18.

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Non sapevo cosa stesse succedendo.
Marco era distante, ma questa volta non solo fisicamente.
Aveva passato le sue vacanze estive con gli amici, tornò qualche giorno in Spagna, per poi volare oltre oceano con la squadra senza spendere una giornata per me.

Quando era in Messico non parlavamo molto, si potrebbe dire per niente, raramente mi raccontava cosa stesse facendo, mi dovevo accontentare delle foto che i suoi amici postavano sui social, oppure di quelle caricate dai tifosi che lo incontravano in giro per le città che visitavano.

Sembrava quasi che si fosse stancato di me, di noi, della distanza e avevo paura che potesse lasciarmi per una ragazza che gli desse più sicurezza, che lo sostenesse in tutto e per tutto, non da più di 1400 chilometri di distanza.

La mia vita sembrava essere tornata alla normalità.
Avevo terminato tutti gli esami della sessione estiva con successo, così riuscii a partire per Mallorca, senza l'università per la testa.
Avevamo deciso di divertirci a pieno per una volta; per fare i turisti ne avremmo avuto di tempo e anni.
Il primo giorno sistemammo le nostre cose in albergo, per poi buttarci in mare e non tornare indietro fino a sera. Per quella notte restammo a girare per la città, fermandoci di tanto in tanto a dissetarci con qualche cocktail.

La mattina seguente mi svegliai di buon'ora, mentre per gli altri si prospettava una lunga dormita fino a pranzo. Uscii ad esplorare la nuova città.
Mi lasciai incuriosire da un dolce profumo, proveniente da un piccolo bar in una delle tante vie lungo la quale camminavo.
Salutai il proprietario, un vecchietto sorridente, che mi invitò a sedere ad un tavolino e gustare una buona colazione. Osservai con attenzione il menù, ma il signore mi propose dei dolci che, durante i mesi passati in Spagna, non avevo mai provato. Così, poco dopo, appoggiò sul tavolo un piatto con delle torrijas, ovvero fette di pane imbevute in latte e zucchero, immerse nell’uovo e fritte, del succo di arancia e la mia immancabile tazza di caffè.

Gustai il dolce con molta calma, mentre leggevo per l'ennesima volta uno dei miei libri preferiti, Il rogo di Berlino di Helga Schneider.

-Clara?- mi sentii chiamare. Alzai lo sguardo verso il tavolo subito difronte a quello dove ero seduta e notai con piacere che Gilberto, il padre di Marco, mi stava guardando sorridente. -Sei proprio tu! Da quanto tempo.- si alzò e venne a darmi un bacio sulla guancia. Lo invitai a sedersi con me.

-Cosa ci fai qui da sola?- chiese mentre il proprietario posava davanti a Gilberto una tazza di latte e caffè.
-Sono in vacanza con degli amici, loro dormivano e mi andava di fare un giro per conoscere la città.-
-Io stavo aspettando Igor, è in ritardo come al solito.- ridacchiò leggermente.
-Marco, invece?- chiesi, non sapendo dove fosse e cosa stesse combinando della sua vita.
-Non vi state più sentendo?-
-Lui non mi considera. È come se non fossi mai esistita.- alzai le spalle. Continuavo a girare il cucchiaino nella tazza di caffè, seppur consapevole che non avevo messo ancora zucchero.

-Non usa molto il telefono, lo sai. Se non foste così distanti ti dimostrerebbe il suo amore a dovere. Lui, comunque, è qui. Credo arrivi con Igor tra poco.-

Alzai di scatto lo sguardo verso di lui, poi verso l'ingresso dalla quale si sentii il rumore di uno di quei sonagli che si appendono alle porte per avvisare dell'arrivo di qualcuno.
Le figure di Igor e Marco comparvero davanti ai miei occhi.
-Clara! Cosa ci fai qui?- Igor era particolarmente felice di vedermi, Marco era enigmatico. Se ne stava in piedi, a guardarmi, senza dire nulla. I nostri occhi si scrutavano, alla ricerca di risposte che non sarebbero mai arrivate.
Sentii Igor tossire, Gilberto dire qualcosa, ma nessuno dei due si mosse, fino a quando non riuscii a dire al mio presunto ragazzo che dovevamo parlare. Con la stessa espressione di prima, senza sentimenti, annuì.

Salutai suo padre e il fratello, pagai la colazione e insieme uscimmo da quel locale.
-Dove possiamo andare?- chiesi con un filo di voce.
-Potremmo andare a sederci sulle scogliere che danno sul mare, ti va?-
Annuii, intanto camminavamo tra la folla che ogni tanto ci fermava per delle foto.
Una volta arrivati vicino al mare, scegliemmo il posto più tranquillo.

Restò in silenzio a fissare il mare per qualche minuto, poi io cominciai a parlare, non sopportavo più il suo costante mutismo.
-Cosa ho fatto di male? Cosa ho sbagliato?-
-Tu.. tu sei così distante. Era bello quando stavamo giorno e notte insieme, quando sei andata via ho pensato che sarebbe stato facile, nonostante la distanza. Invece è dannatamente difficile. Così ho iniziato ad ignorarti, perché mi faceva stare meno male.-
-Non hai pensato a me? A quanto io potessi stare male ad essere ignorata? Come se non fossi nulla per te? Come fossi una delle tante, dimenticata da un giorno all'altro? Hai mai pensato a questo?-
-Ho messo prima me, questa volta.- ammise abbassando lo sguardo.
-Pensi di continuare così, con me?-

Non rispose, così spostai il suo volto verso di me poggiando due dita sotto al suo mento.
Lo guardai negli occhi e una lacrima bagnò il mio di volto. -Rispondimi.- sussurrai.

-A meno che tu non venga a Madrid, sì, continuerò così.-
-Tu sai benissimo quanto io tenga a laurearmi, in Italia. Lo sai bene, te l'ho sempre detto. Come puoi solo chiedere di rinunciare al mio futuro perché hai paura ad affrontare una relazione a distanza? Per poco più di un anno, tra l'altro, e sapendo che verrei a trovarti tutte le volte che vuoi.-
-Non me la sento di vivere una storia così complicata. Per quanto io ti possa amare, io non ce la faccio. Non voglio.-

-Bene, Marco. Allora rimani pure da solo. Potevi solo farmelo sapere prima di farmi innamorare di un coglione come te, di farmi sperare di aver trovato finalmente il ragazzo perfetto, con cui costruirmi una famiglia. Stammi bene.- dissi con un sorriso amaro sulle labbra.

Mi alzai con le lacrime che ormai scorrevano sulle guance. Lo sentii sospirare, poi il nulla. Da quel momento le nostre strade si separano, definitivamente.
Di lui mi rimase il ricordo di tutte le mie prime volte, del mio primo ti amo, delle mie prime farfalle nella pancia.

Non mi pentivo di quello che avevo vissuto con lui, nonostante tutto mi aveva regalato emozioni indescrivibili, che difficilmente avrei rivissuto con qualcun altro.

L'ho amato, l'ho amato veramente e mai smisi, non avrei mai potuto.
Chissà lui, invece.
Chissà se mi amava, se anche lui aveva vissuto la nostra storia allo stesso modo, o se sarei semplicemente finita nel dimenticatoio come chi c'è stato prima di me.

Per quella notte, poi, lo volevo dimenticare. Bevvi come mai prima, nonostante il disappunto dei miei amici, e continuai ad alzare il gomito.

E per quella notte lo dimenticai.
Solo per quella notte. Solo quella.



Amori belli, sappiate che siamo quasi alla fine, purtroppo.
Ringrazio inalvarosarms per avermi aiutato a dare al capitolo più drama possibile.
(Aspettatevi il peggio ora)😈

The Best Nightmare. | Marco AsensioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora