CAPITOLO 40 - Epilogo

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"Non avevi detto che Matt non ti avrebbe più aiutata?"

Reuel era ai piedi del letto, a braccia conserte e mi guardava con uno sguardo truce. La piccola Ru invece, era stesa sul letto, assopita, accanto a Leith, mentre lo teneva stretto per mano.

"Come fai a sapere dove sono stata?"

"Ti ho seguita in volo. Credevi davvero che ti avrei lasciata andare così?" Sbruffai.

"So come entrare nel Sottomondo, e ho la mappa." Dissi sollevando una mano e mostrando un foglio piegato.

"È ugualmente pericoloso!" Senza ascoltarlo mi avvicinai a Leith.

Era ancora addormentato, più pallido del solito, freddo e immobile. Anche i capelli corvini sembravano meno vivaci, mentre sotto gli occhi si erano create due profonde occhiaie. Le labbra erano ancora violacee. Mi inginocchiai al fianco del letto e, delicatamente, allungai una mano verso la guancia di Leith. Sembrava così fragile che temevo potesse andare in frantumi.

"Resisti ancora un altro po'."

Mi asciugai velocemente gli occhi lucidi e, prima che Reuel potesse fare qualcosa, mi morsi il pollice. Un piccolo rivolo di sangue mi sporcò il dito.

"Ale-" Prima che Reuel potesse fermarmi, posai il mio dito tra le labbra di Leith, che ripresero parte del loro colorito originario.

"Ho 48 ore giusto?" Dissi girandomi verso Reuel che era caduto in ginocchio e mi guardava con gli occhi vitrei, mentre il mio corpo si dissolveva come una nube di fumo.

L'ultima cosa che vidi prima di scomparire del tutto fu Reuel che abbassò lo sguardo e corrugò le sopracciglia come se stesse per piangere.

Aprii lentamente le palpebre e le sbattei più volte, mentre cercavo di sollevarmi. Strizzai un occhio, mentre con una mano presi a massaggiarmi la tempia. Ero seduta per terra, ricoperta da una strana polvere nera e frammenti di ghiaia. L'aria era pesante e difficile da respirare. Iniziai a tossire più volte, mentre tentavo di rimettermi in piedi. Mi passai più volte le mani sui vestiti cercando di togliere la polvere, ma non feci altro che peggiorare la mia tosse. Quando sollevai lo sguardo sentii le mie gambe pietrificarsi. Era come se una distesa immensa di polvere e ghiaia, completamente piatta e spoglia, stesse fluttuando nel vuoto. Il cielo non esisteva, al suo posto c'era solo una macchia nera, nella quale splendeva il sole. Era così vicino che potevo vedere i piccoli zampilli saltare, per poi ricadere sulla superficie rovente. Era immenso e vicinissimo, eppure non accecante. Il calore che emanava però, era quasi insopportabile.

Tirai fuori dalla tasca dei jeans la mappa. Segnalava un ponte poco più in là. Iniziai a camminare sempre dritto per non so quanti minuti. Il caldo e l'aria rarefatta rendevano il tutto più difficile. Ero da poco tempo nel Sottomondo, ma sentivo già le forze mancarmi.

Quando finalmente giunsi al ponte ero stremata e mi sedetti a riprendere fiato sotto il cartello che indicava Passo del Gigante. Guardai l'orologio: si era bloccato. Scoprii solo allora che il tempo scorreva diversamente e, a malincuore, notai che non avevo modo di sapere quanto tempo ero rimasta all'interno del Sottomondo. Era una corsa contro il tempo e di certo non ne avevo così tanto da permettermi di oziare. Mi sollevai nuovamente. Il ponte sarà stato lungo circa un chilometro e a malapena si riusciva a vedere la fine. Le assi erano marcie e traballanti, la corda consumata e ammuffita. Il baratro, sotto al ponte, era probabilmente infinito, e l'occhio poteva scorgere solo una nebbiolina verdognola. Deglutii a forza e lentamente poggiai un piede tremante sulla prima asse. Applicai forza per vedere se reggesse. Sembrava abbastanza salda.

Iniziai lentamente a mettere un piede davanti l'altro, come un bimbo ai suoi primi passi, mentre mi reggevo con forza alle funi laterali. La prima parte del ponte era in discesa e fu abbastanza rapida, ma non appena arrivai al centro, la nebbiolina iniziò a salire. Improvvisamente la mia pelle iniziò a bruciare, così come i miei occhi. La mia vista prese ad appannarsi sempre di più e l'ossigeno, quasi assente, era difficile da respirare. Sentii le gambe cedermi, mentre mi coprivo con una mano il sigillo, bloccandolo. Qualche secondo dopo mi ritrovai distesa sul legno marcio delle assi, completamente paralizzata, con gli occhi chiusi. L'unica cosa che riuscivo a distinguere era un odore acido e la paura di morire. Una paura tremenda. Ma non potevo arrendermi così, non alla prima difficoltà. Con tutta la forza che riuscii a trovare, strusciai le braccia sul legno marcito, cercando di trascinare il mio corpo lontano da quella nebbiolina asfissiante. Con un colpo di tosse, che mi fece bruciare l'esofago, mi aggrappai alle funi, cercando di rimettermi in piedi. Il gas acido però era ancora nell'aria e i miei polmoni non riuscirono a liberarsene. Avanzai instabile, incrociando i passi, finchè un piede non colpì con troppa forza un'asse, rompendola. Pezzi di legno caddero nel vuoto e il mio piede li seguì, rompendo altre assi. Ora tutto il mio corpo oscillava nell'aria acre, reggendosi ad un'unica corda ammuffita, facendo così inclinare il ponte tutto su un lato, in modo da trovarmi ancora più in basso e soggetta al miasma acido. Rafforzai la stretta sulla corda, ma invano. Il mio corpo stava iniziando a formicolare e perdere forza, i polmoni si riempivano a vuoto, gli occhi mi bruciavano e i colpi di tosse non facevano altro che allentare la mia presa. Lentamente, prima un dito, poi l'altro, scivolavano via dalla corda, lasciandomi sempre di più in balia del vuoto. Calde lacrime iniziarono a segnarmi il volto, scivolando e cadendo giù in quel baratro, accompagnati dalla mia speranza di sopravvivere a quel posto.

"Scusami Leith."

E con un ultimo singhiozzo, il Sottomondo ebbe la meglio e caddi nel vuoto.

The Death Of Shadows |The Otherworldly's Saga|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora