DICIANNOVE

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I RIMBALZI DI UN PALLONE

Sistemo bene il cappuccio in testa, isolandomi dallo scrosciare della pioggia

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Sistemo bene il cappuccio in testa, isolandomi dallo scrosciare della pioggia. Infilo le mani gelate nelle tasche e procedo la mia passeggiata verso la palestra. Verso il luogo in cui io e Alec abbiamo deciso di incontrarci, oggi dopo la mensa.

Dopo la cena, mentre tutti gli studenti sciamavano verso l'uscita, io, Meghan ed Ethan eravamo ancora immersi in un silenzio quasi imbarazzante. Il ragazzo é stato il primo ad alzarsi e ad uscire, dopodiché é stato il turno mio e di Meghan. La ragazza non ha nemmeno alzato gli occhi quando, Alec, mi ha afferrato per un polso. Nonostante la consapevolezza della presenza del suo potere, ero comunque sorpresa da quel gesto. Ero sorpresa, soprattutto, dal suo tocco leggero e delicato. Gli ho lanciato uno sguardo interrogativo e lui mi ha tirato, leggermente, verso di lui. Lo guardavo inorridita perché, se le mie ipotesi erano giuste, quel semplice tocco mi avrebbe portato alla morte. Alla fine mi ha soltanto detto che voleva vedermi dopo in palestra. Il perché non l'ha detto, ma ho un vago presentimento.

Il buio inizia ad avvolgere l'imponente Istituto e tutto ciò che lo circonda. Osservo le tenebre che si infiltrano attraverso i rami degli alberi. Il bosco sembra più terrificante che mai. Sprofondo con la gamba destra in una pozzanghera e impreco quando, gli schizzi di acqua sporca e terra macchiano il cuoio nero degli anfibi. Sbatto la suola sul terriccio bagnato.
"Maledetta pioggia. Maledetto fango.", penso quando ricomincio a camminare. "Maledetto Alec che non poteva parlare al chiuso, senza farmi bagnare!"
Io odio la pioggia. Odio la sensazione di bagnato che dà. Odio la tristezza che trasmette. Odio il suo ticchettio. Adoro il momento dopo la tempesta. Quello strano silenzio che porta con sé. L'odore del terriccio umido.
La calma dopo la tempesta. Sospiro quando sono davanti all'edificio circolare in mattoni gialli. Mi chiudo la porta della palestra alle spalle e tolgo il cappuccio, completamente bagnato, da sopra la testa. Mi riavvio il ciuffo appiccicato alla fronte. Sbuffo, notando lo stato pietoso dei miei anfibi e del jeans. Alzo la testa e percorro in breve corridoio, accanto agli spalti. Solo ora faccio caso al rimbalzo di una palla contro il pavimento. Volto la testa verso quel rumore. La fata mi dà le spalle, rivolto verso un canestro appeso sopra la sua testa. Fa rimbalzare a terra la palla, passandola da una mano all'altra. Mi tolgo il giubbotto e continuo a guardarlo, incantata. Osservo la maglietta a maniche corte che crea dei piccoli sbuffi quando lui salta. Guardo, incantata, il contrarsi dei bicipiti quando la riprende sotto il suo controllo. Sembrano un tutt'uno. Esistono solo lui e quella palla arancione. La fa rimbalzare ancora e ancora, ma poi la blocca e si volta verso di me. Chiudo gli occhi e cerco di nascondere il viso dietro i capello umidi, sentendo il sangue affluire velocemente  alle guance. Stringo il parka contro il petto ed espiro.
<< Credevo che non venissi più >>, mormora serio. Apro gli occhi e, in imbarazzo per essere stata sorpresa a fissarlo, punto lo sguardo sugli spalti alla mia sinistra.
<< Ho avuto un imprevisto >>, sussurro, schiarendo la voce.

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