CAPITOLO 2

1.5K 75 9
                                    

"Alexa, svegliati."

"Nonno?" Dissi con voce assonnata, mentre mi strofinavo un occhio.

"Che ci fai qui?"

"No, che ci fai tu qui Alexa!"

Aggrottai le sopracciglia perplessa e mi guardai intorno, notando con mio stupore di essere sul dondolo sulla veranda. Dovevo essermi addormentata lì la sera precedente. Fu allora che nella mia mente balenarono le immagini della notte da poco passata. Mi alzai con uno scatto, cercando con lo sguardo dei segni di ciò che era accaduto recentemente, mentre al solo pensiero il cuore tornava a battermi.

"Vieni dentro, è pronta la colazione." Disse il nonno guardandomi di sbieco e cercando di ignorare il mio comportamento inusuale, mentre con la mano mi guidava verso la porta.

Ubbidii al nonno e mi lasciai guidare all'interno della casa, la cui aria aveva un dolce profumo di dolce appena sfornato. Automaticamente voltai la testa verso la cucina dove un'anziana signora con i capelli segnati dal trascorrere del tempo raccolti in una morbida treccia, era impegnata ai fornelli.

"Buongiorno nonna, che buon odore! Pancake oggi?"

La donna si girò nella mia direzione e, nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, mi rivolse un dolce sorriso che le enfatizzò le rughe attorno agli occhi.

"Certo tesoro. Dormito bene?"


Non avrei mai pensato che quella domanda, cosi banale, potesse provocarmi un tale disagio. Annui sorridendo debolmente e mi concentrai sui pancake.


Dopo aver lentamente consumato la colazione mi alzai da tavola e salii le scale che conducevano al primo piano, dove si trovavano le camere da letto. Girai a destra ed entrai nella mia camera, che si trovava proprio di fronte a quella dei nonni. Mi soffermai qualche secondo sulla porta, a guardare il letto ancora perfettamente fatto. Successivamente scelsi alcuni vestiti dall'armadio e li sostituii al pigiama che buttai con poca cura sul letto. Finito di cambiarmi, mi avvicinai allo specchio per legarmi i capelli. Fu in quel momento che la vidi: lì, all'angolo del letto, riflessa nello specchio. Una piuma nera. Capii che doveva essermi rimasta impigliata addosso quando ero caduta nel bosco. Quella piuma era l'unica prova che incontrare un ragazzo ferito nel bosco non era stato affatto un sogno. La raccolsi e, girandola tra le mani, ammirai le sfumature di blu che risplendevano sulla piuma quando questa veniva colpita dal sole. Questa era la conferma di cui avevo bisogno. Con cautela la infilai sotto al cuscino poi uscii da casa correndo. Speravo che tornando nel bosco sarei riuscita a trovare qualche altra prova dell'accaduto così cercai a fondo, spingendomi un po' più in là, fin dove conoscevo la strada, ma non trovai nulla. Mi arresi quando era oramai tardo pomeriggio.

"Cara! Ero cosi preoccupata! Dove sei stata? Avresti potuto avvisarci!"

La nonna, appostata a braccia conserte sulla veranda, gridò non appena mi vide uscire dal fogliame.

"Scusa nonna, non credevo che avrei fatto così tardi" Mi scusai quando le fui affianco. "Ora però sono stanca, vado a letto."

"Vai a letto senza cena?"

Questa volta la ignorai e, per tutta risposta, continuai a salire le scale. Stavo per chiudere la porta di camera alle mie spalle quando sentii nuovamente la nonna urlare, dicendomi che avrebbe lasciato qualcosa in frigo nel caso mi fosse venuta fame.

Mi lasciai cadere sul letto e presi ad osservare la piuma, facendola roteare tra l'indice e il pollice davanti ai miei occhi. Dovevo trovare un modo per rincontrare quel ragazzo. La mia testa vagava in cerca di un'idea da molto e non mi ero resa conto dello scorrere del tempo: era da più di un'ora che ero sovrappensiero, ma senza ottenere alcun risultato. Chiusi gli occhi e quando li riaprii la luna era già alta, così realizzai di essermi addormentata senza rendermene conto. Mi rigirai più volte nel letto, ma non riuscivo a riprendere sonno e in più ero affamata. Ricordandomi delle parole della nonna, andai in cucina e aprii il frigorifero per cercare qualcosa da mangiare. La fioca luce del frigorifero illuminò debolmente la parete alle mie spalle, sulla quale era comparsa la mia ombra, e il pavimento. Il legno era macchiato di una sostanza ancora fresca, rossa: sangue. Provai ribrezzo e terrore. Mi venne istintivamente da urlare, ma di nuovo una mano mi tappò la bocca.

"Se urlerai te ne pentirai per il resto della tua vita. Hai due opzioni: stare zitta e ascoltarmi o urlare e subire le conseguenze."

Il battito del mio cuore era accelerato, la gola secca e il respiro affannoso.

Debolmente annuii e la mano che mi faceva tacere allentò la presa. Una figura si piazzò davanti a me, lasciandosi guardare: alto, almeno venti centimetri più di me, corpo muscoloso, pelle chiara che risplendeva alla luna e capelli corvini e ondulati che ricadevano sugli occhi, e che occhi: due pozzi blu mi fissavano intensamente lasciando cadere ogni mia barriera. Mi sentivo nuda, fragile e indifesa davanti a lui.

"Aiutami." Disse.

La sua voce era profonda e ferma, nel suo tono non c'era neanche un pizzico di supplica. Ogni timore che avevo svanì. Fu solo allora che, notando le ferite, lo riconobbi come il ragazzo che avevo incontrato nel bosco.

Come poteva essere ancora vivo? Cosa ci faceva nel bosco l'altra sera? Come era entrato in casa?

Nonostante tutte le domande che mi frullavano per la testa non riuscii a fare altro se non annuire. Presi il kit di primo soccorso dal bagno e con un timido gesto del braccio gli indicai di sedersi sul divano.

"Ah! Brucia! Ne hai ancora per molto?"

"No, ma le ferite sono molto profonde e con un kit di primo soccorso non posso fare molto."

La mia voce era tremante.

"Andrà più che bene." Rispose lui con fare sbrigativo.


Dopo poco finii di mettergli le garze e ci alzammo dal divano. In quel momento tirai un lungo sospiro di sollievo, come se mi fossi appena liberata da un grave peso che mi opprimeva il petto. Ma mi ero rilassata troppo presto.

"Tu."

Improvvisamente assunse un'aria minacciosa e si avvicinò a me.

"Dov'è?"

Il suo sguardo era glaciale.

"Di cosa stai parlando?"

In pochi secondi mi ritrovai schiacciata alla parete, mentre un misterioso ragazzo mi sovrastava con la sua altezza.

"Hai una cosa che mi appartiene. Dammela!"

I suoi occhi si ridussero a due fessure.

"Non ho niente di tuo!"

Avevo paura, ma sapevo di non aver fatto nulla di sbagliato, soprattutto nei suoi confronti, e quella cosa mi diede coraggio.

"La mia piuma!"

Mi bloccai.

"Non so di cosa tu stia parlando, ma io non ho nessuna piuma, mi dispiace, cerca altrove. Forse è rimasta nel bosco." Mentii.

Perché lo feci? Forse perché quella piuma era la mia unica prova che potevo mostrare alle persone per essere creduta, o forse perché, sotto sotto, sapevo che quella era la scusa perfetta per rivederlo.

"Non fare l'innocente! So che l'hai presa tu! Dammela!"

Mi spinse con più forza contro il muro e provai una fitta alla spalla.

"Io non ho preso un bel niente!"

E questo, in effetti, era vero, perché la piuma mi era rimasta involontariamente attaccata addosso. Lo vidi aprire nuovamente la bocca, come per ribattere, ma improvvisamente si fermò, voltandosi verso le scale. Poco dopo sentii dei passi farsi sempre più vicini, poi si accese la luce.

"Nonno?" Sbarrai gli occhi ricordandomi del ragazzo, velocemente mi rigirai verso di lui.

Era scomparso. 

The Death Of Shadows |The Otherworldly's Saga|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora