IX

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35 scalini.

La prima volta che ho salito le scale di casa tua li ho contati

L'ho fatto alla svelta e cercando di non pensare che una volta arrivato fino in cima ti avrei trovata sulla porta, che ti avrei rivista dopo tutto quel tempo. Avevo lasciato i miei amici nel locale dopo il concerto e mi ero fatto accompagnare da te con un taxi. Erano le 5:30 del mattino e il sole stava per sorgere su Milano.Sceso dall'auto mi resi conto di trovarmi di fronte al tuo palazzo e sospirai temendo che il nostro incontro potesse tramutarsi nell'ennesimo fallimento.

Mi specchiai nel vetro del portone: avevo perso la molla per tenere su i dread. Pensai ''ho un'aria quasi selvaggia, chissà cosa penserà di me''. Estrassi il cellulare dalla tasca e ti scrissi un messaggio per avvisarti del mio arrivo.

Dopo qualche secondo avvertì il rumore della tua porta-finestra che si apriva. L'immagine di te affacciata al balcone è ancora tra le mie preferite. Sollevasti il braccio per salutarmi e poi urlasti:

''Sono al quarto piano e l'ascensore non funziona. Pensi di farcela?''

''Cosa credi? Guarda che io mi alleno!''

''Sali, Mowgli' dicesti divertita.

Tu eri lì, ad aspettarmi sul pianerottolo. Una maglietta nera con su scritto ''Written and directed by Quentin Tarantino'' che ti cadeva lunga fin sopra le ginocchia, le ciabatte dell'Adidas e un'espressione indecifrabile in viso. Fu la prima volta che ti vidi con gli occhiali. Ci guardammo per qualche secondo: nessuno dei due sapeva come salutare l'altro.

''Entra'' mormorasti tu ''ma fai piano perchè non è esattamente il classico orario in cui si invita la gente a casa''

La tua stanza era incredibilmente spaziosa. Molto più grande di quanto pensassi. Mi resi conto fin da subito che tutto, lì dentro, parlava di te: le cartoline con i quadri attaccati al muro, i disegni anatomici, qualche locandina di film vari, gli orecchini appesi ad un uncinetto legato all'armadio e quell'inconfondibile profumo di lavanda.

''E così è questa la stanza del mistero''  dissi sedendomi sul tuo letto. 

''Come stai?'' mi chiedesti guardandomi negli occhi. Mi stavi a tre passi di distanza.

''Ora meglio''

''Ho bisogno che mi parli di te e non rispondermi che posso cercarti su Wikipedia questa volta'' Non era una domanda la tua, era un decisione.

''Ci vorrà molto più tempo del previsto''

''Hai impegni alle cinque del mattino?'' dicesti stendendoti sul letto.  Poi mi guardasti e mi facesti segno di mettermi accanto a te, mi passasti un cuscino. Quell'improvvisa vicinanza aveva il sapore dell'attesa.

''Ho pensato di scriverti moltissime volte''  esordì fissando il soffitto

''Ma non lo hai mai fatto'' mi incalzasti tu.

''No, non l'ho mai fatto.''

''Stai scrivendo il disco?''

Quella frase mi confermò quello che già pensavo: ti era passata. Stavi davvero cercando di capire qualcosa di me.

''Sì ma non semplice. E' come se fossi pieno di potenziali stimoli ma i risultati non riescano a soddisfarmi''

''Credo che questo sarà il disco più difficile da scrivere per te. Non puoi sbagliarlo''

''Sei molto d'aiuto'' scherzai lasciandoti un piccolo pizzico sul braccio. La tua pelle era calda.

''Intendo dire che questa è la tua golden hour...''

La prima volta\ GhaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora