3:Segnale

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Athena spalancò gli occhi di scatto.

La faccia dell'uomo a cui lei aveva brutalmente tolto la vita le ricompariva davanti ogni volta che chiudeva gli occhi, non poteva dormire.
Si guardò il polso per controllare l'ora, nel caso ci fosse un treno in partenza, poi però si ricordò di non avere più un orologio: l'aveva barattato qualche giorno prima per un favore.
Sbuffando si ripromise di procurarsene uno al più presto (era una cosa fondamentale per lei sapere sempre che ore fossero) poi si alzò in piedi.

Per abitudine si guardò intorno per prendere il suo skateboard, ma in quel momento notò che non era lì.
"Stupida, l'hai dimenticato vicino all'uomo" si rimproverò la ragazza mordicchiandosi il labbro, come faceva sempre quando era nervosa.
Dopo un attimo di indecisione poi scelse di andare a riprenderselo: era affezionata a quella tavola.

Solo una volta fatti primi 500 metri a piedi nel freddo della notte si rese conto che non sapeva nemmeno da dove iniziare a cercare.

Si fermò in mezzo alla strada, lasciandosi accarezzare dal vento che proveniva dal mare e chiudendo gli occhi un attimo, ma i suoi pensieri filosofici mattutini furono interrotti da un'ambulanza che passava per le strade della città, silenziosa e senza sirena.

Athena non aveva una pista, quindi decise di seguirla e vedere se si stesse dirigendo verso il corpo dell'uomo per portarlo in obitorio.
Fortunatamente il mezzo si muoveva molto lentamente tra le stradine strette e tortuose di quella zona sudicia e malfamata, quindi riuscì a stargli dietro.

Era proprio come aveva pensato: due uomini uscirono dal mezzo e caricarono su una barella il corpo, coprendolo con un telo, dopo essersi accertati che l'uomo fosse irrimediabilmente morto.
Alla ragazza vennero le lacrime agli occhi, ma si trattenne dallo scoppiare a piangere.
Doveva essere forte.

Dopo una decina di minuti dell'ambulanza e del corpo non vi era più traccia; nessuno si sarebbe preoccupato per un ubriacone senza casa o famiglia.

In silenzio Athena si avvicinò, ed eccolo lì: il suo skateboard era abbandonato accanto ad un muro, probabilmente vi era andato a sbattere contro per via di una spinta e lì era rimasto, ad attenderla.

Rilassandosi la ragazza si avvicinò, ma cercò di non guardare la porzione di terreno dove prima si trovava il cadavere.
Nonostante non ci fosse nulla che indicasse che in quel luogo era morto qualcuno, Athena sentiva come un'aura maligna in quella zona: voleva allontarvisi il più in fretta possibile.

Era tutto tranquillo.
Troppo tranquillo.

Mentre montava sul suo mezzo di trasporto la ragazza sentì come un sibilo, e l'attimo dopo, senza sapere come era potuto succedere, era girata e con un piccolo dardo metallico con un pennacchio di piume sintetiche ed una sottile punta acuminata in mano.

Lo fece cadere subito cadere a terra, poi si guardò intorno, nervosa.
Subito sentì un'altra serie di sibili, e nuovamente come se il suo corpo si muovesse da solo si ritrovò con lo skateboard alzato a pararle il petto, ma dal lieve indolenzimento che provava alle braccia doveva averlo mosso molto per evitare ogni colpo.
Una moltitudine di piccoli dardi che magicamente non l'avevano nemmeno sfiorata era per terra ai suoi piedi, le punte acuminate da cui fuoriuscivano piccole gocce di un liquido verdognolo che Athena riconobbe come un sedativo.
Il loro sedativo.

Finalmente gli uomini autori di quell'attacco uscirono allo scoperto vedendo che quel metodo non funzionava, un gruppo di armature nere simili ai corpi degli scarafaggi.

La ragazza fu presa dal panico: l'avevano trovata, era stata stupida e quello era il prezzo da pagare.

Cercò di correre via, ma si ritrovò ben presto accerchiata: evidentemente avevano imparato qualcosa dal loro ultimo scontro.
Nel panico le sue mani iniziarono a tremare, così come i suoi occhi diventarono luminosi come stelle, togliendole parzialmente la vista, ma lei si sentiva debole e indifesa come la prima volta che aveva utilizzato la sua dote; di quella velocità prodigiosa che l'aveva salvata poco prima sembrava non essercene traccia, Athena si sentiva goffa e lenta.

"Rabbia, devo trovare la rabbia" si disse, ma l'unica cosa che provava in quel momento era panico puro, finché ...

Uno dei soldati spinse via con una potente pedata lo skateboard che gli intralciava il cammino, e quello andò a sbattere contro il muro lì vicino.
Dal suono che fece la ragazza capì che di certo si era scheggiato, e questo, incredibilmente, la fece tornare con i piedi per terra.

Nessuno poteva rovinare il suo skateboard.

Nessuno.

I soldati dovevano essersi accorti del suo sguardo ora furente, perché iniziarono a muoversi e a restringere il cerchio, sapendo bene che i poteri della ragazzina erano amplificati dalle sue emozioni, ma lei si stava già caricando; le mani erano serrate in due pugni, mentre la sua schiena era ricurva, come se stesse sopportando un peso enorme.

Athena sentì il sangue che pompava più velocemente ed il suo respiro iniziare a farsi pesante, e seppe che quello era il momento di agire.
Il momento in cui era un tutt'uno con i suoi poteri.
Incrociò le mani sul petto, la testa china, poi spalancò le braccia, dalle quali fuoriuscirono due raggi di energia che, simili a dei frisbee, partirono verso direzioni opposte, facendo cadere uno dopo l'altro i soldati come un castello di carte, per poi incontrarsi a metà strada ed auto-distruggersi.

Anche Athena era caduta a terra: per lo sforzo compiuto la sua visuale si stava riempiendo di minuscoli puntini neri, e sentiva la testa leggera, ma sapeva di non dover cedere alla stanchezza: le era già successo una volta, e le era bastata.
Incespicando si rialzò, ed usando la sua tavola come sostegno improvvisato si allontanò da lì più veloce che poteva.

Se fosse rimasta, però, avrebbe visto  un uomo,  mezzo intontito, che premeva un tasto su un piccolo telefono, il quale iniziò a lampeggiare.
A miglia e miglia da lì, in un laboratorio che ufficialmente non esisteva, un apparecchio identico lampeggiava a sua volta, come a dire eccola lì, eccola lì, guarda, l'hai trovata.

Jago, che era rimasto tutti il tempo ad osservare i tabelloni ed i sistemi del laboratorio per ricevere notizie, mosse i muscoli facciali in quello che una volta doveva essere stato un sorriso, mentre ora assomigliava più ad una smorfia.
<< Ora puoi andare>> gli disse il Dottor Smirnov, un'espressione soddisfatta sul volto.
<< oh, sono già in viaggio>> rispose l'altro alzando lo sguardo glaciale.

Ciao a tutti!!
Prima di perdere la vostra attenzione volevo chiedervi un parere sulla storia:
•vi sta piacendo?
•qual è la vostra scena preferita?
•cosa secondo voi dovrei correggere ( perché so che la mia storia è ricchissima di imperfezioni ed errori).

Spero che rispondiate a queste domande e che il libro vi piaccia.
Al prossimo capitolo!

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