ALABAMA MONSTER'S (T-BAG)

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Se si vuole sopravvivere in un carcere bisogna sempre avere un'arma con sé.

È praticamente impossibile portarla dall'esterno, i controlli sono fin troppo serrati, ma se una persona ha un po' d'ingegno si possono trovare oggetti molto interessanti in posti come il cortine o la mensa: basta rompere una posata di plastica o togliere una vite dalle tribune, limarla con cura dentro la propria cella ed il gioco è fatto.

Se poi sei una personalità di spicco tra queste quattro mura hai dei vantaggi: John Abruzzi, per esempio, ha un pugnale che custodisce gelosamente come se fosse un figlio.

Io ho un punteruolo, il mio migliore e più fedele amico, che tengo sempre nascosto all'interno del materasso della mia brandina per ogni evenienza.

Lo prendo e l'osservo per qualche minuto: mi sono già procurato un taglio in un braccio ed un altro in una guancia, per cui ora la scelta ricade automaticamente sulla gamba destra.

Appallottolo la stoffa dei pantaloni fino al ginocchio e proprio lì affondo la lama del punteruolo e traccio un profondo segno rosso orizzontale; mi mordo il labbro inferiore per non lasciarmi scappare un urlo e ripongo l'arma bianca all'interno del materasso.

Il ginocchio inizia già a sanguinare e così zoppico fino alle sbarre e grido per attirare l'attenzione di qualcuno dei secondini; passano quasi dieci minuti prima che uno di loro si degna di apparire.

"Che cosa c'è, T-Bag?"

"Sono scivolato e ho sbattuto il ginocchio contro il ferro della brandina" dico, indicandogli la parte lesa; ormai sul pavimento della cella c'è una piccola macchia scarlatta che diventa più grande ad ogni secondo che passa.

Lui guarda la macchina con sufficienza e poi torna a fissarmi con il sopracciglio destro alzato.

"E allora?"

"E allora? Devo essere io a dire che cosa bisogna fare in situazioni come questa? Devi portarmi subito in infermeria o potrei dissanguarmi!".

La guardia sbuffa contrariata, ma poi da l'ordine di aprire la cella, mi ammanetta e mi afferra per il braccio destro.

"Non provare a fare qualcosa di stupido" mi minaccia indicandomi il teaser che ha attaccato alla cintura.

"Puoi stare tranquillo, non ho intenzione di fare nulla di avventato" rispondo io, sorridendogli apertamente.

Ed è la verità, non ho assolutamente intenzione di fare una cazzata altrimenti posso giocarmi non solo la possibilità di andare in infermeria, ma anche qualcosa di più prezioso; dopotutto succede spesso all'interno di un carcere, soprattutto di uno maschile: un detenuto tira troppo la corda, il giorno dopo giace senza vita all'interno della sua cella e tutto viene classificato come suicidio.

Bellick mi odia con ogni fibra del suo essere e sono sicuro che sta aspettando solo l'occasione giusta per procedere con il mio suicidio.



Solitamente mi reco in infermeria al pomeriggio, ma da quando Bellick ha iniziato a fiutare qualcosa preferisco cambiare continuamente orario o fascia della giornata, alternando il pomeriggio alla mattina.

E poi, lo confesso, sento l'urgenza di vedere Nicole il prima possibile.

Quando varco la soglia del suo Studio noto subito che c'è qualcosa che non va in lei: è pallida, la pelle del suo viso è tirata ed ha delle ombre scure sotto gli occhi che non è riuscita a mascherare neppure con del trucco; non mi degna di una sola occhiata e rivolge tutta la sua attenzione al secondino.

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