Annabeth Chase: Missione Adone (bonus chapter)

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Blackjack mi diede un passaggio fino a Central Park, e se Percy fosse venuto a saperlo, prima o poi nella vita, per me non sarebbe rimasta che la morte. Rubargli il pegaso era più o meno come togliergli dalle mani i biscotti blu che preparava sua madre: per Percy, non esisteva oltraggio peggiore.

Dopo che il vento mi aveva intrecciato i capelli con un’abilità cento volte superiore a quella di un parrucchiere, il pegaso nero rallentò e con un nitrito simile ad uno stridio di freni atterrò a pochi metri di distanza dalla porta di Orfeo. Ovvero un mucchio di massi nel cuore di Central Park. 

― Grazie, Blackjack ― Scesi giù dalla groppa, cercando di non inciampare nelle immense ali che messe a riposo gli facevano da strascico. ― Torna al Campo e… uhm… non dire niente a Percy.

Negli ultimi tempi mi ero quasi abituata al fatto che Percy potesse parlare con i cavalli, ma era un concetto che mi suonava sempre abbastanza strano. 

Accarezzai il muso di Blackjack e mi voltai. Lo sentii riprendere il volo alle mie spalle, ma tenni gli occhi fissi sulla porta di Orfeo. 

Dodici, nove, sei metri. Più mi avvicinavo, più sentivo un nodo stringermi lo stomaco. Gli Inferi erano l’ultima meta di vacanze al mondo che avrei scelto, se avessi avuto una scelta. Mi guardai rapidamente intorno. Abaste non era ancora in vista. 

L’ultima novità era questa: Abaste se ne stava tutto il giorno in giro con Argo, che non aveva problemi a… ehm… tenerlo d’occhio. Con tutti gli occhi blu che aveva sparsi su tutto il corpo, Argo era un baby-sitter con un vantaggio decisamente netto. Il fatto che non parlasse praticamente mai - si vociferava che avesse un occhio anche sulla lingua - non aveva fatto altro che incentivare il rapporto con Abaste. Erano diventati amici nel giro di un secondo, appena avevano capito che per comunicare tra loro potevano fare a meno delle parole. Si capivano. 

Ero contentissima del fatto che Abaste avesse un amico, ma era ora di tornare a casa da papà Ade. E l’appuntamento per la discesa nell’Oltretomba era a mezzogiorno alla porta di Orfeo. Su Abaste non avrei fatto molto affidamento per la puntualità, ma Argo era sempre stato un tipo preciso. 

Non si smentì nemmeno stavolta. Li intravidi nella distanza. Un surfista biondo sulla trentina con occhiali da sole sparsi per tutto il corpo e una specie di baby lottatore di sumo gigante con il cervello strabordante dalla calotta cranica. Che coppia!

Grazie agli dei, la Foschia dava una mano ai mortali per non vomitare di fronte a quella visione. Non sapevo di preciso cosa vedessero al passaggio del guardiano del Campo Mezzosangue e del flagello di Ade. Qualunque cosa fosse, non li faceva strillare e scappare a gambe levate. 

― Argo! ― Agitai la mano in segno di saluto. No, non ero entusiasta all’idea di tornare nell’Oltretomba. Volevo solo darmi una mossa. Prima iniziava questa stupida e inutile missione, prima finiva. 

Argo e Abaste si avvicinarono lentamente. Abaste aveva decisamente delle difficoltà motorie, ma non c’era da biasimarlo: doveva portarsi appresso troppa ciccia. E troppo cervello. Quando mi raggiunsero, Argo accennò un sorriso, Abaste lasciò andare un “argh”. 

― Bene ― dissi, dal momento che ero l’unica del trio dotata di parola. Mi rivolsi ad Argo. ― Allora, la scusa ufficiale è che io e Abaste siamo andati a prendere un gelato. Chiaro?

Annuì con aria divertita. Argo non era avvezzo a piccole bugie e raggiri - non era un’adolescente - ma quest’avventura sembrava interessarlo come un evento sportivo imperdibile. Salutò Abaste tentando di dargli una pacca sulla spalla - in realtà riuscì a raggiungere solo l’avambraccio.

Il mio semi fratello divino sibilò un “argh” colmo di dispiacere. ― Non è un addio ― lo rassicurai. ― Potrai tornare in superficie quando vorrai. Ci sarà sempre un posto per te al Campo.

Annabeth Chase e il flagello di AdeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora