XI

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Mi ci avevi mandato tu a quella serata di beneficenza per l'ospedale. 

Un pomeriggio di due settimane prima ,dopo avermi detto che di certo non ci saremmo visti per un po' perchè avevi un esame da preparare. Avevo annuito, lo capivo . A me serviva concentrazione per ricominciare a scrivere, organizzare il tour, magari un viaggio. 

Avrei  voluto trovare il modo per concentrarmi come te, mettere la testa bassa e lavorare. Ma ti guardavo e mi faceva sempre incredibilmente male la pancia. E tu non accennavi a comprenderlo. Quello che c'era da noi sembrava ancora troppo lontano dai tuoi schemi.

Ma c'era davvero qualcosa tra noi? O i miei ricordi sono così poco oggettivi da aver contaminato tutto?

Mi sono rimaste solo le rime che ti ho scritto, la boccetta del tuo profumo che hai dimenticato l'ultima volta, un libro che non hai finito di leggere lasciato sotto la lampada in camera mia, un pacchetto di sigarette a metà. Non le fumo più quelle lì, spero neanche tu. Ovunque tu sia ora. E un rossetto rosso Chanel che hai usato quella sera prima di uscire con i tuoi amici.

Quando è scoppiato tutto avevo parlato con i miei amici, qualcuno aveva detto: la fase uno è sempre quella di ricostruire i ricordi e ripercorrerli. 

''Ghali fai così'' ''no, fai così'' ''Ghali guardami, ti devi concentrare'' ''il secondo disco è il più difficile'' ''quando vuoi partire?'' ''davvero ci vuoi andare vestito così?''

''Ghali, devi ricominciare a ricordare.''

Fase Uno: Ricordare

Ok, ricominciamo.

Mi ci avevi mandato a quella serata. Non mi ci avevi costretto, questo è vero. Avevi semplicemente accennato la cosa, avevi detto che in reparto di terapia intensiva iniziavano a scarseggiare i posti. Un pomeriggio, al bar. No, forse me lo avevi detto semplicemente al telefono dopo il tirocinio. Mi era bastata la tua voce leggermente incrinata, dispiaciuta, stanca morta. 

''si può fare una donazione?''

''per cosa?''

''per il reparto''

''in teoria la struttura è per metà pubblica''

''Ti sto chiedendo se posso fare qualcosa''

''Ghali..''

''Hanno salvato la vita a mamma lì,dopo l'incidente. Forse è il minimo che io possa fare''

''fanno una cena, domani sera. L'ho sentito dire dal primario. Ci sarà il sindaco di Milano, forse qualche attore e qualche cantante. Vuoi che mi informi?''

''Penso che chiederò al mio manager.C'è qualcosa che non va?''

''Dovrebbe?''

''Sei un po' lontana''

''Ghali''

''Si?''

''Se ci vai non devi assolutamente dire che mi conosci''

''Non lo farei mai, lo sai. La privacy è la prima cosa. Stai tranquilla F.''

''Ci sentiamo presto. Ti chiamo dopo il mio esame, torno a rinchiudermi. Ciao G''

Erano quelli i momenti peggiori, quelli che odiavo visceralmente. Quando con il tono di voce rimarcavi la distanza e la differenza tra le nostre vite. Scendevo incazzato in strada alle tre del pomeriggio quando era tutto deserto e facevo respiri profondi. E non ti dicevo mai, per nessun motivo al mondo, che riuscivi a farmi sentire così inadatto.

Non lo facevi con cattiveria, mai. Semplicemente ne eri cosciente , più di me. Sapevi che le cose sarebbero potute andare in rovina molto prima: lo hai sempre saputo, dalla prima sera in quel locale. 

Ti chiamavo ''felina'' perchè come i gatti ti accorgevi della fonte del pericolo molto prima di me. Rizzavi le orecchi e dicevi ''stai attento a quel ragazzo G, non mi sembra un tipo sincero'' oppure solo un semplice suono ''oh-oh'' quando ti accorgevi di qualche paparazzo fuori dai locali dove entravamo. 

E quelli erano i tuoi momenti peggiori: diventavi seria, labbra serrate e sguardo fisso a terra. Odiavi sentirti osservata e mi punivi con lo sguardo se provavo a sdrammatizzare la situazione.

Sei sempre stata quella più razionale tra i due. Quella che era capace di dividere le cose, rimarcare i confini. Mai ''i nostri amici'' sempre ''i miei amici ed i tuoi amici'', non dicevi mai ''noi'' ma solo ''io e te'', mai un dolce diviso a metà con due forchette ma sempre due dolci separati oppure niente. 

Ero arrivato alla conclusione che probabilmente avrei dovuto trovare un modo per cambiare le cose, essere capace di ribattere , giocarmi le carte giuste per convincerti a scioglierti ancora un po'. 

Ma a quella serata sono arrivato colmo di imbarazzo: mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Un po' come con le sfilate all'inizio.

Mi sono fatto accompagnare dal mio manager e da un paio di amici stretti. Ci eravamo detti: finita la cena andiamo a fare qualche salto al club e facciamo le 6 del mattino. 

Sono entrato in quella sala piena di persone diverse da me , ho salutato qualcuno. Avevo bisogno di alcool per riuscire a sopravvivere a quella serata. Ho controllato il telefono un paio di volte: eri già sparita. Mi avvicino al bancone per prendere da bere, il barman mi fa un cenno di saluto.

''Ciao fra, puoi farmi un gin tonic?''

''Come lo vuole?''

Penso ''ha forse la mia stessa età e mi da del lei. Non so se è il posto troppo abbottonato o è il mondo attorno a me che cambia''

''dammi del tu, ti prego. Comunque lo voglio carico, molto forte'' 

Ride un po', mi fa cenno di sì con la testa. Provo a sedermi su uno degli sgabelli ma sono decisamente troppo piccoli per me. Sbuffo, mi rialzo in piedi.

''e quindi, possiamo aspettarci un nuovo disco?'' mi chiede il barista porgendomi il gin tonic. Sollevo gli occhi al cielo,sollevato. Per fortuna c'è un mio fan, so dove potermi rifugiare stasera se sento di volermi sparare nelle ginocchia.

''ci stiamo lavorando. Il secondo disco è un cazzo di casino'' sospiro io. Sorseggio il cocktail ed esclamo ''minchia che buono zio!'' 

''prendo lo stesso che ha preso lui''

Una voce accanto a me. E' stato allora che l'ho visto, è iniziato tutto esattamente lì.

Ora ricordo.



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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 09, 2020 ⏰

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