VI

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 ''E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome
ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme
ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano
cosa importa se sono caduto se sono lontano
perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
ma dove dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore. ''

La notte in cui ti ho fatto ascoltare le mie canzoni per la prima volta è uno dei ricordi che mi ferisce di più, quando mi torna in mente.

Ora che non ci sei più, che non ti vedo da mesi e che vorrei solo dimenticare il suono della tua risata.

Ora che se ascolto quella canzone  mi sento ancora più solo,

 in un bosco freddo, 

di notte.

*

Ti ricordo lì, in piedi, nel mio studio di registrazione. 

Tenevi le cuffie con le mani, premendole contro la tua testa.

 Fissavi un punto indefinito nella stanza, con lo sguardo severo. Ero stravaccato su una poltrona accanto a te, se avessi voluto avrei potuto sfiorare le tue gambe nude con la mie dita. Tenevo occupate le mie mani tormentandomi i dread e fumando una sigaretta. Ci avevo impiegato una ventina di minuti a convincerti a venire in studio con me. Inizialmente avevi scosso la testa e con fare risoluto mi avevi ricordato di quanto fossi ubriaco.

''Ghali, ti rendi conto che non ci conosciamo vero?''

''Scriviamo questa cazzo di canzone''

''Ma cosa ti fa credere che io ne sia capace? E tu sei ubriaco, porca troia''

''Ho bisogno di scrivere ora. Se non lo faccio perderò l'ispirazione.''

''Quindi, fammi capire, dovrei venire in studio da te adesso? Nel cuore della notte? Dio mio, è tutto così surreale''

Più ti spazientivi, più io mi sentivo irrimediabilmente attratto da te. Il modo che avevi di alzare gli occhi al cielo mi mandava fuori di testa. Sentivo che per convincerti avrei dovuto sfidarti.

''Cosa c'è? Hai paura di me o non ti fidi di te stessa?''

Appena pronunciai quelle parole venni fulminato da un tuo sguardo. Mi avvicinai a passi lenti alla tua figura. Avevi ancora il mio cellulare fra le mani. Lo tenevi nel palmo della mano destra, come se non volessi avere nulla a che fare con qualcosa di mio. Mi facevano sorridere quei tuoi ingenui tentativi di ignorare la forte tensione che si creava durante le nostre conversazioni.

''Non giocare sporco con me'' mormorasti spostando la tua massa ribelle capelli sulla spalla destra. Quel tuo gesto scoprì un angolo della tua pelle che avrei imparato a conoscere bene solo nei mesi dopo: l'incavo del tuo collo. Sospirai cercando di contenere qualsiasi tipologia di pensiero. Cercai di pesare bene le parole per ispirarti fiducia, per provare a rompere le barriere.

''E' un modo anticonvenzionale di chiederti di uscire,prendila così''

''Noi non usciamo e non usciremo mai insieme, sei una sottospecie di imprevisto. Come quando cerchi parcheggio da circa venti minuti e credi di averlo trovato. Poi c'è una smart e smadonni. Tu sei la mia cazzo di Smart, Ghali''

Ridacchiai ripensando alla mia intervista da Cattelan. Una parte di me desiderava chiederti se tu l'avessi guardata ma ero certo che avrei ricevuto una risposta negativa.

Avevi accettato con qualche riserva, dopo esserti assicurata dell'assenza dei miei amici e collaboratori in studio. Non volevi che sapessero che ti avevo portata lì, non avevi alcuna intenzione di conoscerli. Quando li nominavo storcevi il naso e dicevi ''ti prego lasciamo fuori il mondo da questa cosa''.

La prima volta\ GhaliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora