Domenica, Settimana 1

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10.47 AM

-Eve!-
Mia madre mi sta chiamando da almeno dieci minuti ininterrottamente e la mia testa sta già implodendo. 
-Eve, sbrigati o arriveremo tardi a messa!- sento le sue urla ovattate dalle pareti e mi getto contro la porta della mia stanza aprendola precipitosamente.
-Mamma, per favore, sto scendendo- dico io correndo giù per le scale facendo svolazzare il vestito attorno alle mie gambe in un vortice di fiori. La vedo spuntare dalla porta della cucina e camminare a grandi passi verso di me, con le dita pronte sul mio viso a sistemarmi i capelli, poi le spalline, le pieghe della gonna.
-Mamma, tranquilla. È solo una messa- cerco di rassicurarla perché la vedo fin troppo agitata e tento di placare le sue mani che si muovono senza controllo sul mio volto.
-Certo, sì. Ma sai cosa la gente può arrivare a pensare. Tutto sta in come appari, non credi?-
Le sorrido stringendole delicatamente i polsi e abbassandoli sui suoi fianchi, per posarli dove dovrebbero stare.
-Mamma- la rimprovero dolcemente con tono calmo.
Lei sospira e mi posa un bacio sulla fronte fuggendo dalla mia presa per afferrare il cappotto e la borsa sul mobiletto accanto alla porta d'ingresso.
-Andiamo. Papà è già qui fuori- dice spalancando l'entrata e invitandomi con lo sguardo ad attraversarla.
Ho già visto tutto questo, è la classica domenica mattina che si ripete a casa mia da quando ne ho memoria, e questo mi mette al contempo tristezza e nostalgia della mia sempre più lontana infanzia che però sembra comunque ripetersi all'infinito tra queste mura. Infilo il cappotto leggero e seguo mia madre oltre la porta. 
La sottile brezza fresca di una primavera inoltrata mi sferza i capelli, mio padre è infondo al vialetto e sta parlando con il signor Porter, mentre la moglie si occupa della presentazione del figlio Chris che cerca di scacciare le sue mani. Direi che è un'abitudine abbastanza comune in questo quartiere, o forse solamente io e il povero Chris siamo vittime di queste eccessive attenzioni.
-Oh, Annabelle! Possiamo andare- dice mia madre chiudendo a chiave la porta di casa e raggiungendo la signora Porter, mentre io la seguo in silenzio. Chris mi affianca in un attimo e ci scambiamo uno dei nostri soliti sorrisi d'intesa.
-Ciao, Chris- lo saluto abbassando lo sguardo.
-Hey, Eve. Sei carina con questo vestito-
-Oh... Grazie- dico arrossendo imbarazzata. Non so perché, ma nell'ultimo periodo la mia insicurezza nei suoi confronti sta diventando sempre più pressante, opprimente quasi.
Chris se ne accorge e fa un gran sorriso, come fosse fiero di aver fatto assumere alle mie guance questo colore purpureo, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni grigi delle stessa tinta della giacca abbottonata su una camicia bianca. Il mio sguardo risale sul suo viso sorridente dal colorito leggermente abbronzato, una fossetta nella guancia destra, gli occhi chiari che mi scrutano attentamente, e i capelli scuri e corti, anche se so che sono ricci. Una volta, credo non molto tempo fa, aveva deciso di voler i capelli lunghi, erano arrivati fin quasi alle spalle, e mi pare di averlo invidiato per quanto fossero belli e sinuosi. Mi piaceva farci scorrere le dita e a lui non sembrava dargli fastidio, anzi si crogiolava delle mie attenzioni senza però volerlo ammettere. Poi però erano diventati ingestibili per le sue scarse conoscenze di lacche, gel e piastre e quindi mi disse di averci 'letteralmente dato un taglio', fu l'unico dei due a ridere a quella stupida battuta.
Mi riprendo e subito distolgo lo sguardo da Chris puntandolo verso la chiesa in fondo alla strada e notando qualche persona davanti all'entrata in attesa dell'inizio della celebrazione. Tutte le donne di casa del quartiere si danno appuntamento là davanti ogni domenica prima della messa, non so bene per discutere di cosa, e mia madre fa parte del loro gruppo di perfette casalinghe.
Mia madre, la sua indole da perfezionista la porta a preoccuparsi esageratamente di cosa pensa la gente di lei, e della sua famiglia, e della sua casa, e del suo giardino e così via. Ecco a proposito, il mio è il classico quartiere americano fatto di giardini tutti uguali, come le case, come noi. Quindi è molto facile da immaginare: due file di case uguali che danno sulla stessa strada, in fondo a questa una chiesetta che accoglie i cristiani di almeno tre chilometri lungo l'intero viale, alberi a circa tre metri di distanza l'uno dall'altro sui due marciapiedi a fiancheggiare la via. Ecco più o meno è così, nulla di più, nulla di meno. Un paesaggio razionale che ha colmato i giorni di un'infanzia spensierata e serena, senza drammi e tragedie
Mi aspetta un'altra classica domenica, come tutte quelle che ho vissuto e che vivrò, probabilmente.

-my psycho luvDove le storie prendono vita. Scoprilo ora