Capitolo 29

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Era calato il buio e aveva appena ricominciato a piovere, quando uscirono dal centro commerciale. Fuori il vento era freddo e pungente, Serena si tirò sul viso la pashmina. Emis aprì l'ombrello e, insieme, raggiunsero la sua auto.

Probabilmente era tardi, ma Serena non aveva idea di che ora fosse. Aveva smarrito del tutto il senso del tempo. Guardò a lungo fuori dal finestrino. Era rapita da immagini che, veloci come i vagoni di un treno, le scorrevano davanti senza sapere quale sarebbe stata la loro destinazione.

Emis, di tanto in tanto, le lanciava delle occhiate furtive. Lo sguardo perso. Gli occhi malinconici. Un'aria desolata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla sorridere. Il cuore devastato dal suo dolore. Lo vedeva nell'indifferenza dei suoi occhi vitrei, privi di quella vitalità che avevano un tempo. Doveva riacciuffarla, prima che s'inabissasse completamente. Doveva aiutarla a venirne fuori, attraverso l'unico modo che conosceva. L'unico possibile. Amandola.

Il ritorno gli sembrò interminabile. Raggiunta via Baiamonti, Emis parcheggiò e spense il motore. Fece scivolare la cintura alle sue spalle e si voltò a guardarla. La vide massaggiarsi le tempie. «Cos'hai?». La sua timida voce smosse il silenzio dell'abitacolo, come una valanga provocata da un'eco.

«Niente», rispose lei ai suoi occhi che la fissavano carichi di una tristezza abissale. «Solo un leggero mal di testa.»

Emis le sollevò il mento con un dito e la scrutò a lungo. «Sicura?»

La sua vicinanza la mise a disagio e Serena preferì non rispondere.

Emis le lasciò il tempo di riordinare le idee, di chiedergli aiuto. Attese ancora qualche minuto, poi esplose. «Stai pensando a lui?»

La sua domanda lasciò Serena interdetta, come se sulla testa le fosse piombato un grosso masso, precipitato dal Monte della Verità.

Emis fece un respiro profondo, prima che le sue mani le circondassero il viso. «Perché continui a tormentarti in questo modo?»

«Ci vediamo domani a lezione» tagliò corto lei, ignorando completamente la sua domanda. Slacciò la cintura di sicurezza e impugnò la maniglia, pronta a scendere dal SUV.

«Sere». Emis l'afferrò per un braccio. «Aspetta.»

«Lasciami andare, per favore». Aprì lo sportello, ma lui non mollò la presa.

«No!» sbraitò.

Serena rimase pietrificata al suo posto, con una gamba che le ciondolava fuori dall'auto. Emis la stava fissando con uno sguardo duro. Gli occhi accesi. Vivi. Stavano ardendo. Serena riportò la gamba quasi congelata dentro l'abitacolo e richiuse lo sportello.

«Non ce la faccio più a vederti così. Ti stai distruggendo». La voce rotta, riuscì a stento a terminare la frase.

Serena sprofondò nel sedile. Nessun dolore poteva giustificare il male che gli stava facendo. Ed Emis non se lo meritava. «Via Capodistria, 19/a.»

«È l'indirizzo di Diana.»

Serena guardava il parabrezza, completamente appannato da impedire al suo sguardo di evadere da quella piccola prigione. «Secondo lei sto facendo progressi, mi dispiace che tu non te ne sia accorto. Probabilmente sono percettibili soltanto da un occhio clinico.»

«Perché non mi hai detto niente?»

«Perché non vado fiera di quello che ho fatto.»

Emis la strinse forte al suo petto e le posò la bocca sulla nuca, facendole sentire il calore dei suoi respiri. «Non hai niente di cui rimproverarti, Sere» sussurrò, prima di accarezzarle dolcemente i capelli. «Ed è ammirevole il fatto che tu abbia chiesto aiuto.»

Il Custode dei sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora