VIII

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''Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
Perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
Ma dove dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore?''

Una volta da bambino mio padre mi ha raccontato di quando ha capito che la vita è feroce. Me lo ricordo così bene che potrei riprodurre anche le pause tra una parola e l'altra di quel racconto. Ricordo la ruga in mezzo alla fronte, quel modo tutto suo di muovere le mani e le pieghe color vermiglio delle sue labbra. Era davvero il mio eroe prima che diventasse il mio incubo peggiore. Quella mattina, a Baggio, il sole non voleva decidersi a nascere. Erano le dieci eppure il cielo sembrava volersi crogiolare ancora in quel colore plumbeo e minaccioso. Mi guardavo allo specchio del bagno, le gocce d'acqua che scorrevano sul mio volto. La sera prima avevo fatto serata, come sempre. Mi sentivo sfatto e stanco, una pezza. Ascoltavo i passi di mamma che spadellava in cucina mentre un forte odore di caffè impregnava i muri della nostro piccolo nido. Casa nuova sarebbe stata pronta tra qualche settimana, forse un mese. Mi chiedevo se fossi realmente pronto a lasciare Baggio in maniera definitiva. Chiaramente la risposta era: no, non potresti mai.

Baggio ero io, Baggio era ed è dentro di me. Fino all'ultima cellula del mio corpo.

Avevo impegni importati quella mattina e sapevo che avrei dovuto ritagliarmi il tempo necessaria per scrivere un po', per buttare giù qualcosa. Sentivo un'impellente necessità di esprimermi al meglio e allo stesso tempo un forte senso di impotenza. Tutto quello che avevo scritto nei giorni precedenti era finito accartocciato e buttato in fondo ad un cestino. Ero pieno di idee ma era come se mi mancassero le parole: paradossale per un rapper.

Non ti sentivo o vedevo da un mese e mezzo. Non riuscivo a ricordare il suono della tua voce. Sapevo di essermi comportato come una bestia lì in ospedale e il pensiero di te che ti controllavi il battito cardiaco di mia madre mi lasciava sveglio per notti intere. Ogni volta in cui, dopo l'incidente, lei faceva riferimento a te come ''quella dottoressa dai capelli rossi'' provavo vergogna. Avrei voluto che tu mi capissi, avrei voluto tanto che tu mi telefonassi il giorno dopo, avrei voluto tanto trovare il coraggio per scriverti un messaggio.

Il giorno dopo l'incidente non ti trovai in ospedale e nemmeno quello dopo ancora. Dopo che mamma fu dimessa chiesi di te alla reception dell'ospedale ma mi venne negata ogni informazione a causa della privacy. Il fine settimana successivo tornai nel locale dove ci eravamo incontrati quella sera in cui ero completamente ubriaco ma di te nemmeno l'ombra. Guardavo fuori dai finestrini dei taxi mentre attraversavo Milano ogni giorno: ogni tanto una testa rossa si ergeva nella folla ma puntualmente restavo deluso perchè non aveva i tuoi occhi verdi. Non eri tu, nessuno eri tu.

Ero quasi arrivato al punto di rassegnazione e ogni tanto accarezzavo l'idea che tu fossi stata semplicemente una proiezione della mia mente, un viaggio procuratomi dalla marijuana.

''Dove sei?'' mi ripetevo, ''dove cazzo sei finita?''. Eppure cercandoti in lungo e in largo non avevo mai trovato il coraggio di comporre il tuo numero di telefono. Avevi ancora quel quadro come immagine di profilo su Whatsapp. Solo Allah sa quante volte l'ho maledetto perchè avrei voluto ci fosse una tua foto.

Tra le orde di fans che mi salutavano ogni giorno non c'era mai traccia di te, non c'era mai un riferimento alla tua persona, qualcuno con cui poterti collegare. Ogni tanto in radio passava una canzone di De Andrè e chiedevo sempre ai miei amici di alzare il volume: riuscivo a trovarti solo nelle sue parole. Ma quando la canzone finiva tu tornavi ad essere lontana da me anni luce.

Tormentato da quei pensieri ormai consumati uscì di casa in quella calda mattina di Giugno. Sperai con tutto il cuore che piovesse al più presto perchè non avevo bisogno di altre minacce anche dal cielo. Avevo le prove del Radio Italia Live in tarda mattinata e una riunione in redazione nel pomeriggio.

Dentro di me nutrivo la flebile e vana speranza di trovarti tra la folla.

Nel taxi che mi venne a prendere ci trovai Samu e Amed pronti a mostrarmi le possibile scelte di outifit per il giorno successivo. I loro sorrisi mi donarono la carica necessaria per affrontare l'ennesima giornata da inventare.

Le prove sarebbero iniziate tra un quarto d'ora e io ero irrimediabilmente in ritardo. Salì sul palco, salutando Davide che era già pronto dietro la console. Mi diede una pacca sulla spalla e mi ammonì per il ritardo.

''Proviamo l'attacco di Cara Italia adesso?''

''Vai fra''

La base partì e per un attimo mi parve di poter cominciare finalmente a respirare.


La prima volta\ GhaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora