·Capitolo 9·

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Parte Prima

Il vento fischiava nelle orecchie di Olympia; era stremata, non sapeva da quanto tempo fosse a cavallo ed era una grazia che fosse ancora viva. Cercò di aprire gli occhi e tirarsi un po' su per guardarsi intorno: era tutto bianco, dal suolo agli alberi, e la tormenta non aveva intenzione di cessare. Non c'era niente attorno a lei se non una landa desolata e dei pini innevati; doveva essere al confine del regno, suppose la ragazza. Il fianco le faceva ancora male: bruciava intensamente, come ormai anche l'intero addome. Sugar aveva rallentato l'andatura per evitare di scivolare sulla neve e, ad ogni trotto, fitte violente si diffondevano dalla ferita al resto del corpo. Olympia con la mano libera si rimboccò meglio il cappuccio della mantella; faceva freddo anche per lei e il vento che le sferzava il viso le faceva lacrimare gli occhi. L'oblio cercava di reclamarla di nuovo ma il dolore fisico la teneva sveglia. In un certo senso era meglio così; se fosse stata sveglia avrebbe potuto controllare che nessuno l'attaccasse. Il cavallo arrivò ad una collina. Non c'era modo di aggirarla, così Sugar fu costretto a salirci sopra. La scalata fu difficile: più di una volta gli zoccoli del cavallo slittarono sulla neve ghiacciata e Olympia dovette cercare di tenersi come meglio poteva al cavallo attraverso la sua criniera. Arrivati in cima al colle cominciò la discesa; se possibile, fu anche più ardua della salita. La neve ghiacciata rendeva la camminata precaria e Sugar riuscì a fare solo due metri prima di franare a terra e portarsi dietro anche la ragazza. Scivolarono per tutta la lunghezza della discesa e si fermarono ai piedi dell'altura. Il cavallo si rialzò immediatamente in piedi mentre Olympia rimase sdraiata in mezzo alla neve con gli occhi chiusi. Il cavallo le andò vicino e con il muso le toccò delicatamente una mano. Dopo alcuni minuti di attesa, la ragazza aprì gli occhi con un sussulto; aveva perso momentaneamente i sensi. Provò a mettersi in ginocchio per poi alzarsi, ma non ci riuscì. Appoggiò la mano sul fianco e, quando la guardò, vide che era macchiata di sangue. Abbassò lo sguardo e il panno di cotone che le aveva messo Eden era completamente intriso di sangue. Si toccò la spalla alla ricerca della bisaccia che conteneva i panni di ricambio, ma non la trovò. Ruotando la testa vide che era ad alcuni metri di lei, probabilmente sfuggita dalla sua spalla a causa della caduta. Si allungò per prenderla e fu in quel momento che la vide: una lunga scia di sangue segnava il tragitto che aveva fatto scivolando giù dalla collina. Accidenti, pensò. Quel segno era un buon modo per farsi scoprire da qualcuno che era sulle sue tracce. Olympia prese la borsa di stoffa e ne estrasse un pezzo di cotone che premette sul fianco. Appena lo appoggiò, però, una stilettata la fece piegare in due. Doveva trovare un modo per alleviare la sofferenza e alla svelta; non sapeva dove fosse di preciso, ma il nemico era sempre in agguato. Fu in quel momento che le venne un'idea: prese della neve e la pose tra la pelle e la stoffa di cotone. Così facendo avrebbe addormentato la pelle e mitigato il dolore quel poco che bastava per trovare aiuto. Ora doveva solo rimettersi in groppa a Sugar. Cercò di alzarsi ma le forse ormai le bastavano solo per rimanere sveglia. Guardò il cavallo impotente e questo fu come che le leggesse la mente; si avvicinò alla sua padrona e si accucciò di fianco a lei. Olympia allora strisciò sulla neve e si mise a cavalcioni sulla sua schiena. Sugar si rimise in piedi con apparente facilità e poi si voltò. Andò verso la scia di sangue lasciata dalla ragazza e con lo zoccolo smosse la neve in modo da cancellare il rosso dal candore del suolo. Poi si rimisero in cammino. La ragazza non dava indicazioni o altro; sembrava che il cavallo sapesse esattamente dove andare. Fu per questo motivo che Olympia si concesse un riposino.

Non sapeva quanto tempo fosse passato, quando sentì uno scossone che le fece aprire gli occhi. Erano arrivati vicino ad una casupola di legno; sembrava disabitata visto che non c'era fumo che usciva dal camino. Sugar si abbassò leggermente per permettere ad Olympia di scendere. È sempre meglio di niente, rifletté la ragazza, anche se non c'è nessuno dentro, almeno avrò un rifugio dove stare finché non mi riprendo un poco. Il cavallo stette ad aspettare sotto un albero mentre la ragazza arrancava verso la porta. Lì la tormenta sembrava infuriare ancora di più. Bussò forte alla porta.
-C'è nessuno lì dentro?- urlò per farsi sentire sopra al rumore del vento, -mi serve aiuto- continuò bussando ancora. Stava per picchiare ancora la porta, quando questa si aprì. Aldilà della soglia c'era una donna bionda sulla quarantina. Era alta e magra e aveva il visto smunto segno che non apparteneva alla classe abbiente e ciò era sottolineato anche dai vestiti semplici e dalla casetta dove viveva. Olympia si precipitò dentro; sapeva che non era cortese entrare in casa altrui senza il permesso del proprietario, ma le sue forze se ne stavano andando definitivamente. La donna capì subito che la ragazza non stava bene e così la prese per la vita aiutandola a stare in piedi.
-Aveline, vieni veloce, libera il tavolo- chiamò a gran voce. Pochi istanti dopo entrò in quella che doveva essere la cucina una ragazza mora e magra anch'essa. Senza esitare, eseguì l'ordine della madre e cominciò a mettere via tutto quello che c'era sul massiccio bancone di legno.
-Ma cosa sta succedendo qui?- chiese una voce maschile che Olympia udì soffocata a causa del cappuccio che aveva in testa.
-Figliuolo, mi serve aiuto per metterla sul tavolo- gli disse la donna bionda. Olympia udì dei passi sul pavimento di legno e poi si sentì prendere la vita dal lato libero. Successivamente il figlio della padrona di casa le mise un braccio sotto le ginocchia e la sollevò. Fece alcuni passi veloci e poi la depositò sul tavolo. Olympia non vedeva niente, per via del cappuccio che le copriva il volto, ma sentiva che la donna impartiva ordini: chiese al figlio di andare fuori a prendere della neve e alla figlia di aiutarla a toglierle la mantella. Con delicatezza ma rapida, la donna le tolse il soprabito e poi la riposò con garbo sul tavolo. Sentiva che la signora stava spostando la stoffa della camicia da notte per esaminare la ferita e in lontananza udì la porta chiudersi, segno che il figlio era tornato in casa. Sentì il frusciò della stoffa e poi dei passi che si avvicinavano al tavolo.
-Non posso crederci- disse il figlio.
-Cosa c'è?- chiese la sorella, Aveline. Olympia sollevò la testa e, in un primo momento, vide tutto sfocato, ma poi riuscì a mettere a fuoco: capelli scuri come quelli della sorella, alto e in forma e due occhi ambrati che la fissavano. Dorian era corrucciato e arricciò la bocca non appena i suoi occhi incontrarono quelli della regina.
-Non è possibile- disse con affanno la ragazza –con tutte le persone che c'erano, proprio da te doveva portarmi il mio cavallo-
-Dorian che sta succedendo?- chiese nuovamente Aveline, confusa.
-Non l'hai riconosciuta?- rispose con un'altra domanda il ragazzo – È la regina- pronunciò con disprezzo.
-Aspetta, quella regina? Quella che ha ucciso nostro padre e stava per fare fuori anche te?- il tono di voce della sorella si era inasprito e alzato di alcune ottave. Il ragazzo annuì e lei rise amaramente. -Madre, lasciatela lì. Anzi, buttatela direttamente fuori casa-
-Non posso Aveline. Ha bisogno di aiuto e, anche se non sarebbe giusto, la mia coscienza me lo impone- disse con voce atona la madre. Dopodiché si sentì uno strappo. Olympia guardò verso il basso e vide che la donna aveva rotto la stoffa della camicia da notte.
-Attenzione, è tessuto d'argento- l'avvertì la regina.
-O così o niente, Altezza. La ferita è piuttosto grave- si giustificò la donna. –Mi serve dell'acqua bollente o, ancora meglio, della grappa e delle garze- ordinò successivamente ad uno dei due figli. Qualcuno si mosse per la stanza per poi tornare e appoggiare il tutto sul tavolo. Fu in quel momento che Dorian entrò nella visuale di Olympia.
-Stai male, angioletto?- chiese sarcastico il ragazzo.
-Vedo che sei perspicace- sbottò di rimando Olympia tossendo.
-E io vedo che anche da mezza morta non ti manca la lingua tagliente- fece un sorriso sghembo ma, quando guardò la ferita, si fece serio.
-È così brutta?- chiese la ragazza. Dorian evitò saggiamente di rispondere ma strinse la bocca in una linea sottile. La madre del ragazzo prese la bottiglia di grappa e verso un po' del contenuto sulla ferita. Olympia urlò e inarcò la schiena.
-Tienila ferma, Dorian. Se si muove è peggio- disse secca la madre. Dorian si mise dietro alla testa della regina e la premette sul tavolo per mezzo delle braccia. Il ragazzo guardò in basso e incontrò lo sguardo di Olympia.
-Perché mi stai aiutando e stai costringendo anche la tua famiglia a fare lo stesso?- gli domando la ragazza con un sussurro; lei avrebbe voluto parlare con voce più alta, ma non ci riusciva. Si sentiva estremamente debole.
-Perché se qualcuno deve ucciderti, non sarà una stupida ferita ad un fianco, ma sarò io- rispose con fermezza Dorian.
-Sempre melodrammatico- sbottò Olympia con un sorrisetto, prima di sentire le palpebre pesanti e scivolare in un placido oblio privo di dolore.

Iced - La Regina Dei GhiacciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora