Era tornata nell'acqua. Tiepido liquido statico, la cui pressione premeva su ogni centimetro di pelle. Sotto di lei il blu sfumava nel nero abissale, sopra di lei tonnellate di acqua la dividevano dalla nostalgica aria. La pulsione principale era quella di risalire il più in fretta possibile, per non restare a corto di ossigeno: ma aveva fatto quel sogno altre volte, e mai prima era riuscita nel suo intento principe. Attese perciò che le Dee la raggiungessero per dirle quello che era necessario lei sapesse. Era completamente nuda, e non sentiva altra sensazione se non quella della forte pressione che le faceva fischiare le orecchie, e se solo l'idea che un'unica, lieve, ispirazione, le sarebbe potuta costare la vita, si sarebbe accorta che non c'era vita da perdere nei sogni. Su questo, però, non avrebbe di certo messo la mano sul fuoco: non dimenticava le volte in cui si era svegliata boccheggiando come se fosse stata risputata da un marasma marino. Attese ed attese, nell'agglomerato di fluido immobile, per quelli che le sembrarono interminabili minuti. Non poteva trattenere il respiro all'infinito, però, e le Dee non accennavano ad entrare nel suo campo visivo, o la loro voce a parlarle. Cominciò a scalciare, tappandosi naso e bocca con le mani, come se quel gesto la potesse salvare, prese a risalire. Il fischio alle orecchie sembrava un tamburo che scandisse la sua ascesa all'altro mondo, perché, sicuro come la morte, non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungere la superficie in tempo. Continuò a scalciare, ma vedendo che non si muoveva di molto, rinunciò a naso e bocca, e dimenò le braccia cominciando a risalire per davvero. Non c'erano figure femminili a stringerle le braccia per trattenerla. Aprì la bocca e lasciò uscire tutto ciò che restava in bollicine che le offuscarono la vista, agitò ogni parte del proprio corpo che potesse esserle d'aiuto a raggiungere l'aria. All'improvviso ogni rumore era terminato, la bianca luce che filtrava attraverso le sparse molecole dell'acqua le colpì gli occhi sempre più intensamente mentre, con un ultimo sforzo, le parve di nascere una seconda volta, fendendo la sottile linea fra vita e morte. I propri respiri affannati le rimbalzavano nelle orecchie con prepotenza osannata, la tosse convulsa era terribile, eppure quelli non erano affatto i soli rumori che le giungevano alle orecchie. L'aria era intrisa d'acqua, le nuvole erano d'acqua, il cielo lacrimava e dalle alte pareti della conca nella quale si ritrovò, venivano riversate tonnellate di furente acqua. Tutto era talmente agitato che non riuscì a capire come fosse possibile l'immobilità in cui aveva rischiato di annegare. La spuma e l'agitarsi delle Cascate di Venere non le diedero tregua fino a quando non riuscirono a respingerla nuovamente sotto la superficie. Tre colpi netti e poi il suo nome: si svegliò boccheggiando, tastandosi gola e petto. Si mise immediatamente seduta sul letto alla ricerca di un appiglio.
Bussarono nuovamente. Non era sicuramente nello stato di poter aprire la porta a qualcuno, e a giudicare dal nero cielo, doveva essere ancora notte fonda. Si alzò dal letto, tuttavia, e camminò al buio fino alla porta, aprendola. La luce flebile del corridoio illuminava la persona di Nadine, che avvolta in una vestaglia pallida tanto quando il suo volto, deglutì rumorosamente.
-Che succede?- chiese immediatamente mentre infilava la propria vestaglia.-Sono tornati.- aveva appena sussurrato, ma la notte era così silenziosa che il soffio di un amante sarebbe parso il ruggito di un leone. Annabel non capì, in un primo momento, ma quando la sua mente fu di nuovo ubriaca d'aria, intuì ciò che l'amica tentava di dirle. Non chiuse nemmeno la porta alle sue spalle, non attese Nadine. Camminò a passi affrettati verso le scale e poi giù fino all'atrio. La piccola fontana decorata con piante tropicali, giusto dinanzi alle porte principali, ed il buio generale le impedirono di vedere immediatamente i suoi leoni.
-Ero scesa per mangiare qualcosa quando li ho sentiti..- spiegò Nadine mentre Annabel si dirigeva verso i leoni. Si arrestò sui suoi passi vedendo solamente due gigantesche figure animali invece delle tre che aveva mandato assieme ad Axel. I suoi occhi si riempirono di lacrime: non vi era traccia di Polittore. Camminò fino a cadere in ginocchio fra Isonoe e Fante, entrambi stesi e stremati. Le loro enormi teste s'avvicinarono alla sua, annusandola, solleticandola con la mastodontica criniera, accarezzandola con il setoso manto. Fante appoggiò una delle possenti zampe sulle gambe nude di Annabel, non aveva cattive intenzioni, solo voglia di attenzioni, ciò non fermo i suoi affilati artigli dal graffiarla. Non se ne accorse nemmeno.. i suoi occhi si piantarono su qualcosa di minuscolo stretto fra le zampe posteriori ed il ventre di Isonoe. Allungò istintivamente una mano, senza pensare: il ruggirò di Isonoe avrebbe potuto renderla sorda, ed il fiato caldo dell'animale incenerirla. Nadine lanciò un urlo, temendo per lei, ma Annabel si limitò a continuare ad accarezzare la leonessa, per rassicurarla: solo allora essa liberò il cucciolo che custodiva così gelosamente.
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Adamas
FantasyI nostri Dei sono protettori e magnanimi. Stringono una penna d'oca in mano e quando tu commenti uno sbaglio aspettano ed aspettano in attesa che te ne penta. Se questo non accade, col cuore infranto, annotano il tuo peccato. Non chiudono mai il lib...