16, 3 Giugno.

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Le mani tremavano, la bocca era secca, non riuscivo a stare ferma dall'agitazione. Superai i primi controlli, arrivai poi ai tornelli, sul piccolo schermo comparve la scritta che mi dava libero accesso per entrare. La gente urlava, cantava, parlava in lingue una diversa dall'altra, ma io ero come se fossi chiusa in una palla di vetro, una di quelle che si trovano nei negozi di souvenir, con la neve finta. Sistemai la maglietta a strisce bianche e nere e infilai, nella tasca posteriore dei jeans, il biglietto.

Ero nel Millennium Stadium, alla ricerca del mio posto a sedere. Settore L27, ottava fila, posto 17. Quando scoprii che la Juventus era arrivata in finale, non esitai un secondo a provare ad aggiudicarmi uno dei biglietti per la partita.

Nell'ultimo mese, dopo la mia partenza, Marco ed io non ci eravamo più visti. Provavamo ad organizzarci, ma andava sempre tutto storto. Questa partita sarebbe stata l'occasione giusta per poterci incontrare.
Ed eccomi lì, a pochi metri dal campo, ad aspettare la mia amata Juventus e il mio ragazzo.

Entrarono in campo i ragazzi del Real, pronti per il riscaldamento. Un forte boato si sentii dagli spalti, i tifosi, giunti fino a lì, urlavano e cantavano per i propri beniamini. D'altro canto, i tifosi Juventini iniziarono a fischiare, fino a quando non entrarono i giocatori di Torino, e le parti si invertirono.
Cercai tra i ragazzi in campo Marco, ma senza successo. Non era lì.

Tre quarti d'ora dopo, le squadre entrarono finalmente in campo per giocarsi la finale di Champions League. Il mio settore era vicino alle panchine, così cominciai a scrutare tutti i calciatori alla ricerca di Marco; era lì, in rigoroso silenzio, concentrato come suo solito e con gli occhi puntati sul campo.

Quella partita per me era davvero importante, ci credevo veramente, come tutti i tifosi intorno a me, come quelli seduti sul loro divano o sulle sedie di un bar. Ci credevamo tutti, troppo. Ci credevamo anche sul 1-3.
I sogni di tutti gli juventini crollarono quando Marco mise a segno l'ultimo, straziante, goal.

Iniziò a correre verso suo padre, suo fratello e gli amici, tutti nel settore affianco al mio. Lo vidi saltare, quasi, su di loro. Sapeva dov'ero, sapeva che c'ero, ma non mi considerò, neanche un piccolo sorriso.

Al sentire i tre fischi finali dell'arbitro, scesi dagli spalti con il vociare dei tifosi, delusi, che accompagnava i miei passi e con la consapevolezza che avrei dovuto raggiungere Marco e tutta la squadra esultante sul campo, mentre io avevo solo voglia di starmene per conto mio.
Appoggiai un piede, poi l'altro, sul verde di quel campo che aveva appena visto la sconfitta di chi avevo acclamato fino alla fine, con il capo basso.
Poi delle braccia cinsero i miei fianchi e mi sentii sollevare dal suolo.
-Amore! Abbiamo vinto, ce l'abbiamo fatta!-
Finsi un sorriso -Complimenti.-
Con gli occhi iniziai a cercare i miei calciatori preferiti, alcuni accovacciati a terra, altri che parlottavano con i compagni.
-Non sei felice per noi?-
-Mi dispiace Marco, non riesco. Lo sai quanto ci tenessi a vedere loro con quella coppa in mano. Sono contenta che tu abbia segnato e raggiunto un obiettivo, ma sai che non riuscirò mai a tifare per voi.-
Mi guardò negli occhi, sembrava dispiaciuto che la sua ragazza non lo sostenesse in quel momento, ma era più forte di me. Da juventina non potevo che essere distrutta.

Quella stessa sera tornai con lui a Madrid, sull'aereo della squadra. Con noi c'erano anche il padre e il fratello, felici anche loro della vittoria.
Rimasi quasi tutto il tempo a guardare le luci accese delle città che stavamo sorvolando. Poi Igor si accomodò al mio fianco.

-So che sei triste, so che avresti voluto vedere la Juve vincere, ma è andata così. Nel secondo tempo siete calati e noi ne abbiamo approfittato, ma non devi abbatterti. Siete comunque arrivati in finale e ve la siete giocata al meglio. Poi tu e Marco non vi vedete da un mese, non sprecare le ultime ore insieme facendoti venire il sangue amaro per una stupida partita di calcio. Dimmi, la Juve è davvero più importante di Marco? Qualche mese fa mi avresti risposto di sì, ora sono sicuro che lui valga molto di più, perché te lo leggo negli occhi. Io e mio padre lo vediamo come lo guardi e vediamo anche lui, quanto è stato male in questo mese senza di te, quindi ora ti togli quell'espressione da cane bastonato dalla faccia, mi fai uno di quei bei sorrisi che amano tutti e vai da quel fesso di mio fratello che ti ama alla follia.-

Aveva ragione Igor.
Stavo male, ma mi sarebbe passata.
Sarei rimasta a Madrid tutto il mattino successivo, non potevo buttare all'aria quelle poche ore che ci rimanevano per un capriccio.
Ringraziai Igor e andai da Marco che, nel frattempo, si stava divertendo con i suoi compagni e scattava foto.

Mi guardò con dolcezza, ma rimase in silenzio, come Isco e Nacho che erano con lui in quel momento.
-Ce la facciamo una foto con la coppa? Così la mando ad Andrej e lo faccio ingelosire.- abbozzai un sorriso. Mi tirò a sè e mi baciò.
-Uh, finalmente fanno i teneri anche con noi presenti!- urlò Marcelo dall'altra parte dell'aereo.
Scoppiammo tutti a ridere, poi Marco mi porse la coppa dei campioni e Isco scattò una foto.

Senza pensarci due volte, Marco la caricò su Instagram, scrivendo come didascalia "Più bella della Champions c'è solo la mia ragazza."

-Quanto rimani quindi?- mi chiese poi, dopo esserci seduti al nostro posto.
-Domani pomeriggio ho il volo, quindi abbiamo solo questa notte e domani mattina per stare insieme.-
-Arriverà il giorno in cui tu sarai laureata e finalmente potremo stare insieme ogni giorno, nella nostra casa, con i nostri bambini e i nostri cani.-
-Ma a te non piacciono i cani.- risi pensando a lui allontanare il cane ogni qualvolta gli si avvicinasse.
-Ma a te piacciono e uno piccolino non mi darà così fastidio.- mi diede un bacio per poi appisolarsi sulla mia spalla.

Una volta a casa, Marco crollò in un sonno profondo quasi appena toccò il morbido materasso. Io, invece, avevo troppi pensieri per la testa e lui era uno di quelli. Guardai il suo petto che si muoveva lentamente, le sue labbra leggermente aperte, poi presi un quadernino dallo zaino, strappai le prime pagine che avevo usato per gli appunti di letteratura inglese, decorai la copertina quel poco che bastasse per renderla più carina e poi iniziai a scrivere. Iniziai a raccontare il viaggio in Spagna, a partire dal volo per Madrid, e continuai a scrivere qualche capitolo fino a quando non vidi la fioca luce dell'alba penetrare dalla finestra.

The Best Nightmare. | Marco AsensioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora