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Lanciò una rapida occhiata al cielo, riposando subito lo sguardo sul freddo metallo della scala che lo avrebbe portato sul terrazzo, osservandosi il volto nel confuso riflesso. Poggiò una mano su una delle sbarre, e salì con lentezza, silenziosamente. Aprì timoroso la botola in vetro sopra di lui, dando prima un veloce sguardo intorno a sé, scorgendo, con un lieve senso di piacere, la figura della corvina seduta qualche metro più avanti rispetto a lui, nel mezzo della terrazza, con le gambe al petto e la schiena ricurva.
Fece un sospiro, per poi farsi coraggio e salire; finalmente assaporò un po' d'aria fresca, dopo più di una settimana passata tra quattro mura, al chiuso, tra le quali cominciava già a sentirsi un certo odore di umidità.
Non sapeva come avrebbe reagito la ragazza. Sapeva che, di certo, non si sarebbe fiondata su di lui per abbracciarlo. Tuttavia, sperava che la situazione di pace attuale le avesse tirato sù il morale, quanto bastasse per parlarle.
Aveva tante cose da dirle.
E la prima cosa che avrebbe fatto, indipendentemente da quanto volesse capire meglio cosa fosse accaduto nelle ultime settimane e, soprattutto, da quanto volesse parlarle di ciò che era successo tra loro, sarebbe stato scusarsi. Ora che ci pensava, non aveva nemmeno provato un discorso.
Forse, in fondo, era meglio così: sapeva che Raven era in grado di sentire le sue emozioni, e avrebbe certamente gradito sapere che le stesse parlando a cuore aperto.
Camminò verso la ragazza, osservando con una certa delusione la sua staticità, si inginocchiò fino a poter toccare il pavimento con il palmo della mano e si sedette accanto a lei, portando le gambe al petto come Raven, sebbene lei fosse più contratta e rannicchiata su sé stessa.
Guardò di fronte a sé, rimettendo in ordine i suoi pensieri prima di potersi voltare e guardarla. Era sicuro che, se avesse incrociato il suo sguardo prima del dovuto, sarebbe rimasto senza parole, non avrebbe saputo da dove cominciare e sarebbero rimasti a guardarsi negli occhi; non che gli dispiacesse, ma sapeva che, dopo una certa, la corvina di sarebbe stufata e, con il suo solito fare, se ne sarebbe andata, senza proferir parola, o sarebbe scomparsa oltre il suo velo di magia. E lui sarebbe rimasto lì, sul terrazzo, a rimuginare sul fatto che, per l'ennesima volta, aveva sbagliato, e che, per l'ennesima volta, l'aveva persa, ogni volta sempre di più.
Alzò lo sguardo. Più i suoi occhi si abituavano a quel buio, e più si concentravano su quella lieve luce, più stelle apparivano alla sua vista. Adorava vedere quanto quei piccoli corpi celesti, che sapeva essere molto più grandi, brillavano in così tanta oscurità, anche a quella enorme distanza; e la luna, che rifletteva la luce del sole e delle stelle già splendenti di loro. Sperava non si sarebbe mai stancato di guardare i cieli notturni, o dei temporali, del prelibato sapore del tofu che ben pochi comprendevano, o di guardare la crema creare galassie nel suo caffè, le poche volte che lo ordinava nel bar perché "il latte di soia non era un'opzione".
Sperava non sarebbe mai cresciuto come qualcuno che non fosse in grado di apprezzare tutte le piccole cose della vita.
Dimenticandosi di ciò per cui fosse veramente venuto lì, guardò istintivamente la ragazza accanto a lui. I suoi occhi erano fissi su un pezzo di carta che aveva in mano, che, a causa della scarsa illuminazione, non riuscì a mettere a fuoco. I suoi capelli erano in disordine, alcune ciocche le andavano sugli occhi, altre erano state portate dietro le orecchie, altre erano state lasciate a loro, libere di muoversi come volevano, anche sul punto più alto del capo. Riusciva a sentire, grazie al suo meglio sviluppato udito, il suo respiro lento, quasi assente, scontrarsi contro il suo avambraccio, che aveva posto sotto il mento e che, piano piano, era scivolato fin sotto le narici.
Il leggero, improvviso movimento del suo capo lo fece tornare alla realtà; si ricordò della sua intenzione di non guardarla finché non avesse schiarito la mente, del suo piano mandato a fanculo. Maledizione. Scattò la testa in avanti, sperando che non se ne fosse accorta.
Abbassò lo sguardo, e, di soppiatto, salì verso il suo viso, incrociando i suoi occhi.
Raven lo guardò per qualche secondo, voltandosi poco dopo.
Beast Boy sentì il suo battito cardiaco accelerare. Ridacchiò nervosamente. Che stava facendo? «F-fa piuttosto freddino, eh?» disse, massaggiandosi il petto coperto da una canotta di tessuto leggero, la prima che avesse trovato nell'armadio prima di avventurarsi alla ricerca di Raven.
