·Capitolo 12·

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-Non se ne parla- disse categorico Dorian.

-Oh, andiamo, di cosa hai paura?- cercò di convincerlo Olympia.

-Francamente non di farti del male- rispose il ragazzo con tono spezzante –più che altro temo che se dovessi ferirti per sbaglio, mi daresti nuovamente in pasto alle tue guardie-

-Non farò niente, giuro- disse la ragazza alzando una mano. Dorian guardò verso l'alto e sbuffò; era palese che non si fidava di lei.

-Perché non lo chiedi a una delle tue guardie o paghi qualcuno?-

-Perché ho visto come padroneggi l'arco e, nonostante quello che ho detto, sei molto abile. Poi sai usare bene anche la spada e...- Olympia non voleva dire quelle parole, ma doveva per persuaderlo –mi fido abbastanza di te- aggiunse evitando cautamente il suo sguardo.

-Senti, anche volendo, io non sono un maestro, non so insegnare- parlò Dorian arrampicandosi sugli specchi. Dallo sguardo della ragazza, il giovane capì che non avrebbe ceduto. Sospirò. Sapeva che si stava invischiando in una situazione pericolosa, di cui lui non voleva assolutamente far parte. Il suo piano era quello di accompagnare la regina a palazzo, sotto ordine di sua madre,  per poi tornare indietro e vivere la sua vita come se tutto quello non fosse mai successo.  Non aveva programmato una cosa simile. –Io...-

-Sapevo che avresti accettato- esclamò Olympia battendo le mani –ti aiuterò come vuoi con la tua famiglia-. La ragazza poi si girò per andarsene ma, prima, doveva occuparsi del suo lupo. Guardava l'animale con sguardo spento cercando di decidere cosa fare.

-Non avete una cripta di famiglia?- chiese Dorian e lei annuì senza nemmeno girarsi. –Portalo lì. Se era davvero così importante, allora merita un posto d'onore-

-Io non voglio andare lì sotto- sussurrò appena.

-Vai. Me ne occupo io- si propose il ragazzo con un sospiro esasperato. Lei si girò verso di lui con aria stupefatta e il giovane annuì in segno di conferma. Olympia fece per avviarsi verso l'uscita ma, passando di fianco a Winter, si chinò e lo accarezzò un 'ultima volta, prima di non vederlo mai più.

Olympia era rimasta chiusa in casa per buona parte del giorno successivo. Più volte Eden era passata consigliandole di uscire a prendere una boccata d'aria o anche solo di mangiare qualcosa, ma lei si era rifiutata categoricamente, lasciandola ogni volta fuori dalla porta. Aveva lo stomaco chiuso e si sentiva talmente stanca che avrebbe dormito per giorni, se avesse potuto. In quel momento era notte fonda e la ragazza, dopo aver dormito per quasi tutto il giorno, fissava il soffitto nell'oscurità della sua stanza. Probabilmente non avrebbe chiuso occhio fino al mattino, quindi tanto valeva trovarsi qualcosa da fare. Si mise seduta al centro dell'enorme letto baldacchino e si guardò attorno: quella stanza era asettica e non c'era niente da fare ma, quando i suoi occhi si posarono sulla finestra, le venne un'idea. La foresta buia che si estendeva dietro al castello era un territorio poco battuto, ma questo non la preoccupava; avrebbe fatto un'escursione lo stesso. Scese dal letto con un balzo (con la ferita che tirava) e andò verso la cabina armadio. Aprì le ante e ne estrasse un paio di pantaloni e una camicia di seta. Niente mantella o sciarpa, un po' di freddo le avrebbe fatto bene. Acconciò i capelli in una crocchia alta e fece per uscire dalla porta. La aprì ma subito si rese conto di non aver tenuto conto di un particolare: la guardia vicino all'entrata della sua camera. Richiuse senza fare rumore il pesante battente di legno e cercò qualcosa per distrarlo. Fortunatamente, sopra alla toeletta era appesa una mensola con tutte polveri di piante medicinali che aveva allestito Eden; tra quelle boccette c'era anche un potente sonnifero. Olympia si allungò e la prese, poi si voltò e si diresse alla porta. Nel tragitto prese un fazzoletto per coprirsi la bocca, aprì la porta quel tanto che bastava per mettere una mano fuori con la polverina sul palmo, aprì le dita e soffiò. Una nube biancastra si alzò in aria e la guardia si girò per controllare. Inspirò e cadde a terra facendo un sacco di rumore. La ragazza si guardò attorno per verificare che il rumore non avesse attirato nessuno e poi uscì tenendosi il fazzoletto sulle vie respiratorie. Si muoveva in fretta e silenziosamente e, in poco tempo, aveva già raggiunto l'uscita che dava sul retro. Aprì la porta e si ritrovò in cima ad una discesa impervia. Proprio quello che mi ci voleva durante la guarigione, pensò cominciando a scendere cautamente per non scivolare. Per sua fortuna, riuscì ad arrivare ai piedi della collina senza cadute o ferite e si addentrò nel bosco. La neve lì era fresca, segno che nessuno ci era passato nell'ultimo periodo, e il terreno era impervio. Facendo attenzione a dove metteva i piedi, per non slogarsi una caviglia, Olympia procedeva tra gli alti alberi. La brezza fresca della notte le accarezzava il viso e, in quel momento, si sentì libera da ogni pensiero funesto. Camminò per molto tempo in linea retta senza temere di perdersi; una volta che avesse deciso di tornare a castello, le sarebbe bastato girarsi e rifare il percorso al contrario. All'improvviso le sembrò che la luce della luna diventasse più forte. Si guardò intorno e vide che era arrivata ad una piccola radura. Il paesaggio che la circondava era insolito però; sembrava che gli alberi lì fossero piegati verso l'interno, come a voler creare una cupola di protezione, l'erba era verde e non coperta dalla neve e al centro c'era un laghetto naturale, di forma perfettamente ellittica, con l'acqua fluida che fumava invece di essere ghiacciata come avrebbe dovuto. Olympia si avvicinò, prestando attenzione a non scivolare dentro l'acqua. Non si capiva quanto fosse profondo, ma a giudicare dall'oscurità delle acque, doveva superare i due metri e mezzo. La ragazza immerse una mano e, con sorpresa, constatò che il liquido era piacevolmente tiepido. Era un bacino termale, a poca distanza da palazzo. Perché nessuno aveva mai scoperto quel posto? Agli occhi della ragazza, tutto quello, sembrava uno di quei luoghi incantati di cui sua madre parlava nelle favole. Si sedette sui talloni e si guardò attorno ancora una volta. Fu in quel momento che, tra i rami dei pini, vide un lucina. E poi un'altra, e un'altra ancora. Tante piccole lucciole si stavano avvicinando al lago. Olympia non ne aveva mia vista una in vita sua e le osservava stupefatta. Si stava godendo quel momento quando sentì un piagnucolio. Si alzò di scatto e comincio a pattugliare la zona. Dopo vari tentativi, riuscì finalmente a trovare la causa di quel rumore: dietro ad un cespuglio di bacche c'era una volpe bianca con il suo cucciolo. La madre era a terra con gli occhi sbarrati e, vicino alla bocca, aveva delle bacche. Probabilmente erano velenose e la volpe, cercando qualcosa da mangiare, le aveva ingerite uccidendosi. Il cucciolo piangeva e continuava a leccare il pelo della madre. Quando la ragazza si chinò avvicinandosi, questo cominciò e tremare e a ritrarsi. Olympia allungò una mano e la piccola volpe, inizialmente diffidente, si avvicinò e la annusò. Dopo che ebbe capito che la regina non gli avrebbe fatto del male, si accucciò davanti a lei guardandola con quei due occhi ambrati. La ragazza sapeva che non l'avrebbe lasciata lì per nulla al mondo; quindi prese il fazzoletto che aveva usato precedentemente per coprirsi la bocca e ci avvolse la piccola palla di pelo bianca. Fu mentre faceva ciò che vide che l'animaletto aveva una zampina sporca; si avvicinò per esaminarla e vide che il pelo era sporco di sangue e che aveva una ferita tutt'attorno alla zampa. Sembrava che la volpe fosse finita dentro ad una trappola e questo spiegava anche perché si trovassero lì, molto lontane dalla zona del regno dove di solito stavano le volpi bianche. Olympia sarebbe rimasta lì per molto altro tempo, ma doveva portare il cucciolo al sicuro, così si rimise in marcia con il fagotto tra le braccia verso il castello.

***

Quando raggiunse il castello non era ancora arrivata l'alba. La piccola volpe stava dormendo tranquilla tra le braccia della ragazza ed emetteva strani versi simili a fusa; sembrava piacerle dormire, notò Olympia. Durante il tragitto verso palazzo, aveva pensato a un nome da darle. Alla fine era giunta ad un vincitore: Firefly, l'avrebbe chiamata così. Non sapeva bene da dove le fosse uscito un nome così romantico (lei che di romantico aveva ben poco), ma forse un po' per la situazione in cui l'aveva trovata, ovvero un luogo pieno di lucciole, un po' per i suoi occhi ambrati che le ricordavano le piccole luci di quegli insetti le era parso perfetto. Arrivata ai piedi della salita però non sapeva bene come fare ad arrampicarsi non avendo l'aiuto delle mani, perciò decise di fare il giro ed entrare dalla porta della cucina. Le ci volle un bel po' a camminare attorno al castello, tanto che quando arrivò all'entrata le prime luci del mattino rischiaravano il cielo. Mise dentro la testa lentamente e notò che, fortunatamente, i domestici non avevano ancora iniziato a lavorare. Passò vicino alla dispensa e prese dell'uva e delle bacche dopodiché si diresse in camera sua silenziosamente. Prima di svoltare l'angolo del corridoio che portava alla sua camera, controllò che la guardia fosse ancora addormentata, poi cercando di non fare rumore, andò verso la porta. Passando per il corridoio però vide la porta del suo studio; probabilmente non era ancora stato sistemato il disastro fatto dalle tre streghe visto che nessuno era autorizzato ad entrare lì. Abbassò lo sguardo verso il basso e vide che l'animaletto stava ancora dormendo, quindi non sarebbe stato un problema se lei si fosse fermata nella sua biblioteca privata. Prima di cambiare idea e proseguire per la sua strada, aprì la porta ed entrò.

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era entrata nello studio, ma intuiva che fosse passato mezzogiorno ormai, a giudicare dalla luce che entrava dalla finestra. La volpe si era svegliata parecchie ore prima e la ragazza le aveva dato dell'uva da mangiare. Zoppicava un pochino, con ogni probabilità a causa della zampina ferita. Appena entrata in biblioteca aveva visto una scia di sangue rappreso sotto la scrivania; in un primo momento era rimasta incantata a guardare ripensando a chi apparteneva quel liquido rosso, ma poi si era decisa ad andare in camera, prendere uno straccio e pulire. Doveva andare avanti... non era da lei provare nostalgia verso qualcuno o qualcosa che aveva perso. Prima di cominciare a strofinare, aveva strappato una piccola striscia di tessuto dal panno e fasciato la gamba della volpe e in quel momento camminava con meno difficoltà. L'animale vagava per la biblioteca in esplorazione, annusando qua e là. Quando si fermava vicino alla ragazza, questa le dava un acino d'uva e uno lo mangiava lei. Olympia stava catalogando i libri sparsi sul pavimento in ordine alfabetico; quando le scappava un foglio o un appunto da dentro il libro, la volpe arrivava in soccorso, prendeva con la bocca l'interessato e lo passava alla ragazza. Era il crepuscolo quando finì di sistemare tutto. Prese l'ultimo libro dal pavimento e fece per metterlo sullo scaffale. Appena lo inserì però, sentì un rumore strano. Estrasse il libro dal suo posto e guardò sul fondo del mobile; non sembrava esserci niente, così Olympia allungò una mano e toccò il legno. Questo emise un suono insolito, come se dietro fosse vuoto. La ragazza tirò fuori alcuni libri che aveva appena rimesso a posto e vide che in effetti c'era uno scomparto nascosto intagliato nella libreria. Aprì il coperchio e quello ne tirò fuori una scatola di legno vecchia e finemente intagliata. Olympia si rimise in piedi rigirandosi l'oggetto tra le mani: era pesante e sentiva che dentro c'era qualcosa che si muoveva. Poi si concentrò sulla parte superiore e lesse la scritta su di essa: Haven Harvey.

Iced - La Regina Dei GhiacciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora