CAPITOLO 33

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La mattina seguente Leith era ancora al mio fianco. Riconobbi il suo odore ancor prima di aprire gli occhi. Era disteso a pancia in su, con un ginocchio sollevato e un braccio sulla pancia. L'altro era ancora sotto la mia testa. Le ali erano scomparse. Era la seconda volta che lo trovavo in quella posizione, evidentemente doveva essere la più comoda per lui. Mi sollevai sul gomito e gli spostai una ciocca di capelli dagli occhi chiusi. Cercando di limitare ogni rumore al minimo, mi alzai lentamente dal letto per preparare la colazione. Speravo che nessuno rompesse mai questa pace.

"Che buon profumo!" Qualche minuto dopo Leith si svegliò e venne verso la cucina, mentre si strofinava un occhio per cercare di abituarsi alla luce.

"Cosa cucini?" Mi raggiunse e si sedette vicino la penisola.

"Pancake. La ricetta della nonna." Dissi servendogliene una porzione fumante.

Non fece troppi complimenti e iniziò a ripulire il piatto. La voracità tale con cui divorò quei pancake mi fece rimanere a bocca aperta.

"Che c'è?" Disse Leith con una guancia gonfia di cibo.

"Ieri ho consumato molte energie. Ho bisogno di ricaricarmi."

Le sue labbra si sollevarono in un ghigno allusivo. Avvampai.

"A cosa stai pensando? Io mi stavo riferendo all'ala spezzata. Come sei maliziosa, Alexa!"

Allargò ancora di più il suo solito sorrisetto, mentre il mio volto divenne di un rosso così intenso che neanche gli occhi demoniaci di Leith potevano competere. Cercai di cambiare argomento e i miei pensieri si soffermarono su uno in particolare.

"Leith..." Il tono con cui pronunciai il suo nome lo fece tornare serio in pochi secondi.

"Ora che è tutto finito, non credi sia l'ora che...io torni a casa?" Lo vidi deglutire a fatica il pancake.

"Si, credo di si." I suoi occhi erano di un blu molto intenso e li teneva bassi, fissi nel piatto.

Mi si spezzò il cuore a vederlo così. Scesi dalla sedia e mi avvicinai a lui. Era così assorto nei suoi pensieri che neanche notò che mi mossi. Poco secondi dopo, fui dietro di lui e, allungando entrambe le braccia, lo abbracciai. Sobbalzò.

"Alexa?" Strofinai la guancia contro la sua schiena ampia.

Sebbene non vedessi l'ora di rivedere mia madre e di mettere fine a quella che, in un certo senso, si poteva definire una prigionia, mi sarebbe mancato vivere con Leith.

"Vado a prendere le mie cose." Dissi, rompendo l'abbraccio.

"Già?" La voce di Leith era flebile e lasciava trapelare un senso di nostalgia prematura.

"Non ha senso rimandare."

L'orario era perfetto: a breve la mia sagoma sarebbe rientrata da scuola, quindi non avrei destato nessun sospetto né a mia madre, né alla gente. Da come parlavamo però, sembrava che stessimo per affrontare uno dei nemici più pericolosi e difficili.

"Ti accompagno." Disse infine Leith, alzandosi da tavola e lasciando a metà la seconda porzione di pancake che gli avevo servito.

Non era lui quello che aveva bisogno di energia per rimettersi in forze? Ma poco dopo, mi sentii in colpa e iniziai a temere di essere la causa per cui avesse perso l'appetito.

Sfortunatamente non ci volle molto per riaccompagnarmi a casa, soprattutto in macchina. Per tutto il tragitto Leith aveva tenuto gli occhi fissi sulla strada, la mascella serrata e i pugni stretti sul volante, ma soprattutto, nessuno dei due aveva aperto bocca e quella era una cosa che detestavo. Preferivo il Leith arrabbiato e che mi urlava contro, rispetto ad uno silenzioso e rimuginante, per quanto questo pensiero potesse essere egoista.

"Ci vediamo." Indugiai aprendo la portiera dell'auto.

"Alexa" Leith mi chiamò, fermandomi prima che potessi scendere.

Mi girai verso di lui che, prendendomi il viso con entrambe le mani, mi stampò un bacio sulle labbra.

"A dopo." Disse mettendo la sua fronte sulla mia.

Restai qualche minuto in piedi, davanti l'uscio di casa chiuso, in attesa del ritorno della mia sagoma, buttando di tanto in tanto lo sguardo nella macchina nera dall'altro lato della strada, dove Leith stava ancora aspettando. Improvvisamente vidi il suo sguardo spostarsi sulla strada, guardando in lontananza. Strizzai gli occhi cercando di mettere a fuoco quella visione sgranata. Non ci fu bisogno di avvicinarsi ulteriormente per capire che, quella sagoma in lontananza che aveva attirato l'attenzione di Leith, era la mia. Rabbrividii sconcertata, tanto era identica a me, e i brividi aumentarono man mano che si avvicinava: la figura esile, il passo svelto, i capelli lunghi e castani, gli occhi attenti. Sembrò notarmi solo a pochi metri di distanza. I suoi occhi si fissarono nei miei e fu come guardarsi allo specchio. Sollevai la mano e lentamente la avvicinai alla sagoma. Era così... reale. Non feci in tempo a toccarla che evaporò davanti ai miei occhi. Letteralmente. Si trasformò in una nube di fumo e scomparse. Pochi secondi dopo sentii le mie ginocchia cedere sotto un improvviso peso. Avevo la borsa di scuola. Mi guardai i vestiti. Non erano più quelli che avevo indossato prima di uscire dalla casa di Leith, ma erano quelli che la mia sagoma indossava prima di scomparire. Rimasi per qualche secondo a fissare il punto davanti a me in cui, fino a poco prima, c'era la mia sagoma, poi mi voltai verso Leith. Era ancora in macchina e le sue labbra erano sollevate in un lieve sorriso. Quando incrociammo lo sguardo, mi strinse l'occhiolino e mi fece segno con la mano di entrare. Ricambiai il sorriso e mi preparai a rivedere mia madre dopo quasi un mese.

The Death Of Shadows |The Otherworldly's Saga|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora