VII

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Il telefono del mio manager squillava in continuazione durante quelle tiepide giornate di Aprile e la scrivania dello studio in redazione strabordava di fogli con contratti e progetti.

''Ghali, puoi venire un attimo qui?''

''Ghali quando ti liberi dobbiamo parlare di quell'evento a Milano''

''Ho già prenotato i biglietti per Ibiza''

Un bombardamento costante di informazioni sul mio futuro. Mi sentivo energico, estremamente positivo e come sempre impaurito. Cercavo di non fare passi falsi, di non tradire nessuna delle persone al mio fianco e respiravo profondamente prima di agire in maniera impulsiva. Mamma mi diceva ''non vorrei essere troppo frettolosa ma stai crescendo per caso?''

Non avevo notizie di te da sei giorni. Avevo provato a scriverti mille messaggi e a telefonarti altrettante volte: non ci ero mai riuscito. Sapevo perfettamente che inondarti di informazioni sulla mia carriera e su quanto stessero andando bene le cose ti avrebbe fatto scappare un'altra volta. Non ero del tutto certo che la tua presenza nella mia vita potesse farmi bene. Avevi l'aria di una che aveva un sogno anche se non ne conoscevo ancora il contenuto.

Continuavo a non sapere nulla sul tuo conto.

Tu non ti fidavi di me e io non mi fidavo di te

Era uno scrutarsi da dietro le barricate: entrambi eravamo incerti sul da farsi. Mi ritrovavo a fissare il cellulare per minuti illimitati poi Samu mi dava una pacca sulla spalla e con una rapida occhiata mi incitava a restare concentrato sulla musica.

Ripetevo le rime della strofa per la canzone con Plaza. Mi chiedevo se tu l'avresti mai ascoltata e poi scuotevo la testa: Guccini,De Andrè, De Gregori. Tutta roba lontanissima da me.

''Anto, hai una playlist da consigliarmi?'' chiesi da Antonio chino sul tavolo a preparare un'intervista

''Di che genere bro?''

''Cantautorato italiano, qualcosa del genere''

Lui mi guardò strabuzzando gli occhi e avvicinandosi a me

''Hai fumato?''

Scoppiai a ridere e uscendo dalla stanza dissi ''Sono lucidissimo frate. Devo solo...devo solo prendere un po' di aria. Se mi cercate, sono sul balcone.''

Ciò che accadde nella manciata di ore successive ha stravolto completamente il nostro rapporto.

Una telefonata per me dal telefono fisso della redazione,

io che dimentico come si faccia a respirare,

mamma,

un incidente.

Le luci sulla strada, 100 km/h, il piede di Samu sull'acceleratore, le luci dell'ambulanza vicino alla pronto soccorso, il cuore in gola.

Cerco mamma con lo sguardo, la tipa dietro alla scrivania mi chiede qualcosa: vuole sapere il mio nome. Non riesco a parlare, ho la bocca secca.

Dico ''Ghali Amdouni'', penso ''non so più chi sono, fatemi vedere mamma''.

L'odore pungente di ospedale, c'è qualcuno che cerca aiuto, un'infermiera sta cambiando una garza.

Percorro il corridoio, qualcuno mi parla. Mi dice ''sua madre ha preso una brutta botta, ha perso i sensi, non si è ancora risvegliata. Deve contenere la sua reazione, ci siamo intesi?''.

Vorrei urlare, mi tremano le gambe.

Nella stanza spoglia c'è mamma, distesa su un letto, ha gli occhi chiusi.

Mi guardo intorno e mi rendo conto di essere da solo. Mi avvicino a lei, sento solo il bip fastidioso della macchina che le controlla il ritmo cardiaco. Ha una strana espressione sul volto ed una gamba fasciata.

Le sfioro la mano, vorrei urlarle di svegliarsi e di tornare da me. Che da solo so a malapena respirare, che senza lei domani sicuro non sorge il sole. Sento dei passi dietro di me, istintivamente stringo forte la mano di mia madre. Mi ricordano quelli dei poliziotti che vennero a prendere papà.

Ci ho messo qualche secondo a realizzare che la ragazza in camice bianco di fronte a me fossi proprio tu.

Sei entrata nella stanza con lo sguardo fisso su quella che solo dopo avrei scoperto essere la cartella clinica di mia madre.

Scribacchiavi con velocità su quel foglio pieno di segni,portavi gli occhiali e la tua classica matita fra i capelli. Accanto a te un uomo alto, sulla cinquantina. Era il primario di traumatologia.

Non ti sei accorta subito della mia presenza nella stanza, hai alzato lo sguardo solo quando ti hanno chiesto di presentare il caso clinico.

Il caso clinico: mia madre

Hai pronunciato il suo nome con distacco ed in maniera concentrata.

''Serve una tac cranio''

''Ben detto. Preparate la paziente''

Hai riabbassato lo sguardo sulla cartella clinica per segnare ciò che appena avevi dedotto.

''Lei è suo figlio?'' mi chiede il medico al tuo fianco

''sì'' affermo deciso ed orgoglioso

Hai alzato la testa di scatto e senza tradire alcuna emozione mi hai detto:

''sua madre starà bene''

È stato allora che ho capito: quella strana luce negli occhi, la tua apparente impassibilità, il modo schematico che utilizzavi per analizzare le situazioni. Era la medicina.

''Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Allacciamo le cinture, indossiamo il casco, scegliamo strade illuminate.. cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano sbucano dal nulla. Le cose brutte arrivano all'improvviso, senza avvertire. Ma dimentichiamo che, a volte, arrivano così anche le cose belle.''

Meredith, Grey's Anatomy

***

Ho lasciato un pezzo di me e del mio futuro in questo capitolo. Ve lo regalo con la speranza che vi possa piacere.

Vi abbraccio tutte, siete stelle comete.


F.

La prima volta\ GhaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora