Capitolo 24

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Le ultime sedute si erano rivelate fallimentari, Serena si era chiusa in un improvviso mutismo, che stava diventando un vero e proprio ostacolo alla terapia. Diana voleva obbligarla a confessare ad alta voce ciò che non riusciva ad ammettere neanche a se stessa. Avrebbe dovuto trovare un altro sistema per carpire i suoi pensieri, altrimenti avrebbe dovuto arrendersi davanti al suo fallimento.

Serena credeva che la difficoltà nel raccontare la sua storia l'avrebbe trovata all'inizio, ma, ancora una volta, aveva sorpreso se stessa tirando fuori ogni cosa, come trucchi illusionistici da un cilindro. L'unica spiegazione che riuscì a darsi risiedeva nel dolore. Era devastante e non riusciva a contenerlo tutto dentro di sé. Aveva bisogno di una via di fuga.

Seduta dopo seduta, però, aveva iniziato a prendere consapevolezza di qualcosa. Qualcosa che non aveva previsto e che doveva far scomparire ad ogni costo. Dargli voce l'avrebbe resa reale e non poteva permettere che accadesse. Non amando le bugie, il silenzio le era sembrato il giusto compromesso. L'ipotesi di non frequentare più lo studio, non l'aveva neanche presa in considerazione, probabilmente per dimostrare a se stessa che, nonostante tutto, stava provando a venirne fuori, anche se questo non avrebbe alleggerito in alcun modo il suo senso di colpa. Ma era pur sempre una mano tesa che non voleva rifiutare del tutto, perché, in cuor suo, sapeva che il momento in cui ci si sarebbe aggrappata sarebbe arrivato.

Diana diede una rapida occhiata alla cartella di Serena, prima di lasciar cadere il suo sguardo sulla figura rannicchiata sulla dormeuse: le gambe strette al petto; il capo accostato alle ginocchia; le lunghe ciocche castane sul viso.

Era arrivato.

Latente. Silenzioso. Invisibile.

Il momento in cui la sua paziente si sarebbe nascosta in qualche angolo della sua mente in cerca di un rifugio sicuro. Tutto quello che la ragazza aveva rimosso, rendendola solo apparentemente un soggetto passivo, era sbucato all'improvviso come un orso, sorprendendola alle spalle. Serena non era preparata a quell'attacco e l'unica difesa che le restava era la fuga.

Dal mondo reale.

Un viaggio che la sua coscienza aveva intrapreso per la seconda volta, ma che non sarebbe stato facile far tornare. L'aria assente dipinta sul volto di Serena era solo uno strato di pelle morta, sotto di essa giaceva un ammasso tumorale che continuava a divorarla, indisturbato. Quel momento era stato in agguato a lungo, come un avvoltoio che aspetta di lanciarsi in picchiata su una preda morente.

Nell'ultimo periodo, Serena stava rifiutando il suo aiuto, ma Diana non aveva altra scelta che assecondarla se non voleva rischiare di farla chiudere in sé, ulteriormente. «Vuoi parlarmi del diario?»

Serena voleva farle cenno di no con la testa solo per educazione, ma finì con l'ostentare la sua solita indifferenza. Il silenzio stava diventando una tattica per ingannarla, per questo evitava di guardarla in faccia. Non era pronta a rivelarle l'esistenza di quegli umori altalenanti e di quei pensieri inquieti che si riversavano in lei ogni qualvolta cedeva alla tentazione di leggere quelle pagine, che ancora custodiva come una reliquia e di cui non riusciva a sbarazzarsi. Anche se le avesse strappate via, ogni singola parola trascritta si era scolpita nella sua mente come un geroglifico su di una stele egizia.

«Cosa ti tormenta?»

La voce di Diana sembrò smorzarsi, ovattata dal respiro di Serena sempre più pesante. Il cuore iniziò a martellarle il petto, con i suoi battiti sordi e una lacrima tracciò una riga silenziosa sul suo viso. Le mani iniziarono a contorcersi da sole, forse volevano impedirle di asciugarsi gli occhi.

Coscienza.

Inconscio.

Conflitto.

Perché era così difficile? Serena non sapeva cosa ci fosse scritto nel suo cuore, ma era sicura che leggerlo l'avrebbe uccisa. Sentì le lacrime trincerarsi sotto le palpebre, in attesa di un via libera che non sarebbe tardato ad arrivare.

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