Joe
Continuo a rigirarmi sulla sedia rossa della sala d'aspetto. Provo a chiudere, di tanto in tanto, gli occhi per riposare, ma non riesco a prendere sonno. Mi fa male la schiena e ho freddo.
Avrei dovuto indossare il mio maglioncino di cachemire azzurro per proteggermi dal vento gelido di fine ottobre e non una semplice camicia bianca, ma, per la prima volta dopo tanti anni, mi sono preoccupato più di un'altra persona che di me stesso e, per correre in fretta in ospedale, l'ho dimenticato a casa.
Non che io sia una persona cattiva, sia chiaro. Il passato mi ha cambiato e, per questo, mi comporto in un certo modo.
Vorrei poter tornare indietro nel tempo per ricontrollare le scartoffie prima di buttarle nel fuoco. Vorrei poter tornare indietro per rinunciare al mio appuntamento dal barbiere che mi ha impedito di registrare a tempo debito la sconosciuta dai capelli blu nello schedario degli ospiti dell'albergo. Adesso, almeno, sapremmo il suo nome e potremmo aiutarla.
Vorrei, ma non posso. Devo vivere nel presente e accettare il mio errore. Cercherò di migliorare, da ora in poi.Matthew
«Joe, puoi andare a casa.» Scuoto energicamente il mio amico.
Si sveglia, si stropiccia gli occhi e si mette seduto. Sono venuto a dargli il cambio (come faccio sempre da circa tre giorni).
Joe sbadiglia e si alza. Mi dà una pacca sulla spalla e si prepara a tornare in albergo (anzi, a casa nostra, perché è lì che viviamo, ormai da anni, tutti insieme).
Prendo il suo posto sulla rigida sedia rossa e lo guardo mentre percorre il corridoio per andarsene.
Sono soltanto le sei del mattino, ma non mi pesa stare in ospedale.
Ci sarò quando la ragazza dai capelli blu rincontrerà la sua famiglia. Prima o poi verranno a prenderla, ne sono certo, anche se, al momento, la situazione non sta evolvendo in modo positivo. Joe, Nick ed io abbiamo aspettato (e stiamo continuando a farlo) a turno in corridoio dal giorno dell'incidente l'arrivo di qualcuno che ancora non si è fatto vedere.
Mi sento terribilmente in colpa.
Volevo pulire perfettamente ogni singola stanza della villa per non far pentire Blue (mi piace chiamarla così) di aver scelto di stare da noi, ma ho soltanto fatto un disastro e nemmeno Zoe è riuscita a consolarmi dicendomi che è stato un incidente e che non è assolutamente un male che voglia prendermi sempre cura delle persone.
Cerco di dormire un po'. Quando riapro gli occhi, infastidito dal vociare dei medici, guardo il mio orologio da polso e mi rendo conto di esserci riuscito per ben due ore.
Un'infermiera paffuta con i capelli rossi mi passa davanti e mi saluta. Si è abituata alla mia presenza. Non conosco il suo nome, ma, di questo passo, stando sempre qui, prima o poi, lo sento, faremo amicizia e lo scoprirò.
Maurice, l'anziano uomo dal volto scarno che sorride sempre e si diverte a passeggiare per i corridoi dell'ospedale alle prime ore della giornata, viene a sedersi accanto a me.
Chiacchieriamo un po'. Mi chiede di Blue e poi decidiamo di parlare di basket.
Veniamo interrotti dall'arrivo di Nicholas.«Salve, Maurice», lo saluta. Lui, come era prevedibile, gli sorride in risposta.
Sono quasi le dieci.
Nick mi passa un sacchetto di carta bianca. «È la tua colazione», mi informa.Sono più piccolo di lui di qualche anno, ma si prende cura di me come se fosse mio padre. Lo ringrazio ed estraggo il cornetto alla crema dalla busta per addentarlo.
Saluto Maurice e mi alzo per avviarmi verso l'ascensore dalle porte grigie metallizzate, collocato in fondo al corridoio, che mi condurrà all'uscita dell'ospedale.Nicholas
Maurice mi ha lasciato solo e ho deciso di scendere nel cortile interno dell'edificio per prendere una boccata d'aria.
Al mio arrivo vedo Blue. Non si chiama così, ma Matt ha deciso di darle questo nome per via dei suoi capelli. È seduta su una panchina di legno come al solito. Nessuno è ancora venuto a prenderla. Le piace il giardino, se così può essere definito; è un semplice spazio rettangolare, circondato dalla struttura ospedaliera, in cui sono stati piantati alcuni fiori e una quindicina di alberi.
Indossa soltanto il camice celeste che le ha dato l'ospedale. Non ha voluto mettere il pigiama grigio e i vestiti più pesanti che le abbiamo portato.
Ha un'aria sperduta e la cosa mi intristisce. Vorrei aiutarla, ma non ho il potere di farle tornare la memoria.
Il vento le fa ondeggiare i capelli lisci e un moto di protezione mi spinge ad avanzare. Calpesto le foglie ingiallite che sono cadute dalle piante circostanti e lei si volta. È spaventata. Dovrei esserlo anche io, visto che mi ha dato una sberla durante il nostro ultimo incontro, ma la vedo estremamente fragile e non ho paura di affiancarla per farle capire che io e gli altri siamo qui per aiutarla.
Sconvolta, si alza per andare via, ma inizio a correre e le blocco un polso per fermarla. Si volta di scatto e riesco a stringere le sue dita prima che possa colpirmi come in precedenza.«Non voglio farti del male», la rassicuro.
Trema e mi tolgo il cardigan nero di lana per metterglielo sulle spalle. Tenta di scrollarselo di dosso, ma le poso le mani sulle braccia e le dico di indossarlo perché fa freddo.
«Non ho bisogno del tuo aiuto», afferma.
«Sei combattiva, l'ho notato, ma, per una volta, ascoltami.»
Si mette seduta e, soddisfatto, sorrido. «Che cosa ci fai tu qui?», chiede e dalla sua voce traspare fastidio.
«Aspetto che qualcuno venga a prenderti. Lo faccio ogni giorno e, come me, anche Matt e Joe.»
Dalle sue iridi color nocciola trapela un barlume di stupore. «Vi denuncerò ugualmente appena riacquisterò la memoria, non vi servirà a nulla essere gentili con me.»
«Oh, lo sappiamo», dico. Inarca un sopracciglio, confusa. «Matt e Joe sono bravi ragazzi. Uno è distratto, l'altro maldestro, ma hanno entrambi un cuore d'oro e non si daranno pace fino a quando tu non sarai con la tua famiglia.»
Getta indietro la testa e prende un respiro profondo. «Nessuno mi ha cercata. Probabilmente, non ho parenti e sono sola al mondo. Non ricordo il mio nome, la mia età e il mio passato», afferma.
Si copre il volto con le mani e inizia a singhiozzare.
Triste, le circondo le spalle con un braccio e l'attiro a me. Non si ritrae. «Non mi piacciono gli ospedali.» Si asciuga una lacrima e mi guarda per un attimo.«Non piacciono nemmeno a me», affermo, accarezzandole i capelli. «Per questo puoi seguirmi.» Si libera dalla mia stretta. Ha dei lineamenti delicati e non posso fare a meno di notare che è davvero una bella ragazza. «So che l'albergo è l'ultimo posto in cui vorresti stare, ma ti assicuro che io e i miei amici abbiamo buone intenzioni e ci prenderemo cura di te.»
«Vuoi soltanto addolcirmi per convincermi a non denunciare te e i tuoi collaboratori», sentenzia, alzandosi di scatto.
Mi metto in piedi anche io. «Ci denuncerai, anche domani, ma lasciati aiutare. Non tutti al mondo sono cattivi. Non tutti agiscono per un secondo fine. Voglio soltanto darti una mano e, così come me, anche gli altri», dico, prendendole le dita.
Si libera dalla stretta, esita e resta in silenzio. Dopo un po', però, accetta. È spaventata e fa fatica a fidarsi, ma si sente sola e ha bisogno di aiuto. Restare in ospedale ad aspettare qualcuno che potrebbe non arrivare mai non ha alcun senso.
E poi, quando si è presentata in albergo non aveva bagagli, soltanto una borsetta con un vecchio cellulare, quasi rotto e privo di numeri in rubrica, foto o immagini, qualche banconota e la sua carta d'identità. Borsetta che, fra l'altro, ho affidato a Joe. Spero non l'abbia persa.
L'ho detto ai dottori, ma non hanno trovato il dettaglio interessante.
Per quanto mi riguarda, invece, l'assenza di un bagaglio indica un'affrettata fuga o il desiderio di scappare dal passato e di ricominciare.
Parlo anche a Blue del suo arrivo in albergo senza valigia, ma non ricorda comunque nulla.
Comunico ai medici che mi occuperò di lei. L'accompagno nella sua camera e aspetto che indossi i vestiti che le abbiamo comprato. Prendo il pigiama grigio in mano e le lascio il mio cardigan. Non voglio che senta freddo.
Ci dirigiamo in silenzio verso l'uscita dell'ospedale fino ad arrivare alla mia macchina.«È orribile non ricordare nulla. Non fatemi del male», mormora dopo essersi seduta al mio fianco.
«Faremo soltanto il possibile per aiutarti a ricordare.»
Mentre mi allaccio la cintura e mi preparo a mettere in moto l'auto sussurra un 'grazie' e non posso fare a meno di sorridere.
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Downfall
Romance[Finalista dei Premi Watty 2018] Sono tutti vittime e colpevoli allo stesso tempo. Il passato li perseguita e, in qualche modo, li lega. Un segreto, capace di sconvolgere l'equilibrio venutosi a creare, incombe sulle loro vite.