Half_blood_princess

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PROLOGO
- 911 come posso esserle d'aiuto?-

-Pronto? C'è qualcuno? Cos'è successo?-

Se è uno di quei stupidi scherzi da ragazzi giuro che questa volta non la passano liscia..

La voce dell'infermiere suonava già irritata e in procinto di attaccare la chiamata, quando delle piccole labbra tremolanti si schiusero lentamente, pronunciando poche e basse parole alla cornetta

- Pronto, il mio nome è Amelia, vi prego, venite a prendermi-

-Signora ci dica qual è la sua emergenza e arriveremo il più presto possibile. La prego di rimanere calma e di fornirci il suo indirizzo-

Amelia fissò per qualche secondo la cornetta con uno sguardo vitreo, si tappò d'istinto un paio di volte la bocca, per coprire i singhiozzi e sbattè le palpebre per riacquistare una vista meno sfocata. Fece scendere lo sguardo sulle sue gambe e si rese conto solo allora di essersi seduta a terra, e di avere una bottiglia di scotch accanto a lei. Con una risatina pensò a tutte le volte che aveva portato diligentemente un bicchiere di quel liquido dorato a Tom, seduto sulla sua poltrona accanto il camino. Pensò che ne avrebbe gradito uno in quel momento, se avesse potuto parlare. Effettivamente a guardarlo, steso a terra anche lui, poco più in là, sembrava tutt'altro che in forma, mentre una larga pozza cremisi macchiava il costoso tappeto persiano del salotto. Decisamente un bicchiere di scotch non era la sua priorità in quel momento. Amy rinsaldò la presa sul telefono e se lo portò davanti le labbra - Manor Road, numero 117 - prese la bottiglia e la stappò i fretta con una sola mano, per poi portarsela alle labbra e tirare un lungo sorso- mio marito è gravemente ferito-.

CAPITOLO 1
Ormai è risaputo quanto Londra sia una città umida e un po' grigia, la maggior parte delle volte uggiosa, ma posso assicurarvi che per quanto le previsioni fossero in anticipo, quell'inverno il freddo arrivò in fretta e intenso più che mai. Il sole era sempre più rado e acerbo durante le ore del giorno, e aleggiava un certo coprifuoco comune dopo le otto o nove di sera, che costringeva tutti a rintanarsi dentro le proprie abitazioni a causa delle basse temperature, e di conseguenza la città si svuotava.  Quella sera una pioggerellina fitta e fastidiosa continuava a scrosciare a intermittenza, obbligando i pochi avventurati per le vie a tenere costantemente l'ombrello aperto, ed il gelo era diventato in grado di trapassare anche i più spessi sciarponi di lana. I passi di Tom riecheggiavano solitari sui ciottoli di una strada parallela al Tamigi, che alla luce fioca e giallognola dei lampioni appariva come un lucido serpente d'argento. Aveva incontrato poche persone lungo il suo cammino: dieci minuti prima aveva notato di sfuggita due signorine che si riparavano sotto un porticato in un angolo di Obsidian Street, e si era chiesto come potessero stare in minigonna e tacchi alti con quel freddo, ma si era risposto da solo, e aveva tirato avanti senza fermarsi a parlare. Il freddo lo faceva curvare e più avanzava da solo, più si pentiva di non essersi portato un capello, dal momento che ciocche umide di capelli castani gli svolazzavano davanti il viso. Avrebbe potuto sistemarsele dietro l'orecchio, ma pochi secondi dopo si sarebbe trovato al punto di partenza, e perdi più la mano che stringeva il manico dell'ombrello era talmente intrizzita che non era più così sicuro di riuscire a muoverla, mentre l'altra era al calduccio nella tasca del giubbotto e non sarebbe stato molto contento di tirarla fuori. Si ritrovò più di una volta a chiedersi per qual ragione avesse declinato il passaggio che tanto gentilmente la sua assistente gli aveva offerto, fermandosi davanti a lui con l'auto dall'invitante riscaldamento interno, poi si rammendò che sarebbe stato meglio evitare quelle attenzioni che celavano, non sempre in maniera troppo velata, sempre il desiderio di sedurlo, e con uno sospiro si costrinse a tirare avanti. Poco prima aveva dato una fugace occhiata all'orologio del telefono, e così si chiese se fosse passata mezz'ora o più dalla mezzanotte, comunque fosse, era abituato a quegli orari di lavoro. In estate percorreva piacevolmente a piedi la strada fino al suo appartamento in Manor Road: il clima era più mite e con la leggera brezza serale a rassodare gli animi, anche sul tardi si potevano incontrare ancora gli ultimi giovani turisti, intenti a trattenersi nei pub odorosi di fritto e birra. D'inverno era tutto più solitario, e Londra si prendeva una pausa di qualche ora per rinchiudersi in un silenzio e una calma quasi spettrale, prima di riprendere la frenesia mattutina. Quando non si gelava così tanto Tom gradiva prendersi suoi momenti per pensare, e con solo il sottofondo del suo respiro proseguiva osservando i negozi chiusi attorno a sè. A volte si accendeva una sigaretta, giusto per il vizio di concedersi una trasgressione nel cuore della notte, e lasciava che la sua mente si svuotasse e vagasse libera come le spirali di fumo che si diramavano nell'aria. Stava camminando costeggiando il fiume, e per il momento aveva smesso di piovere, ma non si sarebbe meravigliato se la quiete fosse durata solo cinque minuti. Buttò un'occhiata più in alto delle sue scarpe, su cui aveva puntato lo sguardo fino ad allora, e si sorprese perfino di trovare una sola sagoma di una persona. Era abbastanza distante, appariva piccola come un punto, e se solo ci fosse stata la pioggia si sarebbe confusa al muretto a cui era appoggiata, e a prima vista pensò Tom si trattasse forse di un ubriaco, o un barbone, ma quale sarebbe stato il senso di mettersi lì anzichè al riparo sotto un portone? Nel mentre che avanzava nella sua mente il desiderio di un letto ben asciutto e di una tazza di thè caldo lo tentarono a svoltare in una strada secondaria e ignorare ciò che aveva visto, come era avvenuto poco prima a quelle due prostitute che congelavano sul ciglio della strada, ed era già sceso dal marciapiede quando gli sembrò che quel punto si muovesse. Senza sapere bene come nemmeno lui, si era fatto più vicino, e aveva assottigliato gli occhi per capire meglio di chi si trattasse. Si era avvicinato, ma ora rimaneva fermo dov'era, in mezzo alla corsia automobilistica. Da ciò che offriva la luce, pareva una figura femminile: aveva dei capelli che si agitavano frenetici nell'aria scossa dal vento, e sebbene fosse alta, da lontano sembrava così magra da non aver grande differenza con il lampione poco distante. Da che era seduta a terra con la schiena sui mattoncini, Tom la vide alzarsi prima sulle ginocchia e poi in piedi: non aveva nè giacca nè sciarpa e assomigliava ad una foglia in balia del vento. La vide guardarsi attorno, forse lo notò, dal momento che era l'unico in strada, e per qualche istante si immobilizzò nella sua direzione, per poi rivolgersi a guardare il Tamigi. Londra era terribilmente inerte: le stelle erano assenti perchè coperte da nuvole grigie, e l'intera città pareva essersi fermata per osservare con il fiato sospeso quella giovane donna: perfino Tom si rese conto di non essersi più allontanato solo quando riuscì chiaramente a distinguere i suoi vestiti, a pochi metri di distanza. La vide appoggiare lentamente la punta di uno stivale sul parapetto e nell'immobilità del momento gli sembrò di sentire lo stridere della suola sulla superficie lucida: le ci volle solo uno slancio e l'altra gamba per qualche secondo oscillò avanti e indietro nel vuoto, cercando un appiglio, prima che il piede si stabilizzasse accanto l'altro. La ragazza teneva le braccia stese e le agitava di tanto in tanto, come una libellula, in cerca di equilibrio, ad un soffio dal precipitare tra le acque scure e senza fondo del fiume. Tom non la conosceva, ma gli parve di sentire vibrare nell'aria il suo dolore, forte e intenso come la melodia struggente delle corde di un violino, ed improvvisamente le onde del Tamigi gli apparvero lo specchio di tutte le paure umane. Avvertì che piangeva, anche se non poteva vederla, e quando lei spalancò le braccia all'indietro, Tom correva già verso di lei per prenderla, lasciando cadere l'ombrello a terra, con un tonfo che parve risuonare amplificato in tutto il quartiere. Un urlo gli uscì profondo dalla gola, squarciò l'aria, e gli venne da chiudere gli occhi d'istinto: l'aveva vista, l'aveva vista buttarsi giù, cadere senza peso nella morsa delle acque.

No, no, no...

NO, NO! NO!

Buffo, per alcuni secondi pensò che stesse solo pensando ad alta voce, eppure aprendo gli occhi si ritrovò chinato sul muretto, il braccio steso: sotto di lui c'era la ragazza, appesa solo alla sua mano. Si divincolava, piangeva, supplicava di lasciarla andare, e con l'altra mano provava a graffiargli la pelle. I muscoli del braccio gli bruciavano, si tiravano nel tentativo di portarla su: immediatamente l'adrenalina in circolo parve riscaldargli il corpo irrigidito dal freddo e dargli la forza di tirarla in salvo. Cacciò un altro urlo quando sentì la mano venir scorticata dalle unghie di lei, tirò più forte, questa volta con entrambe le braccia, e mentre la strappava via dal vuoto nel suo campo visivo c'erano solo due occhi spaventati come quelli di un cerbiatto, lucidi, le cui lacrime cadevano per perdersi in basso. Urlò ancora, urlò anche lei, di non toccarla, di mollare la presa, e con un ultimo sforzo entrambi ricaddero sulla fredda strada lastricata.

CAPITOLO 2
-Dovevi lasciarmi andare- la sua voce flebile fu la prima a parlare, poco più di un sussurro spezzato, ma prevalse sul respiro ancora affannato di Tom. La teneva stretta per i polsi, troppo terrorizzato di vederla cadere ancora una volta, di guardarla precipitare giù in una caduta sena fine: d'improvviso il gelo era tornato a impossessarsi del suo corpo, più impetuoso di prima, infiltrandosi sotto il maglioncino. La guardò, tremante e impaurita, che cercava di divincolarsi: indossava una felpa lunga macchiata da chiazze di acqua e delle spesse calze di lana, strappate però all'altezza delle ginocchia, graffiate e leggermente sanguinanti.

- Qual è il tuo nome?- Tom si alzò attento a non disturbarla con movimenti bruschi, ma la sua presa rimaneva attenta e vigile

- Corinne Byrne -la ragazza si asciugò il viso con la manica un po' impolverata e bagnaticcia e la sua espressione parve ricomporsi in fretta - gradirei che mollassi la presa, grazie-

-Bene Corinne, e come faccio a sapere che quando mollerò tu non scapperai via?-

-Ovvio che scapperò via: non ti conosco, hai appena sabotato il mio perfetto piano di suicidio e la cosa mi dà parecchio sui nervi, quindi cercherò di liberarmi il più presto di te per poter tornare ai tentativi di porre fine alla mia vita-

Tom la osservò con gli occhi sgranati, senza saper bene cosa dire: la vide aggrottare le sopracciglia in un'espressione irritata e quando tentò l'ennesimo strattone si scoprì parte della sua pelle, gelida come fiocchi di neve. La ragazza aveva un volto fine, degli zigomi alti e una bocca piccola dalle labbra screpolate, e i suoi occhi parevano scuri come quella notte senza stelle: gli salì un brivido immaginando come sarebbe apparso quel viso, dalla carnagione già pallida, dipinto dal blu chiaro dell'assideramento e della morte.

-Vieni a casa mia, puoi restare per la notte - disse d'un tratto - ti prego, puoi riposarti, dormire un po': abito solo a cinque minuti da qui-

-A notte fonda e d'inverno si aggirano senza tetto ubriachi, puttane e maniaci, oltre alla tranquilla gente che cerca di suicidarsi, come faccio a sapere che non sei un malintenzionato?- la sua voce parve acutirsi, tuttavia rimaneva con un cipiglio indignato

-Ti ho appena salvato la vita-

-Già, una vita non tua, che non ti riguardava, di una persona che hai incontrato per puro caso e di cui non ti importa nulla. Cosa cambierebbe se lasciassi il tuo appartamento domani mattina o me andassi ora?-

Non lo sapeva, Tom non era in grado di rispondere: stava invitando a casa sua una ragazza probabilmente spaventata, e non avrebbe avuto nessuna garanzia che il giorno seguente lei si sarebbe magicamente svegliata senza quei brutti pensieri per la testa. Restò in silenzio, ma dentro di sè pensò che in ogni caso voleva distanziare il più possibile la giovane e la sua morte. Poteva, e doveva in ogni modo cercare di temporeggiare.

-Non posso far finta di non aver visto nulla Corinne, che tu lo voglia o no mi hai incluso, avrei potuto non incontrarti, eppure eccomi qui, e nonostante il tuo tentativo sei ancora viva: questa notte non sei più sola, perciò per favore, solo per stasera, dammi retta-

Le sue parole sortirono un minimo di attenzione, e lasciarono che qualcosa dentro di lei si calmasse, che le sciogliesse la tensione delle spalle. Gli strinse la mano, non più nel tentativo di correre via, ma per cercare un appiglio, una forza a cui aggrapparsi per non scoppiare in lacrime, e il suo sorriso parve un rattoppo malconcio di qualcosa che non usava più da tempo. Tom ci pensò bene e si preparò ad uno scatto a sorpresa, quando lentamente decise di sfilare le dita dalla presa di lei. Sorprendentemente non ci fu nessuna fuga, e la ragazza tirò su con il naso come una bambina mortificata. Si portò le braccia al petto e iniziò lentamente a camminare

-Qual è il tuo nome invece?-

- Thomas Harris, ma puoi chiamarmi Tom-

- E tu cosa fai in giro a quest'ora, tutto solo, oltre a salvare persone che non vogliono essere salvate?-

- Finisco tardi il lavoro-

Per un pò entrambi camminarono l'uno a fiano dell'altra, in silenzio, a squadrarsi a vicenda: lui la ammirava e ad ogni passo si chiedeva cosa l'avesse spinta a buttarsi da quel parapetto, lei canticchiava a bassa voce una sorta di ninna nanna, calma e piacevole come un lento dondolio. Perfino il freddo sembrava meno aggressivo, ora che erano in due a condividere quell'atmosfera deserta, ognuno con la propria storia sulle spalle e uno strano pretesto a farli incontrare. Svoltarono in una traversa e il tintinnio metallico precedette la comparsa delle chiavi nel palmo di Tom

-Non è molto grande, ma vivendo da solo mi piace così com'è- fece cenno alla porta rialzata di qualche gradino che indicava il civico n117 di Manor Road. Con un rumore secco di serrature che si aprono, lasciò che la sua ospite entrasse per prima e le indicò il sofà dove poteva accomodarsi. Solo quando si sfilò il giubbotto si rese conto di aver dimenticato l'ombrello sul London bridge. Chiese a Corinne se gradisse qualcosa da bere, ed entrambi decisero per un the, così la lasciò curiosare nel salotto mentre si dirigeva in cucina per mettere su il bollitore. In teoria sarebbe stato in grado di permettersi una casa anche più lussuosa di quella, ciò nonostante gli piaceva avere tutte le sue cose attorno a sè. Quando tornò da lei con un vassoio tra le mani, la trovò che curiosava con il naso immerso nei vari volumi di una vecchia libreria in legno, e al minimo rumore sobbalzò all'indietro.

-Mi dispiace... non era mia intenzione ficcanasare- si sedette su una poltrona bordeaux dall'alto schienale, e parve infinitamente piccola per come si era raggomitolata. L'intera stanza odorava di cannella e di legno bruciacchiato, anche se il camino aveva solamente delle braci spente. Vagando con gli occhi, Corinne notò che la maggior parte delle tele appese alle pareti raffiguravano temi di epoca vittoriana, specialmente donne dalle parrucche posticce e facce pallide, pile di libri classici erano accatastate negli angoli e le mensole erano piene di cd impolverati, assieme a varie statuette lucide d'oro e argento, che parevano trofei di chissà cosa. Il tavolino accanto il divano era quasi pienamente sommerso da fogli scritti in piccolo e agende varie, e quando Tom fece spazio spostando varie carte, vide che c'era un angolo vuoto segnato da un alone circolare: doveva essere solito appoggiarci sempre una tazza calda in quel punto.

-No figurati, piuttosto io sono così incasinato- il padrone di casa trovò un paio di occhiali da lettura dimenticati tra i vari strati di documenti, e se li inforcò con un sorriso sornione; le mise davanti la bevanda e le accostò sulle spalle un plaid a quadri, accorgendosi solo allora di quanto fosse realmente bagnata - ti darò un mio pigiama - continuò sedendosi con un sospiro di fronte -non ho vestiti femminili, ma se gradisci puoi farti una doccia, o riposarti e farla domani mattina, come più ti è comodo-.

Lanciò uno sguardo all'orologio appeso poco distante alla parete: erano le due di notte in punto

-Dovrai essere molto stanca-

-Grazie, ma non c'è bisogno che tu faccia tutte queste cose per me, non so come sdebitarmi-

Basta solo che tu viva, disse lui, ma nella sua mente, dove lei non ebbe il privilegio di sentirlo.

Quella notte Tom dormì sul divano, avendo ceduto il letto alla ragazza, e per quanto avrebbe voluto rimanere vigile, l'intera giornata sembrò piombargli tutto d'un tratto addosso: un grosso macigno invisibile crollò sul suo petto lo fece scivolare in un sogno angoscioso, ma profondo. Dormì fino a che i raggi del sole di mezzogiorno non filtrarono fastidiosi anche attraverso le spesse tende, e gli imposero di svegliarsi, e solo allora aprì gli occhi, di scatto, e quasi rotolò a terra. Si alzò in piedi in fretta, brancolando nella confusione del dormiveglia e non ci fu bisogno che controllasse nella sua camera da letto, perchè un post it attaccato alla porta catturò la sua attenzione.

"Sapevi che me ne sarei andata, non potevo fare altrimenti. I vestiti sono ripiegati nel bagno. Forse il caso vorrà che ci rivedremo un giorno, forse ti farà di nuovo correre verso di me o mi farà di nuovo urlare maledizioni nei tuoi confronti, in ogni caso, sei una brava persona Tom, riguardati."

Ps: il mio vero nome è Amelia, ma per una sera mi sembrava che avessi già preso troppe cose da me per poterti concedere anche il mio nome.

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