Caro diario,
ti scrivo dalla mia città natale. La mia Bari mi ha accolta in tutto il suo splendore, con un sole basso ma caldo e un venticello fresco, per non parlare dei suoi tipici tramonti ad acquarello. Anche il mare mi è mancato. È lo stesso Adriatico di Trieste, ma questo ha quel "certo non so che" che lo rende speciale.
I miei genitori mi hanno sorpresa, facendosi trovare all'aeroporto. Insieme siamo passati da Nina, la mia sorellona. Lei è di una allegria travolgente e di una fantasia sconfinata, che trascina tutti come un ciclone.
Al nostro arrivo ci hanno accolti mio cognato Biagio e i nostri nipotini. Mia madre ha chiamato Nina, ma lei non ha risposto. Io ho sorriso. Ogni volta, la scena si ripete. Certe abitudini non cambiano mai. L'ho raggiunta in veranda e l'ho trovata a cucinare, mentre canticchiava con gli auricolari affondati nelle orecchie.
Quando mi ha vista si è lanciata in un abbraccio tanto forte da stritolarmi, mentre il suo profumo ai fiori di loto mi è entrato dentro come un pugno nello stomaco. Abbracciate, siamo andate incontro agli altri nel salotto, dove Samuele, il più piccolo, ha iniziato a raccontare di tutto. Non si fermava più, sembrava un fiume in piena. Daniele, il maggiore, gli ha fatto il solletico per farlo smettere. Lui ha riso, si è divincolato e i suoi capelli arruffati zampettavano insieme ad ogni suo saltello. Dopo aver ripreso fiato, mi ha raccontato di Teo, il suo migliore amico; dei giochi divertenti che fa all'asilo e dei suoi spericolati tuffi in piscina.
Dopo pranzo, mi sono lasciata stracciare dai miei nipoti ai videogiochi, nonostante la tenera età, conoscono nei minimi dettagli ogni singola strategia. Impossibile batterli, anche per me che sono sempre stata una campionessa in quel genere di cose.
Le ore, in loro compagnia, sono trascorse piacevolmente, ma, ad un certo punto, ho sentito il bisogno di condividere il mio tempo con la mia cara e vecchia amica. La solitudine.
S.
Tornata a casa, Serena diede la buona notte ai genitori e sgattaiolò in camera. Loro non obiettarono, tra il viaggio, i nipotini e, dulcis in fundo, l'ammissione di aver riportato tutto a galla, convennero con lei che aveva avuto una giornata piuttosto piena.
Afferrò la maniglia con una certa irrequietezza nella mano, certa di non trovarla nello stesso identico modo in cui l'aveva lasciata, prima del ricovero in ospedale. Il riflesso di ciò che stava vivendo allora: infinite foto di lei e Demi; peluche di ogni forma e colore a cui, insieme, avevano dato un nome; il diario della loro storia d'amore; fiori essiccati che profumavano ancora; cd musicali dei loro cantanti preferiti; dvd di film visti insieme; incarti di cioccolatini con frasi romantiche. In ognuna di quelle cose, Demi aveva lasciato una traccia di sé. Ci trascorrevano ore interminabili in quella camera, lasciando il mondo fuori. Era il loro giardino segreto, dove sognavano ad occhi aperti e da dove evadevano senza uscire di casa. Una volta entrata, fu travolta da un'infinita tristezza. Demi non era più lì.
«Non ho buttato niente» mormorò Bianca, alle sue spalle. «Li ho soltanto spostati giù nel box. Chiusi in uno scatolone.»
Serena si voltò verso di lei, aveva gli occhi colmi di affetto e compassione miscelati insieme. «Hai fatto bene, mamma.»
«Posso andare a riprenderli quando vuoi, basta che tu me lo dica.»
Serena scosse la testa, ma non sapeva cosa rispondere e un silenzio gravido di significato discese tra loro. Incrociarono gli sguardi e, dopo un tacito accordo, Bianca capì che era il momento di lasciare sola sua figlia. La ragazza iniziò a disfare il trolley e lei andò via. Ad un certo punto, Serena rimase lì, ferma, con le mani sulla valigia a contemplarne il contenuto. Aveva avuto la sensazione che mancasse qualcosa.
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Il Custode dei sogni
ChickLitE' possibile che ogni singola scelta verso il proprio destino sia indirizzata dall'inconscio? E che l'incontro con una persona vista in un sogno abbia uno scopo ben preciso? Fin dove si può spingere il confine tra sogno e realtà, senza cadere nella...