Capitolo 27- La taverna in nero

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Mentre mi chiudo la porta alle spalle, avverto il sapore salato delle lacrime poggiarsi sulle mie labbra aride, infiltrandosi fin dentro la bocca e mi vergogno di me stesso. Senza voltarmi, ma con la speranza di esser seguito da Clara, mi precipito giù dalle scale, lasciando appositamente il portone aperto. Spero cambi idea e scenda per abbracciarmi e dirmi che è stato solo un brutto scherzo, ma non è così e quando scorgo un taxi avvicinarsi, gli faccio segno di fermarsi e salgo, diretto dagli zii. Fa davvero freddo e quando, subito dopo aver pagato il tassista, metto piede fuori dal veicolo, i peli mi si rizzano sulle braccia semiscoperte. Non credo sia giusto tornare a quattro zampe dall'uomo che ha creduto fossi un assassino, ma in fondo ritengo essere l'unico posto in cui possa sentirmi realmente a casa. Così tra congetture, ripensamenti e freddo, poggio il dito sul piccolo campanello. Le luci al piano di sopra, precedentemente spente, si accendono e riversano il loro colore sul giardino di sotto. Il rumore di passi è sempre più acuto fin quando, sulla soglia si staglia la figura esile di Lara, in pigiama ( shorts e canotta larga).

<< Cuginetto, finalmente a casa>> urla entusiasta, gettandosi sul mio collo e quindi facendo cadere i borsoni per terra.

<< Sono qui perchè sono...>> non riesco a terminare il discorso che una voce familiare, distoglie l'attenzione di mia cugina che si volta e si copre le guance con le mani. Richard è in boxer sulla rampa di scale. Dall'aspetto di Richard, deduco l'assenza degli zii.

<< Lara, sono tornati i suoceri?>> sbraita, ubriaco fradicio.

<< Forse ho scelto il momento peggiore per ritornare>> sussurro, manifestando la voglia di andarmene.

<< Non ce n'è bisogno Gabriele, i miei sono in campeggio e quel coglione sulle scale è ubriaco>>

<< E innamorato>> strepita, ancora in cima alle scale, ridendo fragorosamente. E' proprio ubriaco.

Entro in casa e poggio i bagagli all'entrata. Non ho nè la voglia, nè le forze per restare un minuto in più fuori, in una città che non sento nemmeno mia, in balìa del gelo.

<< Gabry, domani mi racconti ciò che stavi per dirmi, prima che Rich ci interrompesse.>> mi dice, salendo le scale, lanciando sguardi di fuoco al fidanzato.

Così, resto sul divano e con la sola compagnia di un documentario sui serpenti, in tivvù. La voce del giornalista è come un'eco che rimbomba nelle mie orecchie e il suo aspetto mi fa rammentare il padre di Clara e di conseguenza lei. Lei, con i suoi occhi verdi, da pochi giorni a questa parte incupiti da agitazione e timore. Come posso esser stato così stupido da non accorgermi di nulla?  Forse ha ragione lei quando dice  che è avvenuto tutto troppo velocemente, ma non ce l'ha quando nega l'indifferenza che prova per quel ragazzo. E' stato lui la causa di ogni nostro problema e ne sono quasi sicuro, mi scervello, ipotizzo, metto in piedi piani che in realtà non hanno neanche delle buone fondamenta e piango, piango senza accorgemene fin quando non mi sfioro le guance e i polpastrelli si imperlano di lacrime. Mi alzo dal divano e cerco a tentoni lo scaffale delle patatine. Il pulsante della luce si trova dall'altra parte della stanza e non ho la voglia di fare venti mattonelle, quando ne posso fare dieci a tentoni. Lo so, sono strano ma ormai non ho più nulla da perdere.

Trovo un pacchetto mezzo vuoto di pringles al formaggio e proprio quando sto iniziando a rilassarmi, il frastuono di un letto che sbatte contro il muro e i versi di un orgasmo che diventa sempre più intenso ad ogni morso di patatina, mi fanno perdere la calma. Mi rialzo nuovamente dal mio giaciglio e dopo aver preso le chiavi, mi immergo nel freddo pungente di una notte d'estate newyorkese. Era inevitabile ritrovarmi di nuovo per strada e quella piccola speranza di rimanere in casa, è stata rimossa dal divertimento di mia cugina e Rich. Nella foga del momento, non ho neanche indossato una felpa e sto letteralmente gelando. Le mie gambe camminano ignare della meta e giungo dinanzi un vicoletto stretto, illuminato da lanterne postate alle pareti laterali. La strada è costeggiata da tavolini di legno, con sù boccali di birra e bottiglie di vino vuoti. Imbocco questo vicolo delle tentazioni ed entro in una piccola porticina, sopra la quale compare l'insegna "TAVERNA BUBBLES". Sono costretto ad abbassare la testa per entrare e mi ritrovo in un locale sotterraneo illuminato flebilmente, con uomini intenti a scommettere le loro fortune a biliardo o a poker. Ogni uomo ha una donna seminuda, che gli entra le mani fin dentro le camicie e si lascia toccare violentemente. Di tutti i posti che potevano esistere, ho scelto una taverna in nero. Avanzo e l'odore di droga e alcool si fa sempre più intenso, fin quando mi ritrovo in una piccola saletta popolata da prostitute e un uomo seduto di spalle. A causa dell'inebriante nube di fumo, distinguo solo una chioma bionda e una camicia rossa gettata per terra. Non è il posto giusto e non ho voglia di rimanere un attimo in più in questo covo di folli. Faccio per voltarmi e mi ritrovo due seni tondi di fronte agli occhi.

<< Ehi bell'uomo, quanto sei disposto a pagare per questo corpo>> mi dice una donna, dalla cui bocca fuoriesce puzza di alcool e di marcio.

<< No grazie>> le dico, voltandomi ancora una volta dietro, prima di uscire.

I miei occhi non credono a ciò che vedono. Quel ragazzo che ha accompagnato Clara a casa è qui, a spassarsela con delle donnacce. Mi volto nuovamente e la donna di prima è ancora piazzata lì, come in attesa di una risposta.

<< Questo bell'uomo trascorrerà qui la notte con te>> gli dico, facendole abbozzare un sorriso malizioso. Non ho neanche denaro con me, quindi spierò questo Nate con la scusa della prostituta e alle prime luci dell'alba me la darò a gambe levate.

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