Thomas

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Buio.
Era questa la prima cosa che il ragazzo ricordava di aver percepito, quel giorno, nella Scatola.
E poi il rumore sferragliante di quest'ultima.
Il senso di solitudine e vuoto che aveva provato, non se li sarebbe scordati per tutta la vita. Non ricordava nulla. Nemmeno il suo nome. Quel giorno pensava che sarebbe morto, che tutto sarebbe finito.
E forse sarebbe stato meglio così.
La confusione ed il panico quando la Scatola si era aperta, mostrandogli per la prima volta i Radurai. Non sapeva che fra di loro avrebbe conosciuto alcune delle persone più importanti di tutta la sua vita.
Sempre se la sua esistenza poteva chiamarsi così.
Nei primi giorni della sua nuova vita, dopo aver iniziato a capire come funzionava la Radura, il Pivello era certo che la sua esistenza facesse schifo.
Eppure ormai era lì. Non poteva di certo tirarsi indietro. E no, non lo avrebbe fatto. Erano passati solo pochi giorni, ma il ragazzo imparava velocemente; pensava che di certo il peggio fosse passato. Almeno, ogni notte gli incubi lo tormentavano, ma incominciava a sentirsi parte di qualcosa, per quanto assurdo potesse essere. Il secondo giorno Chuck gli aveva mostrato le quattro Porte, ed ogni singolo Raduraio gli aveva raccomandato di non osare ad andare al di là di esse. Questo non faceva altro che aumentare la curiosità dentro di sè. Se non fosse per il fatto di Ben. Questo ragazzo, a quanto dicevano i Radurai, era stato preso da loro. Li chiamavano Dolenti, a quanto aveva capito. E la cosa più assurda di tutte, era che si trovassero in un Labirinto. Un Labirinto. Chuck se l'era lasciato sfuggire. Ora capiva perché Alby cercasse di fare un tour di iniziazione. Quella storia sembrava talmente assurda, non poteva essere reale. Eppure il Fagio aveva la prova davanti ai suoi occhi: muri mastodontici, Porte che si chiudevano (erano chiusi dentro, oppure quelle cose lì stavano proteggendo da qualcosa di peggiore che si trovava fuori?), ragazzi come Ben che erano stati punti ed urlavano come mai egli avesse sentito in tutta la sua nuova vita. Gally, odiava già quel ragazzo, l'aveva chiamata Mutazione. Il Pivello pensava che sarebbe impazzito. Aveva bisogno di risposte. Ed in più a tutto questo si metteva in evidenza il fatto di non riuscire a ricordare il suo nome... ma sapeva che era lì. Era come se ce lo avesse sulla punta della lingua, come quando si ha su di essa il nome di una canzone o di una cosa qualsiasi ma non riusciamo a ricordarcelo, per quanto ci sforziamo. Era straziante.
L'unica cosa che era certo di sentire, era il fatto di voler diventare un Velocista. Non sapeva nemmeno che cosa significasse davvero, eppure il ragazzo sentiva di doverlo diventare, a qualsiasi costo. E forse fu grazie a questo pensiero, più rassicurante degli altri, che quella sera andò a letto con più facilità di quanto si sarebbe aspettato.
Fu un respiro caldo sul suo collo a svegliarlo. Il Pive aprí gli occhi con un'espressione intontita, la pelle del collo e della schiena cosparsa da brividi. Sentí una risatina divertita vicino al suo orecchio, e mise a fuoco il viso del ragazzo che stava a pochi centimetri dal suo. Per poco non si strozzò con la sua stessa saliva ed emise un mugolio strano. Il ragazzo gli mise una mano sulla bocca per zittirlo.
"Shh, Fagio. Non vogliamo svegliare Chuckie, no?"
Newt era talmente vicino al viso del Pivello che il suo ciuffo ramato solleticava la guancia sinistra del ragazzo. Il Fagio lo fissava, occhi marroni contro occhi marroni. Scosse piano la testa e Newt, abbozzando un sorriso, tolse delicatamente la mano dalla bocca del ragazzo.
"Dai, Fagio"
sussurrò Newt, tirandosi indietro, tendendo una mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi.
"Pare ti debba mostrare qualcosa prima della sveglia."
Il nuovo arrivato non ci pensò due volte.
"Okay. Dove andiamo?"
Newt si girò ed incominciò a camminare, facendo lo slalom tra i corpi addormentati degli altri Radurai.
"Seguimi e basta. E... stammi vicino."
Il Pive inciampò sul braccio di un Raduraio, col cuore che batteva a mille. Il Raduraio imprecò e gli tirò un pugno sulla gamba. Così inciampò di nuovo, la faccia contratta in un'espressione di dolore. Newt prese a ridacchiare e continuò a camminare. Insieme arrivarono fino al muro occidentale. Il ragazzo si accorse che sul muro c'erano piccole luci rosse che si muovevano, fermavano, accendevano e spegnevano.
"Cosa sono quelle?"
Disse con voce tremante.
"Quando ti servirà saperlo, Fagio, lo saprai, cacchio."
"Beh, è un po' stupido spedirmi in un posto in cui niente ha senso e non rispondere alle mie domande. Pive."
Newt ridacchiò.
"Mi piaci, Fagio. Adesso sta zitto e lascia che ti mostri una cosa."
Il ragazzo affondò le mani nell'edera, rivelando una piccola finestra impolverata, scura.
"Ma cosa..."
"Con calma, Pive. Presto ne arriverà uno."
E passarono così i minuti successivi. Finché qualcosa cambiò. Delle luci, piccoli bagliori, incominciarono ad intravedersi dalla piccola finestra.
"La fuori c'è il Labirinto"
Sussurrò Newt, come se fosse in trance. Il ragazzo nuovo non riusciva a smettere di guardare quel viso così delicato e bello.
"Tutto ciò che facciamo - tutta la nostra vita, Fagio - gira intorno al Labirinto. Ogni santo secondo di ogni santo giorno noi lo passiamo in onore del Labirinto, cercando di risolvere qualcosa che non ci ha mostrato di avere una cacchio di soluzione, sai? E vogliamo farti vedere perché è meglio che tu non vada a metterci le mani. Mostrarti perché quei fottuti muri si chiudono stretti ogni notte. Mostrarti perché non dovresti mai e poi mai portare le chiappe la fuori."
Il Pive non aveva mai visto nessuno così frustrato e... triste. Voleva semplicemente abbracciarlo. Ma poi spostò la sua attenzione di nuovo sulla finestra. E fu li, per la prima volta, che vide un Dolente.
Una grande creatura gibbosa delle dimensioni di una mucca, senza una forma nettamente distinguibile, si agitava e si contorceva al di là della finestra.
Il Fagio indietreggiò con gli occhi spalancati dal terrore; inciampò in un sasso, ma Newt lo acciuffò e lo tenne stretto a se per qualche secondo. Il suo cervello era andato completamente in pappe.
"Dolenti, li chiamiamo. Tipetto brutto, eh? Ma escono solo di notte. E ringrazia che ci siano quei muri."
Newt lo lasciò andare con delicatezza, assicurandosi che il ragazzo riuscisse a stare in piedi. Il Novellino voleva urlargli di no, non lasciarlo e di stare li con lui, ma la vista del Dolente lo aveva destabilizzato. Quello che provava era terrore puro, e le sue sicurezze sul diventare Velocista vacillarono per un attimo. Ma solo per un attimo. Scosse la testa, e guardò Newt: braccia incrociate, i capelli ribelli che seguivano il leggero vento mattutino, sguardo corrugato. Chissà a cosa stava pensando. Glielo stava per chiedere, quando il ragazzo continuò.
"Ora sai cosa cacchio striscia in giro per il Labirinto, amico. Ora sai che non c'è da scherzare. Sei stato mandato nella Radura, Fagio, e ci aspettiamo che tu sopravviva e che ci aiuti a fare ciò che ci hanno mandato a fare."
"E che sarebbe?"
Chiese, incerto. Continuava a guardare il ragazzo attentamente, ogni dettaglio sul suo viso, la pelle testa, la fronte aggrottata; Newt spostò gli occhi, dritti nei suoi.
"Trova il tuo modo di uscire, Fagio. Risolvi l'enigma del fottuto Labirinto e trova la tua strada per tornare a casa."
Un brivido percorse la schiena del Novellino, come se qualcosa di freddo lo avesse sfiorato. Eppure continuava a guardare il ragazzo negli occhi. Quegli occhi, lo confortavano. Newt ricoprí lentamente la finestra, che era tornata scura, e poi si girò di nuovo verso il ragazzo.
"Beh, francamente qui non c'è un caspio da fare. Dobbiamo mandare avanti sto posto di sploff, quando sappiamo benissimo che non c'è futuro qui. Assurdo, vero?"
Il ragazzo annuí. Era davvero tutto troppo assurdo.
Quando in un lampo fugace un nome gli attraversò la testa.
Thomas.
Era successo davvero?
Thomas. Mi chiamo Thomas.
Si, decisamente reale.
"Thomas.."
Sussurrò. Newt lo guardò con la testa inclinata, un'espressione interrogativa sul volto.
"Thomas. Io... mi chiamo Thomas. Thomas!"
Quel suono sembrava magnifico. Thomas alzò gli occhi sul volto di Newt, che gli sorrideva. Il ragazzo avanzò e lo strinse in un abbraccio. Thomas fremette. È solo l'emozione per essere riuscito a ricordare il mio nome, si disse, stordito. Newt poi si staccò e gli colpí delicatamente la spalla destra con fare... scherzoso? Forse addirittura... amorevole. Thomas fremette di nuovo. E poi Newt gli sorrise, un sorriso mozzafiato, e rise, un suono cristallino e delicato, adorabile, pensò Thomas.
"Bene. Benvenuto nella Radura, Tommy."

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