Crisalide 3.4

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"Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla"  (Richard Bach)








Tutto è stato perfetto. Si, la perfezione è lui che mi viene a cercare, lui che, nonostante le sue vertigini, sale 30m solo per parlare con me, lui che mi chiede di esibirmi nel loro circo, noi che ci baciamo sotto lo sguardo attento di un tramonto mozzafiato, io che gli dico di sì perché è tutto ciò che voglio. Io che voglio tornare a vivere.

E l'ho deciso in questi tre giorni lontani da lui. O forse l'ho deciso nel momento in cui l'ho visto nel mio posto. Non lo so di preciso. So solo che ora voglio cercare di riprendere la mia vita. Anche solo per una settimana. Poi tornerò a quella che si chiama abitudine, non vita.

Eppure c'è qualcosa di strano. Dopo quel momento di pura magia lì, davanti al tramonto, siamo scesi, con cautela, dall'impalcatura e senza dirci niente siamo arrivati qui al tendone. Ci sono stati solo sguardi intensi seguiti da sorrisi imbarazzati, spalle che si toccavano involontariamente, ma non una parola. Sapevamo dove andare. Insieme.

Un pensiero mi mangia il cervello. Che stia pensando che quel bacio è stato solo perché aveva paura, solo per l'adrenalina dell'altezza e non perché è sempre stata la prima cosa che avrei voluto fare da quando l'ho visto a terra quel giorno?

No, non può essere. Io, in quel momento, ho toccato il cielo anche se non stavo camminando sulla mia fune. Ho volato come una farfalla appena uscita dal suo uovo. E tutto questo non posso averlo sentito solo io.

- Ecco, questa è per te - mi dice, orgoglioso e spingendomi ad alzare il volto.

- Grazie. Davvero - dico, sincero.

Lui mi sorride e inclina la testa come imbarazzato. Così, inizio a parlare io:

- Senti Claudio, per quello che è successo prima, lassù.. Ecco, io.. Volevo dirti.. - dico, grattandomi la nuca.

- Si, lo so già. Vuoi dirmi che è stato un errore, che era dovuto al fatto che io avessi paura dell'altezza, che in realtà non volevi, che.. - dice, rassegnato e senza guardarmi negli occhi.

E io non resisto più, non ce la faccio. Mi avvicino a lui, gli alzo la testa come un'oretta fa, e lo faccio. Di nuovo. Lo bacio. Lo bacio come se fosse l'unica cosa di cui ho bisogno. E in effetti lo è.

Stavolta non è un semplice bacio a stampo. È un bacio di quelli veri. Fatto di lingue che si incontrano e danzano come se si conoscessero da tempo. Fatto di dolcezza e di desiderio.

Un bacio fatto di noi. Il nostro bacio.

Ci stacchiamo per riprendere fiato. E, nel farlo, ci guardiamo. Ci guardiamo dentro.

- Quindi, devo dedurre che non sei solo un uomo di buon cuore - dice lui, sfoderando la sua arma migliore, il suo sorriso.

- Cosa? - dico, non capendo a cosa si riferisse, ancora intontito dall'emozione del bacio.

- Devo dedurre che lassù tu mi abbia baciato non solo perché avevo una fottuta paura di cadere giù, ma perché non sai resistere al fascino del pagliaccio. Ammettilo, su - dice lui, sicuro di sé.

- Semplicemente non avevo portato pannolini con me. Sai com'è, non volevo che i tuoi pantaloni si bagnassero più del dovuto per la paura che avevi - dico, con fare superiore e incrociando le braccia.

- In realtà i miei pantaloni erano bagnati per altro. Però se vuoi pensare che sia per quello, fai pure - dice lui con molta nonchalance.

Come farfalle che sorridonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora