capitolo quinto

33 1 0
                                    

Dopo quel sogno cercai di continuare la mia vita senza più tristezza e rimpianti e per un po' ci riuscii. Fin quando il mio sguardo si posò per sbaglio sulla nostra foto. Mi fermai ad osservare quella fotografia ripensando a tutti i momenti belli vissuti insieme. E tra me e me pensai: "Devo andare avanti, per me e per Elisabetta." Feci un sospiro enorme ed uscii di casa.
Con un sorriso sul viso, pronto a riprendere la mia vita in mano e a riprendere le relazioni che ho interrotto a causa del lutto. Purtroppo i miei amici non avendo capito la mia condizione e la mia grande perdita mi abbandonarono e mi voltarono le spalle. Così compresi che ero rimasto da solo, senza più nessuno da chiamare. Ero solo; io contro il mondo.
Andai al lavoro in ospedale, i miei colleghi quando mi videro col sorriso mi sorrisero a loro volta. Entrai nella mia stanza quando qualcuno bussò.
"Avanti." Dissi.
Era Enrico il mio collega più stretto dell'ospedale.
"Daniel hai un minuto?"
"Certo, Enrico, dimmi."
"Dal sorriso che ho visto sul tuo volto stamattina mi fai capire che hai superato a pieno il lutto. Siamo tutti felici in ospedale, non abbiamo sopportato tante cose. Non ti sopportavamo vedere ogni giorno triste, non sopportavamo il tuo pseudotrasferimento. Ma ti abbiamo sempre sostenuto e ammirato. Se vuoi parlare o vuoi vedere un amico per una birra basta che mi chiami."
"Grazie Enrico, davvero. In questo momento ho bisogno davvero tanto di un amico."
"Lo so, l'ho capito benissimo. Adesso scappo che fra cinque minuti Devo vedere un paziente. A dopo, Daniel."
"A dopo, Enrico."
Sentire quelle parole di Enrico mi ha fatto stare meglio, sapere che c'era ancora qualcuno che mi supportava e che non ero completamente solo mi ha fatto affrontare meglio la questione.
Finita la mia giornata di lavoro decisi di chiamare Enrico per una birra. Non ebbi neanche il tempo di proporgli l'idea che:
"Pronto Daniel? Alle sette e mezza sono da te. Vino o birra?"
"Birra."
"Perfetto a dopo."
Alle sette e mezza Enrico bussò alla porta e lì iniziammo a parlare di me e di tutta la questione.
"Enrico, so che mi ci sono voluti tanti mesi, so che mi sono isolato da tutto e tutti. Ma non riuscivo a superare il lutto. La amo troppo, era tutto per me, era tutto nella mia vita. Era la mia ragione di vita appena sveglio, era la mia musa. Solo lei mi faceva sentirmi amato, solo lei amava tutto di me. Solo lei mi conoscevapiù di tutti. E adesso dov'è? Non qui con me."
"Daniel, è normale. Tu la amavi e davvero tanto, ma adesso pensa a lei. Pensa lei che cosa vorrebbe. Non vorrebbe mai vederti triste, vorrebbe che tu continuassi la tua vita senza rimpianti. Vorrebbe che lei diventasse solo un ricordo indelebile nella tua vita e nel tuo cuore.  E fidati hai perso gli ultimi due anni a rimpiangere la sua morte e a rimpiangere lei. Ad annullarti completamente. Lei non avrebbe mai voluto vederti così. Quindi rialzati per te ma sopratutto per lei."
"Ma sai sempre come far sentire meglio le persone?" Risposi ridendo
"No, anch'io ho perso all'età di diciassette anni mio nonno che era per me come un secondo padre, una seconda giuda. Gli volevo un mondo di bene e anche lui me ne voleva. E se oggi sono così è grazie a lui e ai suoi consigli. E poi sono uno psicologo." Replicòridendo anche lui.
Passammo così la serata tra risate e birre e per un secondo mi venne un flash.
"Ma io una serata simile l'ho già passata. Al mare, con quel ragazzo di Padova" Pensai tra me e me

Uno strano amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora