Capitolo 14 (parte 1)

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Eravamo in macchina già da 15 minuti e ancora mi stavo chiedendo dove volesse portarmi Jack.
Il panorama mi era quasi sconosciuto, sicuramente non eravamo usciti dalla città, ma la zona non doveva essere molto trafficata a giudicare dalle strade quasi vuote e dai pochi negozi che riuscivo a scorgere.
Magari ti sta rapendo.
Quel pensiero mi fece aggrottare le sopracciglia, ma subito lo feci evaporare dandomi della stupida.
Quando si tratta di Lui sei altamente stupida.
-Dove mi stai portando?
-È la quindicesima volta che me lo chiedi.
-Non mi hai mai risposto.
-E questo non ti suggerisce che non lo farò nemmeno adesso?
Sbuffai incrociando le braccia al petto e mi ordinai di non rispondere tentando di ignorarlo.
Ignorarlo quando siete in due in un abitacolo d'auto. Un genio.
-Siamo arrivati.
Parcheggiò la macchina davanti ad una struttura abbastanza moderna, sembrava davvero curata a differenza di tutto ciò che la circondava.
Ci misi poco a leggere l'insegna posta sopra il portone d'ingresso.
"Clinica Saint Laurence"
-È una clinica privata?
-Sì, è una clinica privata.
Lo vedevo nervoso, non eravamo ancora scesi dal mezzo e lui stringeva forte il volante, tanto da farsi diventare le nocche bianche.
-Hey, va tutto bene?
Si voltò verso di me con lo sguardo smarrito, come se si fosse dimenticato della mia presenza.
-Certo. Scendiamo.
Lo seguii fuori dall'auto e ci dirigemmo verso l'entrata. All'interno il mobilio era davvero interessante, numerosi quadri erano appesi alle pareti e una scrivania rotonda troneggiava nell'atrio, su di essa una piccola scritta mi fece capire che quello fosse il punto informazioni della struttura. Seduta ed intenta a lavorare ad un computer si trovava una ragazza di massimo 27 anni, aveva i capelli neri raccolti in uno chignon e la sua pelle era così bianca che quasi non si distingueva dalla divisa che portava.
-Jack sei tornato!
-Hey Bianca.
Lo vidi salutare calorosamente quella ragazza e potei osservare gli occhi scuri di lei illuminarsi alla sua vista, ma non lo guardava come tutte le altre ragazze. Non c'era malizia o attrazione, sembrava quasi che lo ammirasse e lo rispettasse molto.
-Sono felice che tu sia tornato, chiede sempre di te.
-Lo so, ho fatto il prima possibile.
Lui si grattò la nuca, gesto che oramai avevo imparato a riconoscere come un segno di imbarazzo. Lo vidi voltarsi verso di me e mi fece segno di avvicinarmi.
-Lei è Elsa, è con me e mi fido di lei.
-Cosa alquanto strana allora, piacere io sono Bianca, sono sicura che diventeremo amiche.
Mi sorrise in maniera affettuosa, sembrava davvero dolce e io cercai di ricambiare al meglio anche se non ero abituata ad un contatto così diretto con un'estranea.
-Non scomodarti, continua pure a lavorare. Saliamo da soli, tanto so dove andare.
-Ci mancherebbe, vieni qui da anni.
Il sorriso di Bianca si spense a quelle parole e diventò molto malinconico, lo stesso sentimento ritrovai negli occhi di Jack.
-Andiamo Elsa.
Annuii, non riuscivo a dire nemmeno una parola, non capivo perché fossimo lì e mi stavo davvero preoccupando. Salimmo due rampe di scale e imboccammo un corridoio bianco, l'unica traccia di colore erano i quadri che sembravano riscaldare quel luogo freddo. Instintivamente mi soffermai a guardarne uno. Era un mare in tempesta, le sfumature di azzurro e blu si infrangevano contro la tela come se potessero sommergere l'osservatore.
Jack si fermò dietro di me.
-Ti piace?
-È stupendo, ma molto tempestoso.
-Come l'animo del pittore quando lo ha creato.
-Ha riportato sulla tela la sua angoscia, tecnicamente c'è qualche imperfezione, ma a livello emotivo ti trasmette tanto, quasi ti travolge...
-...come le onde.
-Esatto, come le onde.
Mi soffermai sui dettagli e notai in basso la firma del pittore.
Jack Frost.
-Lo hai fatto tu?
-Esattamente.
-Pensavo facessi solo street art.
-Quella viene dopo, è uno svago. Io dipingo da molto tempo e tutti i miei quadri sono in questa clinica.
Feci un giro su me stessa osservando le pareti.
-Sono tutti tuoi?
-Non proprio tutti, ma la maggior parte si.
-Mi hai portato qui per mostrarmi il tuo lavoro?
-Oh no. Non è un lavoro... Non mi pagano. Sono tutti donati.
-Perché?
-Questo posto se lo merita.
Mi sorrise leggermente, ma io non seppi mantenere il suo sguardo e abbassai impercettibilmente il capo.
-Devo mostrarti altro.
-Mi stai facendo preoccupare.
-Perché mai?
Ricominciammo a camminare lungo il corridoio ed io continuavo a farmi domande che non potevo porgli.
-È da quando siamo entrati qui dentro che sei strano... Diverso.
-Diverso?
-Malinconico. È come se ti portassi addosso la malinconia.
-Come un profumo.
Ci fermammo davanti ad una porta, in cima un numero, 134.
-Ci siamo Els.
Non parlai e mi limitai a guardarlo, continuava ad essere nervoso.
-Mi raccomando, stammi vicina.
Non mi sarei staccata da lui per nulla al mondo.
Fissai la sua mano poggiarsi sulla maniglia, stava per abbassarla.
Ma io ero pronta?

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