18° CAPITOLO: ALEX TI PREGO NO!

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Erano le sei e mezza, ero stufo di starmene in giro da solo in macchina a non fare niente. Ero confuso, nervoso, avevo bisogno di bere per rilassarmi, così andai in un locale.

Mi sedetti al bancone degli alcolici e cercai di attirare l'attenzione del barista. Lui si avvicinò con aria spavalda e mi disse serio: «Ce l'hai l'età per bere giovanotto?»

Chi credeva di essere? Si sentiva superiore a me solo perché lui non andava più a scuola ormai da qualche anno? Era un ragazzo come me, certo un po' più grande, ma non doveva dirmi quello che dovevo fare. Quei dentoni da coniglio che sporgevano dal labbro superiore, mi facevano ribrezzo, aveva degli occhiali da nerd che se avessi potuto, l'avrei picchiato lì senza pensarci due volte, almeno mi sarei calmato. Ma era una pessima idea, perché altrimenti, chi mi avrebbe versato da bere?

«Certo ho diciotto anni, ecco tieni!» gli porsi la mia carta d'identità, la guardò scrutandomi per alcuni secondi confuso e dopo che finalmente si arrese, mi versò in un bicchierino, uno dei tanti alcolici che aveva in quella specie di vetrina. Sì, ero maggiorenne, ero più grande dei miei amici di due anni circa. Prima di conoscerli vivevo a Monza con mia madre e Daniela, la sua migliore amica. Ma secondo mia madre i ragazzi di quella città avevano una cattiva influenza su di me, infatti bocciai due anni prima di mettermi la testa a posto e quella santissima donna per salvare un figlio scapestrato come me, si sacrificò decidendo di andare via dalla sua amata città per trasferirsi a Milano.

Bevvi tutto in un sorso e dopo iniziai a pensare a quelle morbidi labbra rosee e delicate, a quei occhi freddi, pieni di rabbia e di disprezzo nei miei confronti. A quella sua espressione sempre corrucciata perché doveva sopportarmi. Sì, pensavo ad Angelica e ne ero felice, lei era l'unica che aveva scalfito il mio cuore di ghiaccio. Continuai a bere fino a quando sia io, che quel coglione del barista, capimmo che ormai ero troppo ubriaco per proseguire, così mi cacciò dal bar perché secondo lui avevo bevuto abbastanza per quella giornata e dovevo smettere.

"Ma i cazzi suoi mai quello?" Pensai barcollando verso la mia auto.

Avevo ancora l'immagine del viso di Angelica che mi guardava con superiorità, lei era sempre pronta a giudicarmi senza nemmeno prendersi la briga di scoprire davvero come stessero le cose. Se lei si sarebbe fermata un momento dall'odiarmi e mi chiedesse cosa davvero provassi per lei, io le avrei detto semplicemente la verità: "in realtà tu mi sei sempre piaciuta, mi sono sempre sentito attratto da te dal primo momento che i tuoi occhi azzurri si scontrarono con i miei". Ma le differenze che c'erano tra di noi, ci allontanavano ogni giorno di più.


Avevo voglia di vederla e di parlarle anche per solo cinque minuti, così lasciai lì la macchina parcheggiata, non volevo mica avere un brutto incidente per colpa dell' alcol e andai verso casa di Angelica.

«Angelica tu mi odi? Beh, io ti amo.»Era quello che veramente le volevo confessare, ma ero troppo orgoglioso per ammetterlo.

Quando l'odio diventa amore (In revisione) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora