratello, Dennis. Ventisei anni, capelli biondi e occhi castani. Vive con la sua ragazza, che non mi è mai andata molto a genio. E non va a genio neanche a Noemi. Si vede ch'è mia figlia, abbiamo già gli stessi gusti.

Erano passati solo cinque minuti. L'illusione che Noemi abbia smesso di piangere, era appunto, un'illusione. Sono costretta ad alzarmi, ed andare nella sua stanzetta rosa. Mi appoggio alla culla, lei non fa che muoversi urlando. La guardo, sospiro. Inizia una nuova giornata, per me, per noi. La prendo in braccio, pare calmarsi. Almeno per un minuto. Appoggia la testa sulla mia testa, io la riempio di baci. Noemi era tutto ciò che più mi interessava. E anche se conducevo uno stile di vita normale, con un semplice lavoro di commessa in un negozio, avevo giurato a me stessa che Noemi avrebbe avuto il meglio dalla vita. Sempre. Noemi era la cosa più bella che potessi avere. Era pesante, era difficile andare avanti soli. Ma ce l'avrei fatta, per lei. Noemi soffre di un disturbo respiratorio, lieve, per fortuna. Ma capita che devo tornare in ospedale per accertamenti, e vederla con una piccola maschera e dei tubi, mi piange il cuore. Non riesco neanche a pensarci, non volevo vederla mai così. Ma chi vorrebbe mai vedere il proprio figlio su un letto d'ospedale? Purtroppo Noemi l'aveva ereditato dal padre, e anche se avessi voluto impedirlo, con quel problema c'avrebbe vissuto per sempre. Per il momento, deve solo prendere delle gocce che mescolo col latte. La nuova terapia faceva progressi, Noemi sembra non avere più crisi respiratorie frequenti.

La porto in cucina, sistemandola nel seggiolone. Io mi volto verso il fornello a preparare il biberon, e la mia colazione. Mi giro, verso di lei, accarezzandole la guancia. Era uno spettacolo vederla sorridere col ciuccio, amavo troppo mia figlia. I suoi occhi verdi mi guardano ridenti, chissà cosa pensava della sua mamma. Nel trambusto che come al solito faceva, il latte era pronto. Mi giro completamente, versando le gocce. Non volevo vedesse questi episodi. Lo so, è piccola e non avrebbe capito. Ma preferivo evitare, in ogni caso. Mi siedo, la prendo in braccio e le do il suo biberon. Impara a tenerlo piano piano da sola, ma c'era sempre la mia mano che lo guidava. Bussano alla porta, mi alzo per vedere chi fosse. Presumo fosse Dennis, prima di andare a lavorare in ufficio.

Resta ancora un po'. ||Dries Mertens||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora