Un'ora e quarantacinque minuti. E' stato il tempo che ci ho impiegato per tranquillizzarti per in quella fredda stanza d'ospedale che quel pomeriggio mi sembrava tanto inospitale. Stavi seduto sul letto su cui avrei passato la notte seguente, le testa tra le mani, lo sguardo perso. Avrei potuto giurare di aver contato i tuoi sospiri. Mormoravi frasi in arabo e credetti che tu stessi pregando.
''Non puoi dirmi altro?''
''Non posso. Questo è tutto ciò che so, il primario mi ha chiesto di aspettare ed è ciò che farò''
Mi fissasti per dei secondi interminabili poi un sorriso beffardo ti nacque sul volto. Non potevo credere che l'incontro da me tanto sperato le notti precedenti si stesse consumando tra quelle quattro mura e con un abisso tra di noi.
''Voi fate sempre così vero?''
Ero appoggiata al muro, le mani nelle tasche del camice, mi mordevo nervosamente le labbra.
''Così come?''
''Omettete le informazioni, non dite tutto ai familiari''
''Questo non è un gioco Ghali, quello che facciamo non è un gioco''
''Credi che per me lo sia? C'è mia madre sul letto nella stanza accanto che non si è ancora svegliata''
''Non abbiamo omesso nulla. Ha un brutto trauma cranico ma finchè non escono i risultati della tac per noi è difficile capire''
Ti alzasti di scatto e ti avvicinasti alla finestra. Avevi bisogno d'aria pulita, non eri abituato a l'odore di ospedale.
''Mi dispiace per tutta questa storia'' ti dissi sedendomi di fronte a te
''Non avrei mai voluto vederti oggi''
Quelle parole risultarono aggressive e inspirai profondamente per contenere una reazione che quella situazione non avrebbe giovato a nessuno dei due. Sperai che ti saresti fermato ma rincarasti la dose: il dolore parlava per te.
''Sei entrata nella stanza con quella faccia, quella faccia tranquilla. Cazzo non hai tradito nessuna fottuta emozione. C'ero io lì,c'era mia madre. Scrivevi su quella cartella come se non ti riguardasse. Cosa sei? Un robot?''
''Non credo sia il caso adesso'' ti risposti gelida
Mi fulminasti con lo sguardo per poi dire:
''Scommetto che sei anche brava. Sì, una studentessa modello. E sai perchè sei brava? Perchè non hai paura della morte. Cazzo tutti abbiamo paura ma tu no. A te non frega''
''Ghali, te lo ripeto un'ultima volta: non è il caso''
Sentivo la rabbia crescere, non mi sarei più trattenuta.
''Avrei dovuto capirlo la prima volta che ti ho vista''
''Senti cantantucolo del cazzo, non ero io al volante della macchina che ha ridotto così tua madre come non sono all'interno del suo cranio per poterle evitare le conseguenze dell'incidente. Spero quanto te che lei stia meglio perchè salvare vite è ciò per cui studio e per cui mi faccio il culo ogni giorno. Non dormo da tre giorni porca troia. E sai che ti dico? Che lo rifarei, mille volte. Perchè è questo che fanno le persone con un sogno. Spero che tua madre si risvegli ora perchè Dio solo sa quanto vorrei che tu sparisca all'istante dalla mia vista E se non si fosse ancora capito: vai a fare in culo.''
Uscì dalla stanza ricomponendomi e chiudendo la porta dietro di me. Legai frettolosamente i capelli ed entrai nella stanza accanto dove c'erano gli occhi nocciola di tua madre aperti e vigili.
Premetti velocemente il tasto sul cercapersone per chiamare il primario e annunciargli la lieta notizia.
Tua madre era sveglia e io avevo finito il mio turno in ospedale per quella settimana. Tirai un sospiro di sollievo avvicinandomi al suo letto.
''Signora, mi sente? Faccia sì con la testa se mi sente e segua con lo sguardo il mio dito''
Lei annuì con occhi vispi. Cercai di accantonare il pensiero della nostra discussione precedente e controllai il battito di tua madre. Sembrava tutto in regola.
''Signora, qui sembra andare tutto bene. Dobbiamo aspettare il primario e..''
''Ghali...Ghali'' mormorò tua madre. Stava chiedendo di te. Fu la prima volta che sentì pronunciare il tuo nome nella maniera corretta.
''Habibi, sono qui''
Eri in piedi vicino la porta, la testa appoggiata al muro e uno sguardo indecifrabile.
''Vi lascio soli. Passerà il dottore tra qualche minuto. Le auguro una pronta guarigione'' dissi in fretta sistemandomi il fonendo dietro al collo. Appuntai un paio di informazioni sulla cartella clinica e mi avviai verso la porta cercando di non incontrare il tuo sguardo insistente.
Ti sentì pronunciare un timido ''grazie'' mentre uscivo dalla stanza. Non ti risposi nemmeno.
Guidai fino a casa con la musica fin troppo alta nell'abitacolo dell'auto. Alta fin sopra i pensieri, fin sopra le malinconie.
Al semaforo cercai il tuo nome su Spotify, per la prima volta.
La tua voce riempì la mia testa.
''Più divento famoso, più mi sento escluso''
Parcheggiai l'auto nel vialetto di fronte casa e spensi la radio.
Per quel giorno di te ne avevo avuto abbastanza.