✎・epilogo・✎

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«Tu sei come tutte, tu sei come tutti!»

«Finn, non mi va di discutere per queste stupidaggini...»

«Non ti ha stancato tutto questo? Fottute persone che credono tu sia una divinità, o che desidererebbero la tua morte?!» mi guardò negli occhi. «Continuare quello che facciamo solo per stupidi soldi, esporci al mondo ed avere una pagina Wikipedia, lasciare che tutti possano giudicarci e dire su di noi quello che gli pare?!»

Lo guardai anche io negli occhi, nei suoi occhi scuri.

Lui aveva ragione, e non volevo ammetterlo a nessun costo.

Ero diventata serva di quella monotonia.

«Avremmo potuto frequentare una scuola pubblica. Avere degli amici veri. Poter ridere e parlare senza essere oppressi dal peso della fama. Abbiamo buttato la nostra infanzia e la nostra adolescenza.»

Deglutii. Anche questa volta, non aveva torto.

«Non butterò anche questa tappa della mia vita» mi disse prima di lasciare la stanza con un tonfo, chiudendo la porta con violenza.

Una lacrima mi rigò le gote.

La stessa lacrima che, a distanza da giorni, inumidiva ancora il mio viso.

Erano passate settimane, mesi, forse anni, dalla partenza di Finn.

Ed io ero stata spesso in areoporto.

Mi sedevo sulla panchina, e osservavo le porte degli arrivi spalancarsi.

Avevo visto viaggiatori di tutti i tipi.

Eppure non avevo più scorso quella testa riccia e corvina, quelle lentiggini e quelle labbra carnose.

Il suo viso era impresso nella mia mente.

Quel giorno qualcosa mi suggeriva di tornare, nonostante le ore passate in tutto quel tempo su quella panchina, in areoporto.

Avevo perso le speranze, oramai.

Mi posai sulla panca in plastica blu, ripensando alla nostra ultima conversazione. Alle sue parole.

Ci avevo riflettuto a lungo.

Avevo abbandonato il mondo dello spettacolo.

Ecco i primi arrivati.

Una famiglia asiatica, un paio di ragazzi, una donna vestita per bene.

Un ragazzo dai capelli rossi, un'altra famiglia, una coppia.

Ed altre decine, ventine di persone di tutti i tipi.

Erano passati dieci minuti.

Anche quel giorno, il mio istinto si era sbagliato, probabilmente.

E fu quando mi stavo alzando afferrando la borsa ed asciugando quell'unica lacrima, che l'ultimo viaggiatore varcò la soglia.

Alzai lo sguardo.

Riuscii a sentire il mio cuore fermarsi, per un millisecondo.

I miei occhi fissi su di lui, la bocca spalancata.

Il vuoto nello stomaco.

Il tempo si bloccò, e tutto iniziò a tacere, come l'ultima volta.

Lo guardai in quel modo, fin quando non si voltò nella mia direzione.

Il suo sguardo inciampò sul mio.

Lo vidi spalancare la bocca e riuscii a scorgere i suoi occhi inumidirsi.

«Finn» un sussurrò lascio le mie labbra.
La borsa mi scivolò dalle mani, e cadde con un sordo tonfo al pavimento.

Mi impietrii.

Lui, rimase lì, immobile, a fissarmi.

La gamba tremolante, riuscii ad avanzare di un paio di passi.

Un paio di passi.

Tutto quello che ci divideva.

Silenzio.

I nostri visi erano vicini oramai, e continuammo a fissarci negli occhi.

Attimi.

Minuti.

Oramai avevo perso la concezione del tempo.

E lui interruppe quella quiete, quel silenzio e quel vuoto in cui mi ero persa.

Mi avvolse tra le sue braccia.

Le lacrime inziarono a rigare il suo viso.

«Millie» sussurrò.

Ricambiai l'abbraccio, stringendolo a me.

Eravamo nuovamente insieme.

Ed in quel momento, milioni di parole erano in attesa di abbandonare le mie labbra.

Eppure, tutto quello che riuscii con voce fleibile dire fu:

«Ti ho mandato un messaggio ogni giorno. Ogni giorno per tutto questo tempo...»

«trecentocinquantatré giorni»

Un déjà vu.

«Cosa?»

«Sono stati trecentocinquantatré giorni.»

Muta, lo fissai, le lacrime agli occhi.

«Sapevi che avevo rotto il cellulare. Perché l'hai fatto?» sussurrò.

«E tu perché sei tornato?»

«avevo voglia di partire e lasciare tutto a volte. Ma poi ho realizzato che il mio tutto eri tu»

actors [fillie]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora