SETTE

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INCONTRO IN BIBLIOTECA

Il giorno dopo fu più schifoso di come lo aspettavo. Per prima cosa mi sono dovuta recare al secondo piano, dove un vecchio e raggrinzito psichiatra mi aspettava per una "consulenza". Da quando ho finito di parlare con quell'uomo mi sento il cervello spappolato. Non riesco a formulare pensieri di senso compiuto.
Sospiro. Per continuare, arrivare in ritardo alle lezioni il primo giorno di scuola, a quanto pare, non é visto di buon occhio in questa accademia. Dopo due ore di economia, passate ad osservare Derrick che volteggiava sopra la testa del professore e dopo tre ore di trigonometria con una signora che ancheggiava su dei tacchi pericolosamente alti, sono finita in un polveroso ed enorme cubo che loro chiamano biblioteca.  Mi piace leggere, ma qui stiamo degenerando. Questi tomi sono noiosi e tanto impolverati, sembra che nessuno li abbia più aperti da secoli. Alzo una pagina e altra polvere mi finisce nel naso. Sollevo gli occhi, trattenendo uno starnuto. Qui ogni rumore é ovattato dalle pagine che vengono voltate, dai mormorii smorzati, tutto mi dà un senso di tranquillità. La biblioteca, anche nelle altre scuole, é stato sempre il mio rifugio. Era l'unico posto dove non mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Una specie di protezione.
La stanza ha i muri rivestiti di mogano e i soffitti alti. Su una parete c'è un camino enorme, il cui ripiano bianco è decorato da due candelabri color argento; lampade verdi dell'aspetto antico illuminano i lunghi tavoli di legno scuro e le corsie dei libri si estendono a perdita d'occhio. Il soppalco, raggiungibile attraverso una lunga ed elegante scala a chiocciola, è anch'esso popolato da una vasta distesa di librerie piene di libri impolverati. Stento a credere che questo posto faccia parte di questo edificio. Ci sono pochi studenti, ma perfino i più irrequieti sembrano più tranquilli in quel posto con il naso ficcato in quei libri.
Distendo le gambe sotto il grande tavolo circolare, incrociando le caviglie. Sposto lo sguardo su Derrick. È seduto sul mio borsello e fa dondolare i piedi oltre il bordo. Il piccolo pixie è impegnato a costruire delle capanne con le penne e le matite. Mi ricordo di quanto ai pixie piaccia tenere occupate le mani. Di quanto reputino eleganti i loro movimenti. Ho sempre trovato strano quel pensiero. Afferro la gomma bianca mezza consumata, che é posata oltre il bordo del libro, e la faccio rotolare verso la costruzione della fatina. Entrambi osserviamo le penne cadere, come in un domino. Quel rumore e la mia risata vengono ovattati da un anomino << Shh >>. Non mi guardo intorno per capirne la provenienza, non mi interessa. Resto con gli occhi puntati sul pixie che, in un primo momento, guarda attonito la sua costruzione distrutta. Derrick, infine, mi lancia uno sguardo di traverso e gonfia le guance. Restiamo così, senza distogliere lo sguardo, per un bel pò. Derrick é il primo ad arrendersi. Abbasso lo sguardo e ricomincia a impilare le matite e le penne crollate, ma per prima cosa mi sequestra la gomma sedendosi sopra. Ogni tanto, il pixie alza lo sguardo su di me per osservarmi. Tutto ciò lo fa senza emettere una parola. Cosa strana, visto che lui ama mettermi a disagio quando sono circondata da tante persone. Chiudo il libro, stufa di studiare. Mi chino sulla mia borsa e tiro fuori il blocco da disegno. Quando mi rimetto dritta una fitta mi attraversa l'addome dipingendo, sul mio viso, una smorfia di dolore. Sento il pixie sogghignare. Mi porto una mano sulla ferita di ieri sera e mi mordo il labbro quando i ricordi della sera passata mi ritornano in mente.

Quando, di soppiatto, sono sgattagliolata nella mia stanza era quasi mattina. La sorella malvagia di Barbie stava già dormendo e Derrick stava facendo altrettanto. Ho preso degli indumenti nuovi, delle garze e mi sono infilata nel bagno del corridoio. Con non poche imprecazioni, ho sfilato la maglia del pigiama e pulito le ferite al petto e alle braccia. Quella che mi preoccupava era la ferita all'addome; era lunga almeno dieci centimetri e profonda. Al mio risveglio delle nuove e rigonfie cicatrici decoravano le mie braccia e tutto il resto, tranne quella all'addome. Quella era coperta da un sottile velo di crosta. Il fatto che le mie ferite siano già in fase di guarigione può sembrare strano, lo so, ma é uno dei vantaggi dell'essere una cacciatrice. Contemporaneamente, é  un'altra delle cose che mi rende così strana.

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