Capitolo 63

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Il dolore doveva essere tutto nella mente, altrimenti com'era possibile che ogni muscolo del corpo le procurasse afflizione per via di un solo pensiero?

-Non metterti l'Anello, sottrailo e basta.- le sussurrò Caius prima che si fermassero di fronte a Dorian. Egli, dopo un'occhiata ad Annabel, non mancò di trucidare con lo sguardo Boleyn. Era impossibile per lui ignorare che qualcosa non andava: il volto di Annabel era pallido come la luna, terrificante, per certi versi, osservare come i suoi occhi lo guardassero vuoti e privi di ogni sentimento che, fino a quel momento, non aveva mai nemmeno dubitato.

Quando il suo Alyon l'ivitò a danzare non poté che accettare, con la testa in un mondo parallelo e le orecchie piene di grida e ruggiti. La pianta della disperazione dentro di lei era alta, e si rese conto che quel seme doveva essere stato piantato molto tempo prima. Il cuore, che durante la sua vita da Apparente non aveva mai battuto a ritmo anomalo, adesso rischiava di sfondarle la cassa toracica: ed il Cielo sapeva se quello non era il destino più dolce che potesse capitarle.

Una delle mani di Dorian prese la sua mentre l'altra s'adagiava sulla sua vita. Guardò quel volto piena di paura, chiedendosi in che razza di mondo era stata catapultata. Doveva ringraziare una famiglia che non aveva mai visto per essersi sbarazzata di lei, salvandole quindi la vita da quel mostro che aveva di fronte? oppure doveva strapparsi i capelli per il gioco ironico della vita, che l'aveva ricondotta esattamente al punto di partenza?

Non sentiva la musica che l'orchestra d'archi suonava per loro, i suoi sensi erano assopiti, la sua capacità di intendere e volere addormentata: ma dentro di se urlava a squaciagola il proprio disappunto. Successivamente avrebbe ricordato un pensiero, che di molti altri era principe. Danzava con Dorian, quindi esso le giunse alla mente, e le lacrime congelate si sciolsero come i ghiacciai nella stagione calda, quando desiderò di possedere un pugnale col quale trafiggergli il cuore.

Dorian chiamava il suo nome, ma lei non fece altro che osservarlo, senza risposta, accorgendosi di quanto errato fosse tutto quello. Strinse più forte la mano dell'uomo dinanzi a lei, e, lentamente, prese ad allentare l'Anello a forma di leone che sostava al mignolo. Lui, preso dalle lacrime della donna fra le proprie braccia, non s'accorse nemmeno del mutamento che la sua vita avrebbe preso in quel preciso istante.

-Dimmi il mio nome.- gli sussurrò finalmente. Il volto rigato di lacrime ma la voce gelida, alta.

-Annabel, ma che succede?- la danza non si fermava, non potevano interrompere davanti agli occhi di tutti i presenti, loro non dovevano sapere, eppure era inevitabile. Sapeva cosa doveva fare.

-Il mio nome per intero.- gli ordinò.

-Annabel Howard.- fu la risposta. Lei gli si avvicinò un po' di più, L'Anello ormai nelle sue mani.

-Il mio vero nome.- precisò ulteriormente. Caius Boleyn le aveva detto di non mettersi l'Anello, ma lei non avrebbe più ascoltato le parole di nessuno. Sistemò il Leone d'oro all'indice della mano destra e nel momento stesso in cui l'Anello si fu adagiato a dovere, un boato simile a quello delle zolle di terra che si scontrano, pervase l'intero Palazzo di Diamante. Il silenzio scese sulla Sala, tutti guardavano l'Alyon, le guardie di quest'ultimo si afrettavano verso la coppia: -Di loro di stare lontani.- gli ordinò, senza distogliere lo sguardo. Ormai aveva compreso: lei sapeva.

Il volto sogghignante e strafottente di Dorian Cortes era un'ammasso di panico e dispiacere, non osava lasciare le mani di Annabel, ma non mancò di dirigere il proprio sguardo all'Anello, ora fra le dita della Rinie a cui l'aveva sotratto. Fece un cenno con la mano e le guardie s'arrestarono. Benedict Burke era di pietra, e Ralf Madani bianco come un morto.

Al boato, seguirono pochi istanti di silenzio, ed infine i passi: decine e decine di passi in corsa, ansimi e gemiti animaleschi pervasero ogni angolo del castello, giungendo fino al Salone dove tutti erano stipati. Nessuno osava muoversi: il pericolo era evidente, ma scappare non era la maniera per mettersi in salvo, visto quanto isolato era il Palazzo di Diamante. I passi divennero incredibilmente vicini, ed Annabel, che aveva pensato quello fosse silenzio, comprese cosa fosse il vero oblio del suono solo quando dalle porte spalancate fece il proprio ingresso la creatura più grande e magnifica che occhio umano avesse mai visto.

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