La prima volta che ho sentito la tua voce al telefono, non ero da solo
Tra tutte le reazioni che avrei potuto immaginare quella di ricevere una telefonata era di sicuro quella che meno avevo messo in conto. Credevo che mi avresti risposto al messaggio, magari anche con qualche ora di ritardo. Erano stati i tuoi capelli a farmelo pensare.
'' Hai i capelli di una che si fa aspettare'' ti avrei detto.
Qualche mese dopo avresti descritto questa mia deduzione come ''buffa ma arguta'' e io avrei arricciato il naso per l'accostamento dei termini e l'avrei salvato sulle bozze del cellulare.
Sapevi e sai usare e dosare le parole e questa, per noi, è stata sempre un'arma a doppio taglio.
Tunisi brillava per me in quei giorni di Febbraio e i sorrisi dei bambini che mi salutavano per strada mi riempivano il cuore. Non c'è un solo angolo di quel posto di cui io non sia perdutamente innamorato: il balcone da dove ho sbirciato il mondo per tanto tempo e dove ho scritto tanto, il cielo terso, il profumo della pelle dei miei famigliari che è così simile al mio, la sensazione di pace nel sentirsi parte di una collettività, l'odore della terra, di famiglia, di destino. Quei giorni di fuga, prima di tornare a Milano, per me rappresentavano una manna dal cielo.
Non ero da solo, quella sera, quando hai deciso di telefonarmi. Erano le 21:45 e io giacevo nudo nel letto, coperto solo da un lenzuolo. Fissavo il soffitto, mi ronzavano in testa un turbine di idee per i nuovi pezzi.
''Come si chiama?'' mi avresti chiesto qualche tempo dopo. Avevi una matita tra i capelli, la sigaretta nella mano destra, le unghie laccate di rosso e ti mangiucchiavi il pollice sinistro. Mi guardavi avida di informazioni. E' sempre stato poco professionale il tuo modo di indagare sul mio passato. Molto più che sulle informazioni riguardanti la mia vita da personaggio pubblico, quelle le registravi come fossero cose normali. Tentennasti solo quando ti raccontai di quello che aveva detto Saviano di me, quella volta spalancasti gli occhi con meraviglia. Mi spiazzavi con domande assurde e macchinose e io non riuscivo mai a correre veloce quanto il flusso dei tuoi pensieri. Non ci sono mai riuscito, sei sempre stata più brava di me a schiacciare l'acceleratore. Anche solo per scappare lontano da me con la mente.
Lontana quanto basta per osservarmi con il binocolo, lontana quanto basta per rendermi insostenibile la tua assenza.
Lì per lì non capì. Ero distratto, osservavo le onde morbide e rosse dei tuoi capelli scendere lungo la schiena bianca.
''Chi?'' ti chiesi
''La ragazza che avevi a Tunisi,quella che era con te la sera in cui ti ho telefonato''
''Aida. Si chiama Aida'' ti ho risposto quasi divertito. Mi sentivo elettrizzato all'idea che pian piano il muro di confine che avevi eretto tra di noi stesse crollando. Volevo vedere fino a che punto ti saresti spinta per rivendicare il tuo territorio.
''Quattordicesimo posto'' affermasti telegrafica fissando un punto indefinito
''Cosa?''
''Aida è solo il quattordicesimo nome arabo femminile più diffuso in Tunisia. Avresti potuto fare di meglio Amdouni. Mi aspettavo un nome più originale da uno come te'' hai ribattuto sarcastica, poi hai spento la sigaretta sulla ringhiera del balcone e sei rientrata in casa.
Avevi quei pantaloncini neri che ti lasciano scoperte metà delle natiche. Avvertì il desiderio di rientrare in casa e parlarti di noi, una volta per tutte. Invece,ancora una volta,mi limitai ad osservarti tramite il vetro della porta-finestra.
Eri e sei ancora la creatura più assurda che io abbia mai incontrato
Avevo conosciuto Aida un paio di anni prima, c'era qualcosa in lei che mi trasmetteva sicurezza. L'avevo vista passare sotto casa dei miei zii durante un'assolata e pigra giornata di vacanza. Sapevo che l'avrei trovata lì per me in ogni caso. Non stavamo assieme ma non eravamo di certo due estranei. Era piacevole passare del tempo con lei e rispecchiava in tutto e per tutto l'ideale di relazione che posso e potevo permettermi:senza legami fissi, con la distanza di mezzo, senza creare motivo di gossip in Italia. Quando squillò il telefono quella sera lei era stesa accanto a me,sul'altro lato del letto, io fumavo una sigaretta sovrappensiero. Fu la vibrazione a rompere il silenzio imbarazzante creatosi fra me e Aida. Non avevamo argomenti di conversazione differenti dalla mia musica, la mia fama e la vita in Italia e per quanto mi piacesse raccontare di quanto la mia vita avesse preso risvolti positivi, non mi bastava e mi sentivo poco stimolato.
Agguantai il telefono e alzandomi,cercai di ritrovare i boxer persi un'oretta prima. Ti risposi mentre giocavo a fare l'equilibrista per la stanza, mentre ero sul punto di cadere.
''Pronto?'' risposi chiudendomi la porta alle spalle. Ero convinto che fosse una telefonata di lavoro perciò assunsi un tono cordiale e distaccato.
''Comunque il cioccolato era al latte. Per la precisione, con le nocciole.''
Ci misi qualche secondo a collegare tutto, a comprendere che dall'altro capo del telefono ci fossi proprio tu. Sfacciata come poche, il tono di chi non si faceva problemi. Uno dei mille motivi per cui ti ho sempre trovata magnetica.
''Il cioccolato fondente è l'unica tipologia di cioccolato accettabile'' ti risposi piccato e abbassando il tono della voce per evitare che la ragazza nell'altra stanza mi sentisse.
''Ti disturbo?'' chiedesti tu. Avevi cambiato tono, forse ti eri resa conto di aver agito in maniera avventata con quella telefonata oppure, come mi avresti confermato mesi dopo, ti eri accorta che non ero da solo.
''No, nessun disturbo. Sono in Tunisia, non vorrei che la telefonata ti venisse a costare troppo''
''Sì, lo so. Ghali,ascolta,mi dispiace molto per il modo in cui sono andata via l'altra sera. E' stato incredibilmente scortese e forse si è creato un grosso malinteso'' mormorasti. Capii, da quella affermazione, quanto tu ritenessi assurdo ciò che ci stava capitando. Temevo sul serio che quella fosse una telefonata di routine, per chiudere una situazione di imbarazzo fra due sconosciuti.
''Sinceramente l'unica cosa che mi disturba è non sapere nemmeno come ti chiami''
''Non mi piace il mio nome''
''Quindi cosa fai? Non lo dici mai quando ti presenti? Speri che l'altra persona lo immagini da sé?''
''Secondo te come mi chiamo?'' Fu la prima delle tue domande assurde
''Facciamo un gioco?'' ti chiesi rapido
''Ti ho già detto che io non gioco''
''Gioco io, infatti. Se indovino come ti chiami, con tre tentativi, quando torno a Milano ci rivediamo''
''Pretenzioso da parte tua e soprattutto irreale. E poi come fai a essere certo che io ti voglia rivedere?'' domandasti sarcastica
''perché sono le dieci di sabato sera e stai parlando al telefono con me''
''ti dovevo delle scuse e poi sono le dieci di sabato sera anche per te. O a Cartagine c'è il fuso orario?''
''Signorina libertà, lei è parecchio sarcastica''
Scoppiasti in una fragorosa risata e poi dicesti ''Mi chiamo Francesca. Per i rapper italo-tunisini, invece,libertà.''
''Conosci altri rapper italo-tunisini?'' ti chiesi divertito
''Se è per questo non conosco nemmeno te''
''Non ancora''
La prima volta che ti ho sentito ridere ho provato una strana sensazione di piacere e realizzazione, come quando si addenta una stecca di cioccolato
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Ringrazio infinitamente tutti per le visualizzazioni, ci sto mettendo davvero l'anima in questa storia. Datemi consigli, fatemi sapere il vostro parere :)
Un bacio,
XXF