III (a)

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 C'era un rubinetto che perdeva a casa, il rubinetto della cucina. Piccole gocce, quasi impercettibili. 

Me lo ricordo bene perché il suono alienante dell'acqua che si posava sul lavello fu l'unica tipologia di suono che riuscivo a percepire dopo il nostro incontro. Qualche tempo dopo ti avrei detto che la sensazione prevalente che provavo stando con te era di totale alienazione,straniamento. 

Quando stavamo insieme il mondo era vicino e lontanissimo. 

Quel pomeriggio, una settimana dopo il nostro incontro, ero seduta a gambe accavallate sul tavolo della cucina nella mia casa di Milano. Fissavo il rubinetto e tentavo di farmi passare quel fastidioso battito accelerato che ormai mi accompagnava da qualche tempo.Respiravo profondamente cercando di contare i battiti per minuto.  Più di tutto non riuscivo a concepire come avessi potuto essere tanto sciocca da credere che il nostro incontro potesse aver  significato qualcosa. Io che fino a poco tempo prima di conoscere anche solo tuo nome, credevo fermamente nel caso, nelle coincidenze. Io che storcevo il naso alla parola "destino". Ridevo di me, della grande donna razionale che per una sera aveva lasciato perdere gli schemi e aveva scioccamente scritto un numero di cellulare su uno scontrino. Ridevo della mia espressione d'avanti allo specchio la sera una volta tornata a casa. Ridevo delle mie reazioni adolescenziali, del fatto che cambiassi ogni volta canale quando appariva il tuo faccione per quello spot pubblicitario. Ridevo della mia ingenuità, della mia piccola illusione, del tono di voce che avevo utilizzato per parlarti. 

''Patetica'' pensavo ''c'è gente che avrebbe dato una gamba per stare al tuo posto una settimana fa. Avresti dovuto agire in maniera regolare: chiedergli una foto, abbracciarlo con fare emozionato ed andare via. E' questo che fanno le ragazze quando lo vedono.''

Maledicevo il tuo sguardo, quel modo che hai di inumidirti le labbra prima di parlare, le mie dita sulla tua guancia, le patetiche risposte che ti avevo fornito e le ragazzine che, chiedendoti una foto, mi avevano ricordato quanto tutto fosse assurdo. Di quanto io c'entrassi poco con il mondo di cui facevi parte.

 Quel pomeriggio le mie coinquiline mi fissavano sulla porta. Ferme, in piedi, come controllori del treno in attesa di farmi una multa.  A ripensarci ora, erano incredibilmente buffe.Ricordo l'espressione esasperata di Marica che ruppe il silenzio nella stanza,dicendo:

"Vuoi un caffè?"

"Già preso..''

"Hai mangiato?"

"Un po'"

"Cazzo, Fra. Hai fatto l'abbonamento per le risposte composte da due parole?"

"Mi dispiace"

"Appunto.."

Si sedette di fronte a me e mi fissò per qualche secondo, poi prese il cellulare e iniziò a guardare delle Ig stories. Si soffermò un attimo su un profilo poi tentando di instaurare un contatto con me disse, e ridendo disse: "oh hai visto? Adesso ti faccio ridere, giuro"
"Cosa?" mormorai mangiucchiandomi le unghie distratta. La loro presenza nella stanza mi aveva distratto e non riuscivo più ad ascoltare il suono dell'acqua sul lavello.

"Ghali è andato in Tunisia"
Fui presa dalla smania di andarmi a chiudere in camera. Avevo accuratamente evitato il suo profilo Instagram ed ogni tipologia di contatto visivo con l'immagine, seppur virtuale, del cantante. Poi la guardai bene e pensai che lei non meritasse una brutta risposta. Stava solo cercando un modo per farmi parlare, per farmi sorridere. Peccato che avesse beccato l'argomento meno giusto ma come poteva saperlo? Il solo pensare di raccontare tutta la storia a voce alta mi spaventava. Non sarei stata credibile, nemmeno per un secondo. 

