Non sapevo se essere felice o in ansia. Era palesemente un appuntamento, Jack mi aveva invitato per un appuntamento.
Un appuntamento dove dovrai rivelare il tuo segreto.
Ma scoprirò anche il suo, certo, questo non mi aiuta per niente.
-Elsa stasera esci?
-Sì Anna mi sto preparando.
-Oggi eri davvero strana. Kristoff ti ha creduta pazza...
Guardai mia sorella di sbieco mentre cercavo qualcosa da mettermi.
-Io invece ho capito subito che non sei pazza...
-Ah no?
-No, sei solo innamorata!
Feci cadere i vestiti a terra e mi voltai verso mia sorella con gli occhi sgranati.
-ANNA COSA DIAVOLO DICI?
-La verità!
-NON SONO INNAMORATA DI NESSUNO.
-Certo, e Kristoff ha i capelli nero corvino. È giusto.
Sbuffai e ricacciai dentro tutto l'entusiasmo, tutte quelle emozioni. Solo in quel momento Anna mi aveva fatto capire che mi stavo aprendo troppo. Tutta quella curiosità, il mio essere estroversa... Non sono io.
Io ho scelto il mio modo di essere e non è questo.
Vado in panico perché non so cosa mettere.
Ma cosa mi importa? A me non interessa di nessuno se non di mia sorella. Sto sbagliando tutto, mi ha influenzato troppo.
-Elsa... Che ti prende?
-Non ripeterlo più. Io non conosco l'amore e non ho intenzione di aprirgli la porta proprio ora.
-Ma Elsa...
Vidi il suo sguardo, lo conoscevo bene. Anna si stava chiedendo perché fossi tornata indietro, perché stessi tirando di nuovo fuori quel carattere.
-Vai di sotto. Devo uscire.
Appena mise piede fuori dalla camera le chiusi la porta dietro.
Ecco cosa ero io.
Porte chiuse.
E Jack mi stava rendendo fin troppo difficile chiuderle.
Avevo deciso, oramai dovevo sapere ciò che riguardava Jamie, e poi avrei preso di nuovo le distanze. Non potevo concedermi altro.
Scesi le scale e salutai Anna che però non mi rivolse la parola, uscii di casa e lo vidi immediatamente.
Indossava dei jeans e una semplice camicia bianca sopra.
-Ciao Els, sei davvero bella.
Distrattamente guardai il mio vestito verde, semplice, senza scollature eccessive.
-Grazie.
Mi sforzai di non sorridere e ci riuscii, ma lui non demordeva e continuava a fissarmi con i suoi occhi color ghiaccio.
Se non smette non riuscirai ad alzare il muro.
-Credo sia ora di andare.
-Certo, sali in macchina.
Mi aprì lo sportello e io mi sedetti senza guardarlo.
Il viaggio fu breve e silenzioso, lui era concentrato a guidare e io a ripassare mentalmente tutte le mosse che avrei dovuto compiere.
-Siamo arrivati.
Scesi dall'auto e vidi che ci trovavamo al centro della città, precisamente davanti la vecchia biblioteca.
-Che facciamo qui?
-Aspetta e vedrai.
Lo seguii e notai che non si stava dirigendo verso l'entrata principale, ma in un vicolo quasi nascosto sulla destra.
-Vuoi uccidermi per caso?
-Sempre positiva, vero?
Camminai dietro di lui finché non aprì una piccola porticina e mi fece cenno di entrare.
-Fai piano, sali dietro di me e cerca di non cadere.
Annuii senza rispondere e feci come aveva detto. Le scale che stavamo salendo erano strette e intorno c'era abbastanza buio, iniziai ad avere paura. E lui sembrò accorgersene.
-Ci siamo, fidati di me. Non succederà nulla.
-Non ho paura.
La mia voce era decisa e arrogante, ma le mie mani tremavano, fortunatamente lui non poteva vederle.
-Sei pronta?
-Pronta per cosa?
Per la prima volta si girò verso di me e anche nell'oscurità potei distinguere il suo sorriso.
-Per le stelle.
Non riuscivo a capire? Cosa c'entravano le stelle? E dove mi stava portando?
Jack aprì una botola e mi tese una mano per aiutarmi, avrei voluto non accettarla, ma lo feci.
Quando uscimmo fuori una leggera brezza mi scompigliava i capelli e davanti ai miei occhi solo il cielo ricoperto di puntini bianchi e luminosi.
-Le stelle!!
-Te lo avevo detto.
Era meraviglioso, mi avvicinai al bordo del muro che circondava quello spazio e trattenni il fiato, riuscivo a vedere tutta la città.
-Ti piace?
-È stupendo.
-È qui che mi rifugio, vengo a pensare, parlare con me stesso e dipingere.
-Dove siamo?
-Sul tetto della biblioteca, quando avevo 16 anni venivo qui per leggere i libri di Arte e la proprietaria mi mostrò questo luogo, dicendomi che sarebbe stato facile trovare l'ispirazione per i miei dipinti.
-E aveva ragione?
-Aveva ragione.
Non riuscivo a smettere di essere meravigliata. Volevo rimettere la maschera, ma tutto quello era troppo bello. Non potevo permettermelo. Avrei rovinato tutto.
-Siamo venuti qui per parlare.
-Giusto.
-Allora ti ascolto, raccontami.
Lo vidi fissare il cielo e poi sedersi su di una panchina fatta di vecchie assi di legno.
-Siediti pure, è robusta, l'ho fatta io stesso.
-Va bene...
Andai vicino a lui e continuai ad osservarlo. Il suo profilo era perfetto, come un quadro. Non aveva una minima sbavatura, sembrava la precisione fatta ragazzo.
-Io e te abbiamo fatto lo stesso liceo.
-Questo lo so...
-Io ero in camera con due ragazzi, Hiccup e Jamie...
Decisi di non interromperlo e di ascoltare la sua storia.
-Eravamo diventati molto anici, gli volevo bene come se fossero stati miei fratelli. Eravamo un trio formidabile e ne abbiamo fatte di tutti i colori, soprattutto ad Eugene e ai suoi amici. Loro erano i bulli e noi gli eroi del dormitorio. Però non eravamo nemmeno tanto eroi, partecipavamo alle feste, disturbavamo i professori... Le solite cose da liceali.
Stava sorridendo, era ovvio che i suoi ricordi erano felici, che lui in quel periodo era davvero felice.
-Durante l'inizio del quinto anno di Liceo andai a scontrarmi contro una ragazza bionda, portava tantissimi libri in mano e mi ricordo che quando le andai addosso non mi guardò nemmeno, era troppo impegnata a reggere quei mattoni.
Non potevo crederci, non era vero quello che stava dicendo. Non poteva certo ricordarsi una cosa del genere.
-Sentii la sua voce e subito capii che era diversa da tutte le altre studentesse.
-Non puoi ricordarlo davvero.
-Tu non lo ricordi?
In mente avevo diversi spezzoni del mio ultimo anno, e ricordo vagamente di aver riportato dei libri che avevo studiato durante le vacanze. Ricordo quanto ci tenevo, e che cercavo di evitare più persone possibili per non farli cadere.
-Da quel giorno riuscivo ad individuarti ovunque, in mensa, nel giardino... Mi sono ripromesso che sarei venuto a parlarti, ma tu sei sparita da un giorno all'altro. Quando ti ho rivisto alla festa di Astrid non potevo credere ai miei occhi, eri davvero tu... Eppure sembravi così diversa, come lo sembri da quando sono venuto a prenderti.
-Che vuoi dire?
Mi aveva scoperta, aveva capito tutto e io come una stupida continuavo con la mia recita mentre in realtà volevo chiedergli di più, volevo dirgli che sarebbe dovuto venire a parlarmi, magari non sarei andata via. No, me ne sarei andata lo stesso.
-Non devi farlo con me, butta la maschera.
-Perché?
-Fammi finire la storia...
-Sì...
-Mi diplomai con il massimo dei voti, e grazie ad una raccomandazione del mio professore avevo vinto una borsa di studio all'Accademia delle Belle Arti. Volevo festeggiare con i miei amici e quindi organizzai una festa a casa mia, tu non l'hai vista, ma nel giardino sul retro abbiamo una piscina. Ci stavamo divertendo tutti, girava diversa birra e molti erano già sbronzi, si giocava ai tuffi, e tutti si lanciavano da un tavolino sistemato vicino al bordo, ma non era abbastanza vicino...
Continuava a fissare il cielo, ma la sua mascella si era indurita. Aveva stretto i pugni e le nocche gli erano diventate bianche.
-Hiccup si era lanciato e aveva centrato l'acqua per un pelo, Jamie stava per saltare, ma scivolò in avanti finendo con la testa sul bordo in pietra.
-Oh no...
Il respiro mi si era bloccato, non volevo credere a quello che era successo. Non poteva essere vero.
-Ho chiamato immediatamente l'ambulanza, ma oramai era fatta. Jamie finì in coma per un mese, e quando si risvegliò era così come lo hai visto.
Sapevo cosa stava provando... Era quello che provavo ogni giorno. Ora capivo tutto.
-Ho rinunciato alla borsa di studio, ho lasciato tutto. Mi sento responsabile e da allora dedico la mia vita e tutta la mia arte solo a Jamie. Passo le mie giornate nella clinica, aiuto con i lavoretti che ci sono da fare e sto con lui.
-Ma...
-So cosa stai per dire. E no, non ha una famiglia. Lo hanno lasciato solo, lui è maggiorenne ed anche se malato, non potevano costringere i genitori alla sua assistenza.
-Lui cerca la madre...
-Sì, Elena. Quando andavo a casa di Jamie c'era sempre una torta pronta.
-Jack...
Si voltò a guardarmi, i suoi occhi erano lucidi e mi guardavano quasi implorandomi.
-Ti prego Elsa, butta via la maschera.
Non so bene come successe, ma strinsi le mie braccia intorno al suo collo e mi aggrappai stringendolo a me. Lo stavo abbracciando, lui ne aveva bisogno. Io ne avevo bisogno.
-Non è colpa tua.
-Lo sogno ogni notte.
-Lo so...
-Sembra non passare mai.
-Sei uguale a me.
-Butta la maschera.
-Farebbe troppo male.
-Solo con me, fallo solo con me.
-Te lo avevo promesso, devi avere quella parte di me.
-Aspetta... Stiamo ancora un po' così.
Sentii le sue braccia dietro la mia schiena e una sua mano tra i capelli mentre mi premeva contro il suo calore.
Fu un istante, e il mio battito era accelerato, era di nuovo vivo.
Forse Anna aveva ragione, mi ero innamorata.Angolo autrice.
Sono felice di essere riuscita ad aggiornare oggi.
Come potete vedere la storia sta iniziando a prendere una forma, la trama avanza e presto i momenti di pace finiranno.
Spero vi sia piaciuto, conto di aggiornare presto!
Un bacione!
Kat.