Elisa_klastoreli

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Oggi mia madre è morta. Forse ieri; non ne sono certo. Da quando mi sono trasferito a Las Vegas, la mia vita è diventata piatta e fredda, e io sono diventato apatico. Non m'importa né delle altre persone, né di lei. Per non parlare del fatto che mia madre è sempre stata quasi un'estranea per me. Quando ero piccolo era come se vivessi da solo. Mai una parola, mai un abbraccio.

Poi, quando ho compiuto diciotto anni, ho preso le mie cose e me ne sono andato senza dire nulla. Non ho idea di cos'abbia fatto mia madre. Solo una cosa è certa: lei non ha provato a cercarmi.

Sono partito per l'America, lasciandomi alle spalle quei pochi amici che avevo, e sono giunto nella città dei casinò. Lì dovevo cavarmela da solo e cercare di sopravvivere in qualche modo: è così che ho trovato un lavoro di merda in un posto di merda.

Con il passare del tempo, però, sono riuscito a farmi assumere in uno dei casinò più importanti della città, nonostante non fosse esattamente il lavoro che desideravo. È per questo motivo che mi chiedo cosa ci faccia io ancora qui, perché io mi ostini a vivere in questo posto. Perché non me ne vado? Perché non metto su famiglia, tornando a condurre una vita normale? Perché?

Poi, la mia sveglia suona per riportarmi alla realtà: devo andare a lavoro. È solo grazie a quel suono assordante e fastidioso che smetto di pensare alle cazzate sulla mia vita. Balzo in piedi abbandonando il mio letto, faccio velocemente uno spuntino e, altrettanto rapidamente, esco dal mio appartamento.

Sulla città non ho nulla da aggiungere, perché è proprio come se la immaginano tutti: una miniera d'oro. È spettacolare e le sue luci la fanno quasi sembrare un germoglio di fuochi d'artificio. O almeno, questo è l'unico lato che vedono i turisti. Io, che ormai vivo qui da molto tempo, la vedo solo come una stupida città che ruba soldi a persone altrettanto stupide per arricchirne altre ancora più stupide.

Oggi in particolare c'è più confusione del solito. Le macchine sono ferme da ore a causa del traffico e la gente cammina rapidamente per le strade, fregandosene dei semafori. Ricordo che quando ero piccolo questa città mi affascinava... ma adesso che vivo qui mi rendo conto di quanto non sia diversa dalle altre.

Mi dirigo con passo sicuro verso la Tour Eiffel che si trova davanti al casinò in cui lavoro e, dopo essere entrato nel palazzo dietro di essa e aver salutato i vari dipendenti che lavorano all'ingresso, vado senza esitare al mio tavolo. Tuttavia prima che io possa fare più di due passi sono intercettato da Hanji, un nuovo acquisto del casinò. Lei è una vera pazza ed è impossibile starle vicino per più di due minuti... ma devo ammetterlo, è una vera maga con le carte. Si getta su di me, abbracciandomi, ed urla il mio nome quasi singhiozzando. Mocciosa.

Questo non solo non è normale, è anche molto imbarazzante.

Per fortuna sono salvato da Mike che, passando un braccio sotto le sue ginocchia e afferrando la schiena con l'altro, la solleva da terra e poi la riappoggia accuratamente per farla finire in piedi. Io mi risistemo lo smoking nero e guardo i due in cerca di una spiegazione. -Levi abbiamo un problema...- inizia a spiegare con voce calma Mike, che però è interrotto da Hanji che ricomincia a piangere. La ignoro e incrocio le braccia al petto, cercando di mantenere la calma. Se non la smette subito la uccido.

-Levi... un novellino che è appena entrato qui sta in pratica svuotando ogni tavolo!- m'informa Hanji con ancora le lacrime agli occhi e il naso che cola. Sgrano gli occhi. Non può essere, certo qualcuno aveva vinto in passato in questo casinò, ma vincere numerose volte ai tavoli, dove si trovavano i migliori banchi del mondo, era quasi impossibile.

Qualcosa non quadra, penso, starà sicuramente usando qualche trucco. Mi raddrizzo con la schiena e, sistemandomi la cravatta, cercando di assumere una postura dritta, sicura. Guardo freddamente Mike che, leggendo il mio sguardo, mi indica il ragazzino in questione.

***

Mi trovo al mio tavolo e sto distribuendo le carte, fingendo di non aver notato il moccioso al tavolo accanto al mio. Quel dannato continua a vincere. Tiene tra le mani un bicchiere di vodka con ghiaccio e sembra averne bevuta abbastanza da essere ubriaco, ma nonostante tutto vince. Anche se è ubriaco, vince. Quel ragazzino mi sta facendo saltare i nervi, deve alzarsi da quel fottuto tavolo e venire qui, così potrò riprendermi i soldi che ha vinto. Quindi, mentre quel pivello gioca e beve, io sono qui che parlo con un irritante piccoletto con i capelli color pannocchia e gli occhi cielo. Deve avere su e giù la stessa età dell'altro. Poso sul tavolo l'ennesima carta, mentre questo qui mi racconta che ha appena ereditato una grande somma di denaro e che vuole aumentarla, giocandosela qui. Che idiota, li perderà di sicuro. Poi, senza un qualche motivo, il moccioso si alza prendendo con sé le sue vincite e si siede al mio tavolo.

L'ho tenuto d'occhio tutta la sera eppure noto solamente adesso di quanto sia... particolare. I suoi capelli castani sono spettinati e gli ricoprono la fronte in modo disordinato. La sua pelle ambrata non mostra un filo di barba. Sembra un bambino, eppure è così dannatamente affascinante. Ripercorro nuovamente il suo viso, questa volta però soffermandomi su qualcosa di così luminoso che Las Vegas a confronto sembra un vicolo buio. I suoi occhi riescono a brillare nonostante porti un grande paio di occhiali neri. Sono verdi, forse. Ma se li si fissa appena più intensamente si scorgono delle sfumature azzurre e dorate che si alternano. È una mia impressione o il mio petto sta ardendo?

- Hai intenzione di fissarmi ancora per molto? – mi chiede il ragazzo, riportandomi alla realtà. Sta ridendo. – Sono qui per giocare, non per essere scopato con gli occhi da te. – E lo dice portandosi il bicchierino di vetro alle labbra.

Tsk, moccioso. Prima che io possa rispondergli a tono, interviene il ragazzino biondo di poco prima.

- Ehi, io sono Armin. Giocheremo insieme per un po'. Vedo che hai vinto molto – dice il biondo, soffermando lo sguardo sul bottino dell'avversario. – io invece mi sto giocando lo stipendio.

Ma non aveva detto di aver ereditato una grande somma? Un altro ubriacone...

Il moro di fronte ad Armin ride e punta quasi tutto ciò che ha, rendendomi il lavoro più semplice. Sbagli a sfidarmi, ragazzino. Non ha mai vinto nessuno contro di me, non sarai di certo tu il primo.

***

Come può essersi la situazione ribaltata fino a questo punto? Mi appoggio al bancone dopo un'altra sconfitta, torturandomi la mente per capire cosa sto sbagliando. Ed eccolo, lo sguardo soddisfatto del moccioso che penetra il mio. Lo odio, con tutto me stesso.

- Non vincerai questa volta. – dico, ricominciando a distribuire le carte. Sgrano appena gli occhi quando il moro apre la bocca per rispondere, incurvandone appena gli angoli con un sorriso agguerrito.

- Ma davvero? Se ne sei così sicuro, perché non scommettiamo? – chiede, passandosi un dito sulle labbra calde e umide. Quel gesto mi lascia interdetto per qualche istante ma mi ricompongo in fretta.

- Certo!

Invece di scemare, il sorriso dell'altro si dilata ancora di più. È certo: lo detesto.

- Facciamo così, allora. – dice, iniziando a spiegarmi i dettagli della scommessa. – Se vinci tu, puoi prenderti tutte le mie fiches e farci quello che vuoi. Se vinco io, però... - e con questo deglutisco rumorosamente - verrai con me e farai tutto quello che voglio senza fiatare.

Ormai questa sfida ha preso il controllo sulle mie facoltà mentali. Devo vincere.

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