Sospirai e poi dissi:

"Per quanto ci riguarda, può anche restarci giusto?"
Tentai di nascondere il tremolio della mia voce con un velo di ironia e scesi dal tavolo. Addentai una mela rossa e guardai fuori dalla finestra per un tempo indefinito. Le altre ridacchiarono e pensai di averle tranquillizzate. Avevo reagito come al solito: ironia tagliente e sarcasmo. Le mie armi migliori per mascherare ogni tipologia di emozione. 
"Ci stai facendo preoccupare. Non parli, non racconti, biascichi parole che non possiamo capire" disse Arianna avvicinandosi a me. Sentì che avrei dovuto raccontare tutto e che non era mica una tragedia. Avevo solo fatto una cattiva figura con un tipo semi-famoso. Detta così non sembrava male. Sì, evitando di rimarcare gli sguardi, la mia carezza, il fatto che lui mi avesse detto determinate cose e che probabilmente era ubriaco e non riusciva nemmeno a inquadrare bene la mia figura.

"Ve lo ricordate il primo giorno in questa casa? Era un sabato mattina. Non ci conoscevamo nemmeno. Sistemavamo le nostre stanze con cura senza scambiarci nemmeno una parola. La sera, a cena, è cambiato qualcosa. Si è acceso un fuoco tra di noi. Io quel calore lo sento ancora,ogni giorno. Quando stremate da lezione torniamo a casa e ci raccontiamo tutto, quando la sera prima di una esame balliamo una canzone come rito propiziatorio, quando cuciniamo le torte e ci sporchiamo la faccia di zucchero a velo. Vi voglio bene e mi dispiace per la mia lontananza di questa settimana''  dissi tutto d'un fiato voltandomi verso di loro. Ci scambiammo un lungo abbraccio di gruppo e poi dissi ''vi devo dire una cosa''

Marica alzò gli occhi al cielo e con il suo fare sfottente esclamò ''Ce ne devi dire mille!''

Feci un respiro profondo e dissi: ''Sedetevi perchè con molta probabilità non mi crederete e vi prenderà un coccolone. Ve la faccio breve, sabato scorso alla serata con gli altri ho conosciuto una persona''

Pia sorrise e disse ''Fino ad ora è tutto regolare. Se le storia continua con te che spaventi questa persona o dici qualcosa di imbarazzante allora siamo a cavallo. Non c'è motivo di preoccuparsi''

Scoppiammo tutte a ridere ed io continuai ''Ok, è andata più o meno come ha descritto la cara Pia qui presente. Però, il punto, è l'identità della persona''

''Che cazzo, siamo su I Soliti Ignoti e non me ne sono accorta?'' disse Arianna spazientita 

Il mio cellulare, appoggiato al centro del tavolo vibrò segnalando una notifica. Lo schermo si illuminò, era una notifica di Whatsapp, numero sconosciuto. Indicai il cellulare per fare in modo che Marica me lo passasse. Notai che mi tremavano le mani. Lessi ad alta voce il messaggio:

''Spero che il cioccolato fosse fondente, almeno''  mi fermai e controllai l'immagine  del profilo. 

''Cazzo''  dissi piano. Le altre mi guardavano con fare interrogativo. Scattai in piedi e ridendo dissi: ''Questa è una cazzo di barzelletta. Non è possibile''

Appoggiai il cellulare sul tavolo e feci cenno alle altre di guardare. La prima a parlare fu Marica e ancora oggi è questa la parte che preferisco raccontare di quel pomeriggio e che a te faceva sempre ridere quando la ricordavamo assieme.

Si alzò in piedi sulla sedia,mimando la presenza di un microfono e una cuffia con le mani e  disse:

''Houston abbiamo un problema. Ripeto:abbiamo un problema. A tutte le unità: Francesca ha spaventato Ghali. Ripeto: Ghali''

La prima volta\ GhaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora