Capitolo 32

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Edo iniziò a migliorare giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. I progressi che riuscì a fare sbalordirono tutti, iniziarono a definirlo “Una macchina da guerra.”
Quando i medici dissero che poteva finalmente tornare a casa, sia lui che Beatrice avvertirono un'immensa gioia partire dal profondo del cuore, come se qualcuno avesse iniziato a sparare fuochi d’artificio al centro del petto. <Non ti sei stancata?> Domandò in macchina, mentre Bea guidava per riportarlo nel loro nido d’amore. <Stancata di cosa?> Si fermò al semaforo rosso, girandosi verso il ragazzo. <Beh, di fare la croce rossina.>
<Non è stato facile, soprattutto per il fatto che ero sicura di non riuscire ad aiutarti davvero, mi sono sentita impotente molte volte. Ma io ti amo, avrei fatto questo e anche di più.>
Una volta davanti al portone, Edoardo si aggrappò a lei per salire le scale che portavano all’ascensore.  <Quanto sei pesante.> Ansimò Bea sorreggendolo. A quelle parole , un po’ per scherzo ,un po’ perché davvero non ce la faceva a stare in piedi, Edo si lasciò cadere a peso morto su di lei, che finì sui tasti dell’ascensore facendolo bloccare.
<Perfetto!> Urlò Beatrice, provando a premere ripetutamente il tasto dell’emergenza. <Non funziona.> Si avvicinò a Bea sorridendo maliziosamente, le baciò il collo mentre con entrambe le mani le stringeva i fianchi. Provava dolore, ma il desiderio risultò più intenso rispetto a tutto il resto.
<Non devi sforzarti.> Lo allontanò delicatamente, premendogli la schiena del ragazzo contro la parete. <Reggiti qui.> Indicò il maniglione di fianco a lui, ma in risposta la tirò a sé baciandola . <Siamo a casa nostra, lasciati andare.>
<Da quando viviamo in un ascensore?!> Cercò di divincolarsi, ma involontariamente lo colpì sull’addome, proprio dove era posizionata la benda. <Ti ho fatto male? Edo, non volevo!> Gli si avvicinò prendendo il suo viso tra le mani, ma quando incrociò i suoi occhi non trovò una smorfia di dolore, bensì un ghigno eccitato da quella situazione. <Sei uno stronzo.> Lo abbracciò e strofinò il naso sul suo collo. <Sfrutto la situazione a mio vantaggio. Sono passati mesi.>
Grazie a lei capì che l’intimità non era solo sesso, si poteva essere intimi anche restando vestiti. L’intimità era costituita da sguardi che nessun altro era in grado di decifrare, carezze che solo la persona che ami, era in grado di regalarti.
Si rese conto di quanto fosse una sfida amare qualcuno. E che più si amava ,più si aveva voglia di farlo, si rese conto di quanto fosse meraviglioso correre il rischio di abbandonarsi completamente ad una persona, provare il brivido di sprofondare nel vuoto, ma al tempo stesso di essere salvi. Perché l’amore era un’arma potentissima, che poteva salvare come distruggere.
La guardò e si rese conto di quanto fosse fortunato, di quanto fosse bella con quegli occhi da sognatrice, di quanto si amassero nonostante i problemi.
Ogni volta che la guardava, la toccava o la baciava era come se fosse la prima volta, gli mancava il fiato, ogni volta si innamorava sempre di più e ogni volta la paura di perderla lo assaliva.
L’ascensore ripartì all’improvviso, e Bea gli disse con lo sguardo 'Te l’avevo detto!’.
<Questa casa profuma di te.> Constatò Edoardo, sedendosi finalmente sul suo divano. <Quello cos’è?> Indicò un regalo sulla libreria, incartato con una carta azzurra e un fiocco rosso.
Leggendo il suo nome scritto a penna, ma non riconoscendo la scrittura, lo aprì senza porsi troppe domande.
Un misto di rabbia e malinconia lo pervase, suscitando in lui emozioni così contrastanti da fargli tremare le mani. <Quando te l’hanno dato?> Chiese a Beatrice, senza guardarla.
<Pochi giorni dopo la visita in ospedale.> Si mise di fianco a lui, poggiando la testa sulla sua spalla. <Eri bellissimo.> Sfogliarono insieme l’album che avevano creato per lui i suoi genitori, tante foto che racchiudevano un passato felice trascorso insieme, senza litigi o finte prese di posizione solo per difendere l’onore della famiglia. <Assomigli tantissimo a tuo padre!>
<Caratterialmente no, per fortuna.> Alzò le spalle chiudendo l’album, lo gettò sul tavolino difronte e sospirò sonoramente. <Ci ho parlato Edo, sembrano davvero pentiti. Vogliono chiederti scusa, recuperare anche di poco il rapporto con te. Il senso di colpa li sta consumando>
Scosse la testa in segno di protesta, si era ripromesso che niente e nessuno sarebbe stato in grado di farli riavvicinare, era un patto fatto con se stesso, una promessa che non aveva intenzione di infrangere. <Non c’è niente da recuperare, hanno avuto tempo per farlo>
<Sei consapevole anche tu che non hai un carattere facile? Bisogna pesare bene le parole con te, sei permaloso, scontroso il più delle volte, vuoi avere sempre ragione e se le cose non vanno come dici tu allora… è la fine del mondo. Edo, devi guardarti allo specchio ogni tanto e renderti conto di ciò che la gente si trova davanti.>
Beatrice non riuscì a trattenersi e, per la prima volta, creò la situazione giusta per litigare, per sbattersi in faccia ognuno i difetti dell’altro. <Davvero Bea? Sei la ragazza più permalosa che io conosca e mi dai del permaloso!>
<Si parla di te adesso, non di me.> Sentenziò lei mentre medicava la sua ferita sul fianco. <Sei troppo arrogante Bea, permalosa e ipercritica e…> provò dolore quando gli tamponò la ferita con il disinfettante, ma non lo disse.
<Visto! Nascondi sempre i tuoi sentimenti, non so mai cosa ti passa in quella testa dura, sei cocciuto, te lo direi nel mio dialetto, ma non capiresti…>
Le bloccò le mani alzandosi, le diede un leggero bacio sulle labbra e la zittì, provocandole un sorriso. <Anche a casa, comunque, voglio il tasto per chiamare le infermiere. Solo quando mi importuni.>
<Sei un cretino.>
Gli diede un leggero schiaffo e lui la abbracciò .
E in quel momento ,pensò solo a quanto gli era mancato tutto quello.
………………………..
                                                      
Edo, fu svegliato da un’ improvviso dolore alle tempie , di notte le cicatrici gli procuravano molto prurito e lui non riusciva più a sopportarlo.
Scese dal letto con una smorfia di dolore, dirigendosi verso la terrazza per fumare una sigaretta. Da quando era stato dimesso ,aveva ripreso a fumare più di prima , si rese così conto che per andare avanti, avvertiva la necessità di attaccarsi in modo morboso a qualcosa.
Osservò il cielo stellato buttando fuori il fumo dalla bocca, non riusciva ad addormentarsi, più notti passavano , più le sue ore di sonno diminuivano. Le poche volte che chiudeva occhio lasciava dei segni evidenti su Beatrice, le stringeva le braccia, o i polsi. Assumeva molte medicine tra cui ansiolitici e antipsicotici, per placare gli incubi che attanagliavano la sua mente ormai da diversi anni, ma riuscì a risolvere ben poco. Era sempre più nervoso e distante, sentiva il costante bisogno di sfogarsi, di cacciare fuori la rabbia che giorno dopo giorno, si accumulava dentro il suo corpo.
Una folata di vento freddo gli scompigliò i capelli, spettinandoli un po’. Proprio in quel momento, si rese conto di quanto la sua vita dipendesse da Beatrice e di quanto avrebbe fatto, per difendere tutto quello che avevano costruito.

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