capitolo ventesimo

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L'operazione era conclusa; uscii da quella sala operatoria salvo. Ma dovetti aspettare tre giorni affinché sapessi quel verdetto che mi logoró l'anima.
Nick mi stette vicino ogni giorno, mi portò da mangiare, mi aiutò in tutto. Ma io l'unica cosa che volevo fare era piangere e ogni volta che se né andava piangevo. Correvo nel bagno, chiudevo la porta a chiave e mi sdraiavo sul pavimento a piangere. Singhiozzi silenziosi, lacrime che non finivano, pensieri che mi laceravano l'anima. Volevo tornare indietro nel tempo; volevo che quell'incidente non fosse mai accaduto, volevo che la storia con Nick non fosse mai accaduta. Tutta la mia vita mi stava logorando, ero diventato schiavo di me stesso e di ciò che non avrei mai voluto essere. Volevo solo che tutta questa sofferenza terminasse, avevo bisogno di essere felice di nuovo. Ma non di quella felicità effimera di cui mi sono circondato in questi anni, di una felicità vera. Ma ero consapevole che non l'avrei mai avuta, ero consapevole che la mia vita sarebbe andata sempre peggio. Mi sentivo debole fisicamente, ma sopratutto psicologicamente. Ciò che vedevo era solo uno declino, una serie di eventi negativi che mi hanno portato a ciò. Un amore che infondo non esisteva, un lavoro che dopo questa operazione mi sarebbe costato caro e una vita priva di voce e piena di mutismo. Non avrei potuto esprime le mie idee, i miei sentimenti, non avrei potuto urlare e neanche parlare; mai più. Mi sentivo un pesce in mezzo a un branco di squali: da un momento all'altro potevo essere mangiato. E quel momento era arrivato; la tristezza mi stava mangiando, divorando. Non potevo uscire da questa depressione, non trovavo soluzioni. Ormai la mia vita non aveva più un senso, non sarei mai stato più felice. La mia ora era arrivata, dovevo dare fine a tutto questo e avrei dovuto farlo prima.
Trovai uno specchio portatile e lo ruppi in quattro pezzi, presi un pezzo. Da medico sapevo dove mirare per mettere fine alla mia esistenza. Così mi toccai il braccio per trovare la vena e la trovai, misi la parte appuntita sulla mia carne. Quella carne a cui tutti siamo attaccati, quella carne che era fatta di sbagli e dolori, quella carne che mi ha dato solo sofferenza, quella carne che è stata sconsacrata da due persone che amavo e che amerò sempre, quella carne che in quel momento sarebbe diventata priva di vita, quella carne che si sarebbe ricongiunta con Elisabetta, quella carne che bruciava di dolore, quella carne dove scorreva quel sangue che sarebbe fuoriuscito tutto e mi avrebbe portato alla mia vera felicità. Così appoggiai la scheggia di vetro a quella carne. Sentivo la vena pompare sangue, avevo il sangue al cervello, l'adrenalina a mille e le lacrime agli occhi. Avevo paura, ma dovevo farlo perché era l'unica soluzione per essere felice. Così lacerai quella carne, vedevo il sangue scorrere fuori la mia pelle quando la vidi.
Vidi dallo specchio del bagno l'immagine chiara di Elisabetta dietro di me, mi spaventai e feci cadere a terra quella scheggia che si ruppe in mille pezzi.
Mi girai per guardarla meglio, mi accarezzò e mi toccò il braccio e mi sorrise svanendo dal nulla. Mi voltai di nuovo e trovai una scritta sullo specchio:
"Dani, sono sempre vicino a te. So come ti senti ma non è la soluzione migliore, non è finito nulla. Avrai la tua felicità. Non mollare e continua a vivere, se non vuoi farlo per te fallo per me. Ti amo Daniel e ti proteggerò sempre."
La scritta svanì e svanirono pure le schegge dello specchio, il braccio sanguinava ma non era nulla di grave.
Mi guardai allo specchio piangendo più di prima e mentre piangevo uscii un suono proveniente dalla mia bocca.
Era un buon segno.

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