Portò una mano al pavimento, ma incontrò, invece, la morbida copertina in pelle di un libricino, che aveva notato soltanto adesso, che per poco non lo fece scivolare. Al contrario, lo spinse accidentalmente via, di fronte a sé.
«I-io...—» cerco di metter sù una frase, fallendo miseramente; perfetto, stava andando tutto a rotoli. «Scusa» sospirò, sedendosi sulle ginocchia, pronto per alzarsi. Allungò il braccio verso il piccolo fascicolo, afferrandolo e notando l'angolo di una pagina piegato. Ecco, le aveva pure rovinato un libro. Avrebbe potuto ucciderlo se lo avesse scoperto, soprattutto adesso che aveva notato il suo malumore.
Lo aprì, cercando di non rovinarlo ancora di più, sgranando gli occhi quando tanti piccoli frammenti di spessa carta gli caddero addosso. «O-oh» sussultò, mordendosi il labbro inferiore. «Io... mi dispiace, io...– non volevo, davve—»
«No, non è colpa tua» lo interruppe lei con voce fredda, continuando a guardare di fronte a sé.
Il mutaforme la guardò confuso, ma non aggiunse niente; si lasciò cadere, mettendosi a sedere a gambe incrociate e raccogliendo con attenzione ogni pezzo di carta volatogli addosso. Cercò di ricomporre quello che sembrava essere un disegno fatto con il carboncino, o con qualche tecnica abbastanza antica a lui sconosciuta. «Non sapevo ti piacessero i libri... illustrativi» sorrise nervoso.
Nessuna risposta.
Arresosi, prese con delicatezza i frammenti e li ripose tra le ultime due pagine del fascicolo, tra le quali scoprì altri disegni strappati, a cui non fece troppo caso, e lo chiuse. Si accigliò. Dei disegni... un disegno. No, c'era qualcosa che non gli tornava. Gli sembrava di aver visto una fotografia. Aprì di nuovo le due pagine e le scosse leggermente, cercando i pezzetti che gli erano precedentemente caduti addosso, che avevano un colore meno sbiadito rispetto agli altri, e li osservò, cercando di unirli nella mente. Fino a riconoscerla.
Nonostante gli evidenti segni di cenere e bruciato, che avevano macchiato indelebilmente la stampa con un aspro odore di acido, il suo viso era ancora visibile, affiancato da un altro che non aveva mai visto.
Una donna, con volto giovane e felice, avvolta nel proprio mantello, osservava serena una bambina dai capelli corvini che cercava di cingerle il busto con delle braccia fragili, piccole, sforzandosi di far toccare le due mani minute sull'altro fianco della donna, con tanto di linguetta da fuori.
Se non fosse stato per il taglio di capelli, che ricordava inevitabilmente quello della corvina per l'estrema somiglianza, avrebbe detto che quella bambina, così dolce e allegra, insieme alla propria madre, non c'entrasse nulla con la sua Raven.
Invece, la realtà diceva ben altro, e gli occhi luminosi e felici di quella giovane nella fotografia erano gli stessi che, adesso, li guardavano velati di lacrime che, sicuramente, non avrebbero mai rigato la pelle d'avorio della corvina, che avrebbe preferito che il bisogno di sfogarsi, di piangere, di gridare, l'avesse uccisa dentro.
«È... tua madre?» sussurrò con tono dolce, consapevole che non sarebbe mai arrivata alcuna risposta. «Siete davvero belle.»
«Sì» annuì lei, sorprendendo il ragazzo. «Era davvero bella» disse, senza voltarsi.
«Magari... magari possiamo aggiustarla. Se vuoi» sorrise. «È un peccato si sia distrutta così.»
«No, l'ho strappata io» lo fermò fredda.
Beast Boy si morse il labbro, frenando la sua curiosità e la sua voglia di chiederle che cosa l'avesse spinta a farlo, ma le sue domande vennero soddisfatte senza chiedere nulla. «Non potevo vederla. Non mi fa... dormire bene.»
«Perché ti manca?»
«Non... non abbiamo mai fatto foto.»
Il mutaforme rimase perplesso. «...oh» sussurrò. «Ma... come—?»
Raven scrollò le spalle. Non voleva iniziare un discorso su quel libro, o, peggio ancora, su sua madre. «Per questo l'ho strappata.»
Sfogliò le ultime pagine, scrutandole confuso con i suoi occhi smeraldo. «Io avrei strappato tutto. Questi simboli sono... inquietanti» sorrise, osservando l'inchiostro impregnato nella carta che formava strani segni, forse di una lingua a lui sconosciuta, distorti. Chi li aveva scritti doveva stare tremando, o doveva essere andato fuori di testa. In tutto il libro, quelle erano le uniche rappresentazioni di scrittura, tutte incomprensibili, ad accezione di un'unica frase incisa nella copertina posteriore interna, che gli sembrava leggibile ma che non riusciva a decifrare a causa della scarsa illuminazione.
Allungò lo sguardo al pezzo di carta che Raven aveva in mano, piegando il collo a sinistra per cercare di metterla a fuoco. Quasi come se avesse sentito i suoi occhi su di lei, la corvina cacciò fuori un sussurro. «Questa era Azarath.»
Stava cercando di interagire con lui?
Forse anche lei aveva bisogno di parlargli. Forse.
Si avvicinò alla ragazza fino a far incontrare i due busti, allungando il braccio in avanti e avvolgendo le sue mani con la sua, portandole all'altezza della sua fronte. Non riuscì a vederci ugualmente nulla. Forse, se avesse acceso il flash del tele—
«Scusa, non...— non farlo. Preferirei che non la vedessi, piuttosto di accendere la luce.»
Tirò subito indietro il braccio, confuso, ma ridacchiò poco dopo. «Ehy! La mia mente è proprietà privata!»
«Procurati un lucchetto, la prossima volta.»
Poteva sentirla nascondere un leggerissimo, spensierato sorriso.
«Quindi... l'hai disegnata tu?»
«No. Questo libro non è il mio.»
Beast Boy si grattò la nuca. «Ma se non è il tuo, allora...—»
«Apparteneva a mia madre.»
«A-ah» riuscì soltanto a dire. «E dove— dove l'hai trovato?»
La corvina abbassò lo sguardo. «DeathStroke.»
Il mutaforme osservò il libro, tendendo le labbra.
«Sarebbe comunque arrivato a me, prima o poi. DeathStroke ha solo fatto in modo che lo avessi prima.»
«E lui—»
«Non so come abbia fatto ad ottenerlo. Lo sai, se DeathStroke vuole qualcosa, non c'è niente che possa fermarlo.»
Beast Boy si sentì un groppo alla gola, e sentire il tono sarcastico, o, in ogni caso, non serio, con cui la ragazza gli stava dicendo tutto quello lo faceva stare peggio. «Questi simboli... che cosa sono?»
«Incantesimi» rispose. «—...oscuri.»
Questo spiegava il perché, pagina dopo pagina, le scritte cominciavano ad apparire più "oscure", incrinate, distorte.
«Rae» la chiamò, facendole alzare il mento e cercando un contatto visivo. «Perché ce l'hai tu?»
La corvina fece una piccola smorfia, rimanendo in silenzio, mentre sollevava lo sguardo al cielo, illuminata dalla luce della luna. Beast Boy la scosse leggermente, ancora cercando la sua risposta.
«Mi servono quegli incantesimi. Credevo lo sapessi» guardò altrove, un punto distante, «sono l'unica che può portare a termine il piano di DeathStroke.»
«Di... far recuperare a Tara i poteri per... usarla? Contro di noi?»
Ridacchiò malinconicamente. «Non lo sai, eh?» afferrò il sottile fascicolo, togliendolo, con delicatezza, dalle mani fredde del mutaforme. «Vuole usarla per riportare indietro suo figlio.»
Beast Boy si accigliò. Questa nuova versione non gli tornava.
«Ora, se non ti dispiace...» poggiò il palmo libero a terra, pronta per darsi un leggero slancio e alzarsi in piedi. Come se avesse potuto prevedere la sua mossa, però, il ragazzo le afferrò il braccio, delicato, ma ugualmente ancorandola a lui.
«Mi dispiace, sono un caso perso... e... e lo so, che dovrei lasciarti riposare, permetterti di dimenticare tutto questo...» guardò a terra, esitante, deglutendo lentamente e accigliandosi man mano, per poi farsi coraggio e guardarla negli occhi; «ma io voglio... voglio poter fare qualcosa. Per te. Ma, così, non posso... Nessuno mi dice nulla» fece scivolare presa fino alla mano della ragazza, poggiando la sua su quest'ultima leggero. «Cosa c'entri tu con tutto questo?»
Raven lo guardò per un attimo. Non sapeva se fosse veramente il caso di dirglielo; ma, in cuor suo, sapeva di doverlo fare. Gli doveva tanto. E, oltre al fatto che anche Beast Boy fosse un Teen Titans, e da tale doveva conoscere ciò contro il quale stava combattendo, lui era la persona di cui più si fidasse, la sua persona. Sospirò. «Io sono l'unica a poter sollevare quel velo.»
«Non– non capisco» sussurrò. Perché nessuno gli aveva detto niente? Dubitava che nemmeno Cyborg sapesse di questo. Perché non lo sapeva?
«Il velo che separa il mondo dei vivi da quello degli inferi.»
«Cosa?» la guardò, mentre sentiva il cuore sprofondare nello stomaco.
«È il mio compito. L'ultima cosa che sarò destinata a fare.»
«Oh, mio—»
«Non posso evitarlo. I miei poteri... sono andati completamente fuori controllo. La magia nera che ho usato contro Terra non può smettere di bruciarmi.»

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