Capitolo 15

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Era in una delle 20 camere della villa, la camera in cui si trovava era quella che l’aveva vista nei suoi anni più felici, si guardò attorno rivedendo il letto a baldacchino che tanto aveva adorato e che era sempre in perfetto ordine, la cabina armadio, con dentro tutti i suoi vestitini che sceglieva con sua madre,da dove si accedeva anche per il bagno personale di marmo bianco e rosa, un’enorme vasca che costituiva tanti ricordi in cui la madre era ancora viva, la finestra che si affacciava sulla valle che rimaneva sempre aperta per sentire l’arrivo del padre era ora chiusa. Tornò a posare gli occhi sullo specchio della toeletta in cui era seduta, l’ansia gli attanagliava la gola, rivide i suoi capelli di un biondo, così pallido da risultare bianchi, che incorniciano un volto dalla pelle chiara e due occhi violetti. Si trovava estranea a se stessa eppure così simile alla donna che avrebbe voluto essere. La tristezza s’impossessò di lei mentre fissava il riflesso di sé con occhi incupiti dalla tristezza. Ormai non si spaventava più, aveva imparato a convivere con i ricordi. Era rientrata da poco, la scorsa notte non aveva concluso niente ma non sapeva se esserne felice o spaventata, per la prima volta sentiva che c’era una speranza, incurvò le labbra in una specie di sorriso che risultò essere strano sul suo volto che aveva scordato come farlo. Quello era il suo posto, la sua casa, non era mai riuscita ad andarsene finendo per ferire le persone che amava, era un’egoista che si sentiva in colpa ma che continuava nel ferire gli altri. Quanto avrebbe voluto cambiare le cose, ma ogni volta che si trovava a fare un passo avanti veniva catapultata ancora più indietro di prima. Lo sapeva bene e aveva imparato la lezione non odiava, ma restava il fatto che non poteva amare o si sarebbe aperta una voragine dentro pronta a divorarla, autodistruzione era ciò che veniva fuori da ogni parola d’amore che ricordava, era tutta un’illusione costatò asciugandosi le lacrime. Una prova, che aveva fallito miseramente. Poggiò una mano sullo specchiò accarezzando quel riflesso appannato dalle lacrime che scendevano incurante della sua volontà. Un rumore la fece voltare di scattò si guardò velocemente intorno confermando che nella stanza non c’era nessuno e che la porta della cabina armadio fosse chiusa,quindi il rumore proveniva da fuori. Coprì velocemente lo specchio asciugandosi con la mano il viso bagnato e si avvicinò alla finestra. Tutto era immobile nella luce del primo mattino ma era sicura di non aver immaginato quel rumore che non poteva essere stato provocato da un animale. Decisa, dopo anni, aprì la finestra affacciandosi ma non vide niente allora si sporse ancor di più sentendo un rumore di foglie e passi provenire dagli alberi che scendevano lungo il pendio ma non scorgendo comunque nessuno. Chiunque fosse stato a spiarla non doveva essere del posto, visto che gli abitanti non avrebbero mai fatto un gesto così vile. Il sole lentamente si alzava in cielo quando un raggio di sole colpì un oggetto a terra facendolo scintillare, scavalcò la finestra, proprio come faceva da bambina, per cui veniva costantemente sgridata non essendo un comportamento degno di femminilità e al suo rango, scosse la testa scacciando i ricordi, non volendo perdere d’occhio il suo obbiettivo si chinò a raccogliere l’oggetto scoprendo essere un orologio con il quadrante dallo sfondo nero con i numeri e lancette bianche ma con cinturino di cuoio e acciaio, un po’ particolare come orologio, era decisamente da uomo ne era certa.Ma chi poteva essersi intrufolato nella sua proprietà e perché proprio ora non capiva. Ma soprattutto quanto aveva visto?

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